Il mondo che non doveva esistere
A 560 anni luce dalla Terra, nella costellazione del Dragone, un pianeta sfida le teorie sulla formazione dei corpi celesti. Vista la sua massa, questo mostro, soprannominato «pianeta Godzilla», dovrebbe essere una sfera di gas. Invece è un ammasso di pietra. A Ginevra e a Harvard gli astrofisici all’origine della scoperta ne sono stupefatti.
Nel catalogo dei pianeti che orbitano attorno a stelle lontane dal nostro sistema solare Kepler-10c non è il primo venuto. Come indicato dal suo nome, è il decimo pianeta scoperto dal telescopio spaziale statunitense Kepler. La scoperta risale al 2011.
Perché allora tutto questa eccitazione tre anni più tardi? Il fatto è che non si era ancora scoperto tutto. Il telescopio Kepler – come il suo omologo franco-europeo Corot – è concepito per riconoscere gli esopianeti (pianeti extrasolari) con il metodo del transito. Il metodo misura la diminuzione di luminosità di una stella quando un pianeta le passa davanti. Da queste informazioni si deducono taglia del corpo celeste e tempo di rotazione attorno alla sua stella.
All’epoca della sua scoperta Kepler-10c, con il suo diametro di circa 29’000 chilometri (2,3 volte quello della Terra), era stato catalogato provvisoriamente come «mini Nettuno», vale a dire come una grande sfera di gas.
Per saperne di più su questi nuovi pianeti, gli astrofisici cercano di determinarne la massa. È il lavoro degli spettrografi, abbinati a grandi telescopi al suolo, che misurano la velocità radiale delle stelle, vale a dire le minime perturbazioni nel loro viaggio attraverso la galassia indotte dalla presenza di pianeti.
Il video spiega questi due metodi di rivelazione (transito e velocità radiale).
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I due spettrografi attualmente più precisi (HARPS-Sud e HARPS-Nord, uno in ciascuno emisfero della Terra) sono stati costruiti dall’Osservatorio dell’Università di Ginevra. Il secondo, installato sull’isola di La Palma, nelle Canarie, ha permesso di determinare la massa di Keplero-10c e quindi di calcolarne la densità. Pubblicato a inizio giugno nella rivista Astronomy & Astrophysics, il risultato ha colto completamente di sorpresa gli specialisti degli esopianeti.
«Con una densità simile, non può che essere composto di roccia», spiega Boston Xavier Dumusque, autore principale dell’articolo. «Quando abbiamo realizzato ciò che avevamo scoperto, la sorpresa è stata totale. Il risultato contraddice i modelli di formazione dei pianeti che abbiamo sviluppato negli ultimi 10 anni e che finora si sono sempre rivelati corretti. È una specie di rivoluzione».
«La formazione dei pianeti, così come la concepiamo oggi, comincia sempre da una grossa nube gassosa attorno a una stella», chiarisce il giovane astrofisico franco-svizzero, che ha studiato a Ginevra e a Porto prima di passare allo Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. «Questa nuvola non contiene più dell’1% di materiali pesanti, che formeranno il nucleo dei pianeti. Il resto sono elementi allo stato gassoso».
Nel corso delle centinaia di milioni di anni necessari alla genesi di un pianeta, la forza di gravità del nucleo attira i gas. E se il nucleo è sufficientemente pesante, finirà per attrarre l’intera nube iniziale, dando forma a dei giganti gassosi simili ai quattro grandi pianeti del nostro sistema solare (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) e a migliaia di altri esopianeti scoperti fino a oggi.
Secondo il modello applicato finora, un pianeta che superi di 10-12 volte il peso della Terra deve necessariamente «aspirare» la sua nube e trasformarsi in un gigante gassoso. Kepler-10c ha 17 volte il peso della Terra. «Non capiamo perché sia un pianeta roccioso. Ma finiremo per trovare la risposta», osserva Dumusque.
Nell’attesa, il suo collega di Harvard Dimitar Sasselov ha battezzato questo primo rappresentante dell’inaspettata categoria delle Mega-Terre «pianeta Godzilla», in omaggio al re di tutti i mostri.
