Oggi in Svizzera
Care svizzere e cari svizzeri all'estero,
il nostro bollettino odierno si apre con un'intervista rilasciata alla RSI dal consigliere federale Ignazio Cassis. Un'occasione da non perdere, poiché il capo della diplomazia elvetica è noto per essere il meno loquace dei ministri svizzeri quando si tratta di discutere con i media.
Parleremo poi di un'insolita alleanza politica per aiutare il settore siderurgico, della percezione della popolazione svizzera nei confronti della comunità LGBTQIA+ e del crollo della Confederazione nella classifica sull'impegno contro il cambiamento climatico.
Buona lettura!
In un’intervista a margine di una doppia seduta del Consiglio di sicurezza dell’ONU a New York, il ministro degli esteri elvetico Ignazio Cassis si è espresso, tra le altre cose, sull’impatto di una seconda amministrazione Trump.
Alla domanda della RSI su un possibile aumento dell’instabilità in Medio Oriente con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, Cassis ha risposto: “Purtroppo gli ultimi quattro anni sono stati oggetto di una pandemia, una guerra in Ucraina, una in Medio Oriente, una in Sudan. E questo con un governo Biden! Non è di certo soltanto il Governo degli Stati Uniti che cambia il mondo, però sicuramente ci saranno delle differenze. Vedremo quali.”
In generale, il consigliere federale si dice in questo momento “molto preoccupato”. “Queste guerre, malgrado tutti gli sforzi fatti da un sistema così importante come l’ONU, non si riescono a dominare […]. Quello che viviamo oggi è un Consiglio di sicurezza e, in generale, un’ONU che non sono all’altezza delle aspettative della popolazione del mondo nel creare pace e sicurezza”.
Il capo della diplomazia elvetica avrebbe dovuto visitare ieri l’Università di Friburgo per un simposio con il suo omologo slovacco Juraj Blanar. Il Dipartimento federale degli affari esteri ha però annullato la visita, evocando un rischio per “la sicurezza degli oratori” in seguito all’appello di un’organizzazione studentesca a protestare in favore della Palestina. I due ministri si sono comunque incontrati a Berna.
- L’intervista completa su RSI Collegamento esterno
L’industria siderurgica svizzera è in crisi e in Parlamento si sta facendo strada l’idea che la Confederazione debba intervenire per aiutare il settore. Questo contro l’opinione del Governo e di chi teme un pericoloso strappo alla regola in un Paese caratterizzato dal suo liberalismo.
La settimana scorsa una commissione del Consiglio degli Stati (Camera alta del Parlamento) aveva dato il suo via libera a un finanziamento transitorio per aiutare le imprese minacciate nel settore dell’acciaio, come l’azienda solettese Stahl Gerlafingen o il gruppo lucernese Swiss Steel.
Ieri anche la Commissione dell’energia e dell’ambiente del Consiglio Nazionale (Camera bassa) ha proposto, per 13 voti a 11, di esonerare da determinate tasse sull’elettricità le imprese svizzere “di importanza strategica” nella produzione di acciaio e alluminio.
Questa decisione è stata possibile grazie a quella che la stampa definisce “un’alleanza contro natura” tra il Partito socialista e l’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice). Il Governo, dal canto suo, afferma di non disporre del margine di manovra legale sufficiente per intervenire in questo modo e che il denaro sarebbe meglio investito per finanziare la disoccupazione parziale o programmi di decarbonizzazione.
La proposta non piace neanche a una parte della destra, la quale ritiene che violi il liberalismo elvetico e crei un pericoloso precedente che rischierebbe di aprire la via a ulteriori interventi statali in altri settori.
- L’articolo di RTSCollegamento esterno
La maggioranza della popolazione svizzera è ben disposta nei confronti delle persone LGBTQIA+. Tuttavia, in alcuni settori della società persistono pregiudizi e intolleranza.
È quanto emerge da un’inchiesta condotta dall’istituto gfs.bern per conto di Amnesty International, Queeramnesty e altre organizzazioni, tra cui Pink Cross. Secondo l’indagine, gli atteggiamenti positivi nei confronti della comunità LGBTQIA+ sono diffusi, soprattutto in termini di valori e di libertà individuali.
Tuttavia, non appena si parla di basi giuridiche concrete, regolamenti istituzionali o di adeguamenti delle infrastrutture, l’apertura e la disponibilità diminuiscono. Lo stesso vale per la visibilità quotidiana dei diversi stili di vita. In particolare, la tolleranza cala nei confronti delle persone trans e intersessuali.
Nel complesso, la maggioranza della popolazione riconosce l’espressione del proprio orientamento sessuale come un diritto umano. Ma allo stesso tempo metà della popolazione è infastidita, ad esempio, dal fatto che due uomini si bacino in pubblico. “C’è una discrepanza e una contraddizione tra l’approvazione teorica di determinati valori e l’accettazione pratica nella vita di tutti i giorni“, sottolinea Marc Schmid, di Queeramnesty.
- La notizia ripresa da RSICollegamento esterno e SRFCollegamento esterno
La Svizzera è stata valutata negativamente in termini di impegno per contrastare il cambiamento climatico. Nel Climate Change Performance Index (CCPI) si piazza al 33mo posto su 63 Paesi, in calo di 12 ranghi.
La classifica è stata pubblicata a margine della Conferenza dell’ONU sul clima (COP29) a Baku, in Azerbaijan, dove domani e dopo sarà presente anche il responsabile del Dipartimento dell’ambiente elvetico, Albert Rösti.
Con il 33mo posto, la Confederazione evita per un soffio un punteggio complessivo “basso”. Viene classificata come “media” per quanto riguarda le emissioni di gas a effetto serra e il consumo energetico. Tuttavia, sul suo risultato pesano i ritardi nello sviluppo delle energie rinnovabili e, soprattutto, l’inadeguatezza della sua politica climatica. In quest’ultimo ambito, il Paese si colloca al 48mo rango.
La classifica, istituita nel 2005, comprende 63 Paesi e l’Unione Europea, che insieme sono responsabili di oltre il 90% delle emissioni globali di gas serra. Per il momento, il podio rimane vuoto. Nessuno degli Stati presi in considerazione, infatti, sta facendo gli sforzi ritenuti necessari per raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi. Danimarca, Paesi Bassi e Regno Unito sono i Paesi valutati meglio, mentre Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Iran sono in fondo alla lista.
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