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Quando le mummie parlano

Gli antichi egizi avevano l'abitudine di conservare i resti dei loro cari in anfore di questo tipo. Keystone

Al di là dei clichés dei film hollywoodiani, le mummie possono raccontarci molto sulla salute dell'essere umano. È ciò che dimostra l'esposizione organizzata al campus universitario di Zurigo. Attenzione però agli stomaci sensibili…

«Quando ci troviamo di fronte a uno scheletro, ci sono cose che non possiamo vedere. Le mummie invece ci dicono molto di più», spiega la ricercatrice Christina Warinner che ha collaborato alla realizzazione della mostra. «Se cerchiamo ad esempio dei parassiti intestinali, abbiamo bisogno di un intestino. E se vogliamo ritrovare le tracce di una polmonite o un’influenza, dobbiamo avere a disposizione dei polmoni».

Prima di incontrare dei veri cadaveri, provenienti dall’Egitto, dal Perù o da paesi europei, il visitatore è invitato a ripassare alcune nozioni storiche e scientifiche di base, come la definizione del termine mummia.

«Possiamo dire che una mummia è l’insieme dei tessuti umani molli preservati dopo la morte», prosegue Christina Warinner. «E il modo migliore per realizzarne una è togliere tutta l’umidità o l’ossigeno da un corpo, in modo da impedire ai batteri di sopravvivere». La ricercatrice dell’Università di Zurigo ama definirsi un’archeo-genetista perché se la sua specialità rimane la genetica, lavora quasi esclusivamente su biomolecole antiche.

Gli esperti del mondo scientifico fanno la distinzione tra mummie artificiali – come quelle egiziane – e mummie naturali – come Oetzi, l’uomo del neolitico ritrovato in un ghiacciaio delle Alpi, o le “mummie di palude”, conservate nelle torbiere e ritrovate nell’Europa del Nord.

Il modello egizio

La gente comune – e forse anche i grandi produttori di Hollywood – associa ancora la mummia a personaggi come Tutankhamon. Il termine mummia deriva dal latino mumia, che a sua volta viene dall’arabo mumya, cioè bitume, un insieme di idrocarburi nero e viscoso. «Nell’antico Egitto questa sostanza veniva utilizzata per ricoprire i cadaveri. Non stupisce dunque che venga ancora associata alle mummie tipiche egizie», precisa Christina Warinner.

Dopo secoli di tentativi falliti, gli egizi hanno finito per trasformarsi in abili mummificatori. Mentre ai giorni nostri, sottolinea la ricercatrice, «non abbiamo fatto molti progressi in questo senso».

Un esempio pratico: «Quando Mao è morto, gli scienziati incaricati di mummificarlo hanno chiesto aiuto a coloro che si erano già occupati del corpo di Lenin. L’idea era quella di immergere il cadavere in una soluzione di formaldeide. I cinesi hanno però ritenuto che il loro leader meritasse di meglio e hanno così utilizzato più formaldeide di quanto necessario. Il corpo si è gonfiato a tal punto che rischiava di scoppiare e alla fine hanno dovuto farlo sgocciolare. Insomma…  È stato un vero casino».

La spezia della morte

Oltre a ripercorrere la storia delle mummie, l’esposizione propone anche diversi elementi interattivi:  ci sono microscopi per vedere le cellule dei tessuti delle mummie oppure provette contenenti le spezie utilizzate dagli egiziani per mummificare i morti. C’è pure la possibilità di seguire un’autopsia virtuale.

Il visitatore può così inalare i vapori “dell’acqua del faraone”, un miscuglio di cera d’api, incenso, cannella e cipolle. «Le mummie egizie hanno un odore particolarmente caratteristico, per non dire fetido. Sono quasi diventata allergica a questo puzzo», dice sorridendo Christina Warinner.

Ma la sfida più grande è stata un’altra: garantire la sicurezza necessaria e assicurare il materiale esposto. «Tutto ciò che troviamo in queste sale è vero, non ci sono copie. Siamo davvero contenti del risultato ottenuto e di poter mostrare al pubblico l’importanza delle mummie per la ricerca clinica».