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Ma il pianeta che non dovrebbe esistere è abitabile? Nessuno degli specialisti che si sono espressi dopo la sua scoperta sembra crederci davvero. Girando in 45 giorni attorno a una stella simile al nostro sole, ha probabilmente una superficie molto calda.
Xavier Dumusque ritiene che la temperatura ai margini della sua atmosfera (se ne ha una) sia vicina ai 300°C. «Detto questo, se la sua atmosfera è ricoperta di nubi che bloccano l’irraggiamento della stella, la temperatura sulla superficie del pianeta potrebbe anche essere più bassa».
Il meccanismo è il contrario dell’effetto serra presente sulla Terra e ricorda piuttosto il fenomeno dell’«inverno post-nucleare» di molti romanzi apocalittici. Ma questo vorrebbe anche dire che gli ipotetici abitanti di Kepler-10c dovrebbero cavarsela senza l’energia della luce, essenziale per lo sviluppo della vita così come la conosciamo sul pianeta Terra…
Alla fine, anche Xavier Dumusque tende a credere che il pianeta abbia «pochissime probabilità di essere abitabile». E anche se «la ricerca della vita è senza dubbio una delle cose che ci stimolano nelle nostre ricerche», nel caso del pianeta Godzilla quel che è più interessante è il fatto che «rimette in causa una teoria che credevamo assestata».
I cacciatori di esopianeti non hanno comunque ancora esaurito le loro sorprese. Già nel 1995 51 Pegasi b, il primo pianeta del catalogo, aveva messo in discussione le teorie esistenti. 150 volte più pesante della Terra, con un’orbita di quattro giorni attorno a una stella che lo scalda a circa 1000° C, secondo le conoscenze dell’epoca neppure questo pianeta da incubo sarebbe dovuto esistere.
«Questo ci dimostra che la natura è in grado i creare una grande varietà di prodotti. Ogni volta che qualcosa è possibile, la natura lo fa», ha osservato alla Radio svizzera RTS Stéphane Udry, direttore dell’Osservatorio di Ginevra e coautore dell’articolo su Kepler-10c. «La caratteristica di questi vent’anni di ricerca è soprattutto la diversità degli oggetti che abbiamo trovato».
Fino a oggi sono stati scoperti 4619 pianeti. 1728 scoperte sono state confermate, per le altre 2891 sono ancora necessarie delle verifiche.
L’Università di Ginevra è il luogo dove tutto è cominciato. È lì che lavoravano Michel Mayor e Didier Quéloz quando nel 1995 annunciarono la scoperta di 51 Pegasi b, il primo dei pianeti extrasolari. Sempre nell’ateneo ginevrino sono stati concepiti i due spettrografi HARPS, i più precisi del mondo nella rivelazione di nuovi pianeti con il metodo della velocità radiale.
CHEOPS ha appena ricevuto dall’Agenzia spaziale europea (ESA) l’autorizzazione a passare alla fase di sviluppo industriale. Dalla fine del 2017, questo piccolo telescopio spaziale di concezione svizzera tenterà di osservare il transito di pianeti già identificati dalla Terra, soprattutto con i due HARPS.
Anche PLATO ha ricevuto in febbraio l’autorizzazione dell’ESA. Questo satellite, il cui lancio è previsto per il 2024, imbarcherà 32 piccoli telescopi che osserveranno sistematicamente fino all’80% delle stelle più luminose alla ricerca di nuovi pianeti. La missione vede un ampio coinvolgimento delle università di Ginevra e di Berna.
PlanetS è il nome del nuovo polo di ricerca nazionale creato nel 2013 dal governo svizzero. Entro il 2017 più di 17 milioni di franchi saranno destinati alle scienze planetarie e allo studio delle condizioni necessarie allo sviluppo della vita. Il polo è posto sotto la direzione congiunta delle università di Ginevra e di Berna.
(Traduzione dal francese, Andrea Tognina)
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