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L’Accordo quadro sulla biodiversità ci aiuterà a vivere in armonia con la natura?

Cornelia Krug

Un'intesa globale per proteggere il  30% della superficie della Terra dalla perdita di biodiversità è un traguardo importante. Ma l’obiettivo può essere raggiunto solo superando le sfide locali attraverso la cooperazione, ritiene la ricercatrice Cornelia Krug, attiva a Zurigo.

Nelle prime ore di lunedì mattina, le parti riunite alla quindicesima Convenzione sulla diversità biologica (COP15) hanno adottato l’Accordo quadro di azione globale sulla biodiversità di Kunming/Montreal. Atteso da molto tempo, l’ambizioso documento chiede “un’azione urgente per fermare e poi invertire la perdita di biodiversità e mettere la natura sulla strada del recupero”. Nel prossimo decennio, intende trasformare la relazione che l’essere umano e la società hanno con la natura e, entro il 2050, raggiungere l’obiettivo di “vivere in armonia con la natura”.

La strada per la realizzazione di questa visione sarà verosimilmente tortuosa e accidentata, poiché il raggiungimento degli obiettivi fissati per il 2030 richiederà sforzi erculei per l’implementazione a livello nazionale. I precedenti obiettivi per fermare la perdita di biodiversità entro il 2020 (obiettivi di AichiCollegamento esterno) sono quasi tutti falliti, così come l’Obiettivo biodiversità 2010Collegamento esterno, fissato nel 2002. Con l’accordo di Montreal riusciremo finalmente a invertire la curva della perdita di biodiversità, scopo dichiarato dell’intesa?

Altri sviluppi

Globalmente, la biodiversità è in declino a una velocità inaudita, paragonabile a quella di precedenti estinzioni di massa. L’attività umana sta deliberatamente causando modifiche irreversibili al sistema Terra, minacciando al contempo anche il benessere dell’umanità stessa. In Svizzera, più del 40% delle specie sono minacciate e molte sono già localmente estinte. Più della metà degli habitat naturali del Paese è a rischio e sono ormai pochissimi gli ecosistemi particolari come i prati aridi o le torbiere.

Il 30% non è abbastanza

Uno dei principali obiettivi emersi dalla o fissati dalla COP15 tenutasi a Montreal è di proteggere il 30% delle aree terrestri, delle coste, dei mari e delle acque interne entro il 2030. È spesso paragonato all’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5° Celsius rispetto all’era preindustriale, fissato dalla Convenzione sui cambiamenti climatici dell’ONU. A differenza dell’obiettivo degli 1,5 gradi, quello della protezione del 30% del pianeta può essere ancora raggiunto. Un ulteriore obiettivo “30×30” intende ripristinare il 30% degli ecosistemi degradati entro il 2030.

La protezione del 30% della Terra richiede un contributo sproporzionato da parte dei Paesi in via di sviluppo, dove la maggior parte delle aree naturali esiste ancora. In Svizzera, solo il 13% del territorio è sotto protezione – con una proposta di aumentare la percentuale al 17% entro il 2030. Il Paese è ancora molto lontano dal 30% e dal soddisfare gli obiettivi della High Ambition Coalition for Nature and PeopleCollegamento esterno di cui fa parte.

Tuttavia, proteggere il 30% della Terra non è sufficiente per assicurare anche la protezione della biodiversità, dato che le aree protette devono essere ben collegate per permettere il movimento di specie e popolazioni, anche nel contesto del cambiamento climatico.

Agire sul motore della perdita di biodiversità

La protezione della biodiversità, infatti, non va promossa solamente nel 30% della Terra tutelato dall’accordo. Quel che succede nel restante 70% è altrettanto importante. I principali motori della perdita di biodiversità in Svizzera sono la conversione e la frammentazione degli ecosistemi dovute all’agricoltura e all’urbanizzazione. Gli habitat naturali, in particolar modo laghi e fiumi, si stanno degradando a causa del riversamento di pesticidi, fertilizzanti, acque reflue industriali e altri inquinanti. Molti degli obiettivi di Montreal sono pensati per ridurre l’impatto di questi fattori (dall’inquinamento alle specie invasive) e per incoraggiare uno sviluppo e delle pratiche agricole rispettosi della biodiversità. Ciò potrebbe tradursi nella creazione di aree verdi in città, o di corridoi per gli ecosistemi naturali nelle zone agricole.

Il successo dipende fortemente dalle priorità nazionali. La sicurezza energetica o quella alimentare sono spesso citate come le ragioni per cui una conversione a pratiche più rispettose della biodiversità non è intrapresa o per cui dei sussidi dannosi alla biodiversità non vengono rimossi.

Altri sviluppi

Benché l’impronta ecologica generale della Svizzera sia diminuita, il suo impatto negativo sulla biodiversità è in crescita da due decenni, soprattutto all’esterno dei confini nazionali. Le scelte di consumo e produzione elvetiche danneggiano la biodiversità altrove, per esempio in Indonesia e in Brasile, dove le piantagioni di palme da olio e di soia stanno soppiantando le foreste pluviali. Bisogna fare molto di più  per analizzare l’impatto sulla biodiversità della gestione delle catene d’approvvigionamento e per internalizzare i costi.

Autostrada in Brasile
L’autostrada BR-163 si estende tra la Foresta Nazionale di Tapajos, a sinistra, e un campo di soia. Foto scattata nel 2019 a Belterra, nello stato di Para, in Brasile. Copyright 2019 The Associated Press. All Rights Reserved.

Ripensare la conservazione

Mettere la priorità sugli obiettivi 30×30, insomma, non basterà per raggiungere l’ambizioso obiettivo di invertire la perdita di biodiversità. Bisognerà ridurre i fattori che causano il declino e introdurre un’ampia varietà di misure che includano l’uso sostenibile delle risorse e la concessione alle comunità indigene e locali del diritto allo sfruttamento del territorio in cui abitano.

Vivere in armonia con la natura significa ripensare la relazione che l’essere umano intrattiene con la natura. Dobbiamo riconoscere che siamo parte della natura e la nostra stessa esistenza dipende da Madre Terra. L’attuale e predominante architettura finanziaria ed economica è il cuore dei nostri problemi, una soluzione più olistica è necessaria.

L’Accordo sulla biodiversità è un punto di partenza su cui lavorare e che andrà migliorato nei prossimi decenni. Per implementare l’intesa ci vuole un approccio che coinvolga tutta la società, rendendo il settore privato, quello finanziario, la società civile e attori e attrici da tutti gli ambiti parte della soluzione.

Mettere in atto il documento richiede anche una cooperazione che trascenda i confini nazionali. Le chiavi del successo sono lo sviluppo di capacità, la ripartizione dei benefici e lo stanziamento di risorse finanziarie nei Paesi in via di sviluppo in modo da equilibrare i costi della protezione e ridurre i danni alla natura. Infine, va riconosciuto il ruolo che le comunità indigene e locali svolgono nell’implementazione di questi provvedimenti.

A proposito dell’autrice

Cornelia Krug è referente per la politica scientifica del programma prioritario di ricerca “Global Change and Biodiversity” dell’Università di Zurigo e responsabile del programma di ricerca globale bioDISCOVERYCollegamento esterno. Ha svolto numerose ricerche sull’impatto della gestione del territorio sulle comunità animali e vegetali e si interessa al modo in cui le specie e gli ecosistemi rispondono ai cambiamenti ambientali e a come questi influiscono sul benessere umano. Krug ha vissuto e lavorato in Namibia, Sudafrica e Francia prima di stabilirsi in Svizzera.

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Traduzione: Zeno Zoccatelli

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