L’obesità sarebbe genetica

Inaugurato lo scorso anno nel campus Irchel dell’Università di Zurigo, il centro per la medicina evoluzionista (o darwinista) è una struttura unica nel suo genere. «Ci sono molte istituzioni nel mondo che si occupano di questi temi. Noi però siamo gli unici a concentrarci sull’aspetto medico combinando biologia evoluzionista e resti antichi».

Perché lo studio del passato aiuta a chiarire il presente, anche in campo medico. Tra le malattie che non riusciamo ancora a comprendere totalmente e che potrebbero trarre beneficio da queste ricerche, Christina Warinner cita l’obesità.

«L’obesità è probabilmente legata al fatto che in passato, quando il cibo scarseggiava, il nostro corpo aveva sviluppato alcuni geni in grado di ottimizzare al massimo l’accumulo di energie. Ma ora che abbiamo un’alimentazione abbondante e ricca, ci troviamo confrontati al problema opposto», spiega la ricercatrice.

«Molte malattie che caratterizzano la nostra epoca sono legate in un modo o nell’altro all’evoluzione dell’essere umano, ma è difficile studiare questo fenomeno con l’unico ausilio di campioni contemporanei. Utilizzando invece materiali antichi possiamo verificare le nostre ipotesi in modo diretto».

Benvenuti sotto la mummia

La prospettiva è più appassionante che mai. Per il momento tuttavia sono queste mummie – esposte su una specie di piatto volante – ad attirare la nostra attenzione.

La prima è una tipica mummia egizia, risalente all’epoca romana e ricoperta di bende. Poco più in là, un’altra mummia egizia, questa volta senza fasce, mostra al pubblico il suo segreto più intimo: uno scheletro ricoperto di bitume e parzialmente rivestito di resti di pelle e papiri con preghiere e istruzioni per l’uso.

«Nel 19esimo secolo, le mummie venivano spesso scomposte, ricorda Christina Warinner. C’è stato un periodo in cui era molto alla moda trascorrere le serate a trastullarsi con le mummie, quasi fossero giochi di società».

La mostra presenta al pubblico anche la mummia di un adolescente peruviano in posizione fetale, risalente al 1200 dopo Cristo. «In Europa i morti vengono solitamente interrati in posizione supina, mentre in molte regioni d’America latina è usanza seppellire i cadaveri piegati in modo da risparmiare spazio», commenta l’archeo-genetista. «Le mummie peruviane sono tra le meglio conservate a livello biomolecolare, perché vengono lasciate seccare in un ambiente freddo».

Ad attirare l’attenzione c’è infine il cervello di un bambino mummificato ritrovato in Francia. «Dal punto di vista biochimico, un cervello è fatto essenzialmente di materia grassa, per cui è difficile che riesca a conservarsi. In determinate condizioni però questo può accadere e allora sta a noi cercare di capire cosa possiamo apprendere da questi vecchi cervelli».

«Mummie: uomini, medicina, magia» è aperta al pubblico fino all’8 gennaio 2012 al centro per la medicina evoluzionista, nel campus Irchel dell’Università di Zurigo.

Lanciato nel 2010, il centro analizza tra le altre cose il tessuto delle cellule delle mummie.

La mostra spiega il culto dei morti nell’antico Egitto e i differenti tipi di mummificazione. Mostra anche i metodi di analisi scientifici moderni.

Gli scanner e le analisi del DNA permettono di analizzare lo stato di salute della persona, le sue abitudini alimentari e le cause del decesso.

La mummificazione risulta in generale da un processo naturale o artificiale che blocca la decomposizione dei tessuti di un cadavere, preservandolo nel tempo.

I principali fattori che ostacolano i processi putrefattivi sono una temperatura molto alta o molto bassa, una buona ventilazione, l’assenza di umidità o la mancanza di ossigeno.

Diverse culture antiche hanno invece fatto ricorso a tecniche artificiali di mummificazione, attraverso vari procedimenti di essicazione e imbalsamazione.

In Egitto le tecniche erano così raffinate che non venivano applicate solo agli esseri umani, ma anche a coccodrilli e gatti.

Mummie essicate sono state rinvenute anche nel Sud-Est asiatico, in Australia, in Cina e in diverse regioni dell’Africa settentrionale e centrale.

Le mummie più antiche, appartenenti alla cultura Chinchorro, sono quelle ritrovate lungo la costa meridionale del Perù, risalenti al 9000 a.C.

(Traduzione dall’inglese, Stefania Summermatter)

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