La Quinta Svizzera vuole una SSR forte e progressi nei negoziati bilaterali con l’UE
Sì a negoziati rapidi con l'Unione Europea, no allo smantellamento della Società svizzera di radiotelevisione (SSR): in occasione del Congresso degli svizzeri all'estero si è discusso di due temi importanti della politica svizzera e sono state formulate delle richieste ben precise.
La posizione dell’Organizzazione degli svizzeri all’estero (OSE) su questi due temi era già nota e il suo Comitato aveva già formulato due risoluzioni corrispondenti all’inizio delle discussioni.
Hans-Ulrich Bigler, fino all’anno scorso direttore dell’Unione svizzera delle arti e mestieri e oggi membro dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), ha assunto il ruolo di oratore nella fossa dei leoni. Ha esordito sostenendo l’iniziativa popolare sul canone radiotelevisivo “200 franchi bastano!” e opponendosi a rapide concessioni nei negoziati in corso con l’UE.
L’iniziativa chiede di ridurre il canone obbligatorio per i media in Svizzera a 200 franchi all’anno (attualmente è di 335 franchi) e di riscuoterlo esclusivamente dalle economie domestiche, esonerando dunque le aziende. “Paghiamo la tassa sulla televisione più alta del mondo”, ha detto Bigler.
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Quali prestazioni dovrebbe fornire la SSR?
A suo avviso, l’obiettivo dell’iniziativa è quello di avviare un dibattito in Svizzera sul significato del servizio pubblico e sulla missione fondamentale della SSR. “La posizione di monopolio della SSR è in concorrenza con i media privati, utilizzando il denaro dei contribuenti nella misura di 1,2 miliardi di all’anno”, ha detto Bigler.
Per Larissa Bieler, direttrice di SWI swissinfo.ch, una delle unità aziendali della SSR, “il servizio pubblico significa occuparsi di nicchie che non possono essere finanziate dal mercato”. Riferendosi allo sport, Bieler ha detto che senza la SSR oltre il 95% degli sport in Svizzera non avrebbe più una copertura mediatica.
“Il mercato distrugge i media”
Larissa Bieler ha inoltre sottolineato l’importanza economica globale della SSR. Se l’iniziativa fosse accettata, sostiene, alla SSR sparirebbero tra i 2’400 e i 3’000 posti di lavoro. “Ogni impiego alla SSR genera anche un impiego nel settore privato”, ha spiegato.
Il terzo a salire sul podio è stato Casper Selg. Il giornalista ha lavorato alla SSR per 35 anni e oggi si batte contro l’iniziativa per un canone di 200 franchi in qualità di membro dell’Alleanza Diversità MediaticaCollegamento esterno.
Selg ritiene che sia proprio in un Paese che si distingue per la sua democrazia diretta come la Svizzera che i cittadini e le cittadine hanno bisogno di media accessibili a tutti, di buona qualità e indipendenti per prendere le decisioni giuste. “Purtroppo, il mercato distrugge i media”, ha affermato, aggiungendo che togliere soldi alla SSR significa solo far confluire una somma maggiore ai giganti di Internet. Per questo, è “assolutamente importante preservare una fonte che gode ancora della fiducia di tutte le persone”.
Coesione nazionale
La discussione che ne è seguita tra i membri del Consiglio degli svizzeri all’estero (CSE) ha fatto emergere sia voci critiche nei confronti della SSR che un sostegno esplicito.
È stato criticato l’orientamento mediatico della SSR, percepito da alcuni come di sinistra. Il ruolo della SSR nella coesione nazionale è stato dal canto suo elogiato a più riprese. Secondo i membri del CSE, la SSR costruisce dei ponti tra regioni linguistiche, tra minoranze e maggioranze, ma anche tra la Svizzera e la sua diaspora.
Questi pareri rispecchiano l’opinione della maggioranza. La risoluzione del Comitato dell’OSE è stata sostenuta dall’80% delle persone presenti. Il CSE si è quindi pronunciato con fermezza contro l’iniziativa sul canone radiotelevisivo.
La seconda tavola rotonda si è concentrata sui negoziati per gli accordi bilaterali tra la Svizzera e l’UE. Nel marzo 2024, le due parti hanno deciso di riprendere i negoziati al fine di concludere una serie di accordi per regolamentare le loro relazioni.
Il mandato negoziale riguarda in particolare i seguenti temi: approvvigionamento di energia elettrica, accordo sui trasporti terrestri, accordo sui prodotti agricoli, immigrazione, protezione dei salari ed elementi istituzionali. L’accordo di libero scambio non rientra nell’ambito dei negoziati.
“Stiamo parlando di mezzo milione di persone”, ha dichiarato il presidente dell’OSE Filippo Lombardi, riferendosi a quei 470’000 cittadini e cittadine svizzere che vivono in un Paese dell’UE o dell’Associazione europea di libero scambio (AELS).
Da quando la Svizzera ha interrotto i negoziati sull’accordo istituzionale con l’UE nel 2021, la diaspora è preoccupata per le possibili conseguenze in caso di una mancata soluzione. “È necessario stabilizzare le relazioni con l’UE”, ha dichiarato Carlo Sommaruga, rappresentante socialista al Consiglio degli Stati, la camera alta del Parlamento federale, e membro del Comitato dell’OSE. Sebbene permangano alcuni elementi di critica, ha elogiato il lavoro già svolto dalla Confederazione in questo ambito.
Nessuna ripresa automatica del diritto europeo
Tutti i partiti politici e le organizzazioni economiche sono favorevoli a nuovi accordi, a eccezione dell’UDC. Hans Ulrich Bigler non ha messo in dubbio la necessità di accedere al mercato europeo. Tuttavia, sostiene che gli accordi toccano aspetti chiave della politica dello Stato che dovevano essere esaminati con occhio critico. In particolare, ha messo in guardia contro la ripresa automatica del diritto europeo.
François Baur di economiesuisse, la Federazione delle imprese svizzere, ha reagito immediatamente, sostenendo di ritenere “assolutamente irrealistico” che la Corte di giustizia europea tratti casi isolati che riguardano la Svizzera. “Se pensiamo, ad esempio, alle controversie tra lavoratori dell’UE e un’azienda svizzera, è assolutamente irrealistico che casi isolati svizzeri vengano trattati dalla Corte di giustizia europea”.
Sul tema della migrazione, ha rammentato che la crescita della popolazione svizzera non sarà in grado di compensare la carenza di manodopera, in particolare i posti vacanti che saranno lasciati nei prossimi anni dalla generazione dei “baby boomers”, le persone nate dopo la Seconda guerra mondiale.
Meno pressione
François Baur e Carlo Sommaruga hanno inoltre dichiarato che la Svizzera non sarà più messa sotto pressione dall’UE. Con questi nuovi negoziati, “ci siamo allontanati dalla logica del ricatto che è stata usata finora”, ha dichiarato Sommaruga, riferendosi all’esclusione della Svizzera da alcuni programmi europei quando non ha voluto rispettare le regole del mercato unico.
Sommaruga ritiene che si debba ora preparare il Parlamento e il popolo alla votazione che arriverà, avvertendo: “Se, sorprendentemente, il popolo dovesse dire ‘no’, l’UE potrebbe porre in seguito condizioni molto più severe”.
Le argomentazioni dell’UDC non sembrano aver colpito nel segno, visto che l’84% delle 74 persone votanti ha accettato la risoluzione dell’OSE che chiede al Consiglio federale di tenere conto degli interessi degli svizzeri e delle svizzere che vivono negli Stati dell’UE/AELS durante i prossimi negoziati sugli Accordi bilaterali III.
Traduzione di Luigi Jorio
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