Radioattività: è la dose che fa il veleno
Solo poche tracce di iodio 131. È tutto quanto è stato misurato nel cielo svizzero dopo il disastro nucleare in Giappone. Quasi nulla rispetto alla radioattività a cui ognuno è regolarmente esposto. François Byrde, del Laboratorio Spiez, fa il punto.
Il 24 e 25 marzo, un aereo dotato di un sensore, ha sorvolato la Svizzera a 6000 metri di altitudine. I valori di iodio 131 misurati nell’aria in provenienza da Fukushima, sono 20 mila volte inferiori al limite ammesso. È quanto ha comunicato l’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), che ha ugualmente rilevato una riduzione delle concentrazioni sull’arco di due giorni.
Al culmine della nube, le concentrazioni erano di 140 microbecquerel per metro cubo (mBq/m3), mentre il valore massimo consentito è di 3 milioni di mBq/m3. A titolo di paragone, dopo Chernobyl i valori al suolo avevano raggiunto 5 milioni di mBq/m3. Nessun pericolo per la salute, quindi, ha assicurato Werner Zeller, capo della Divisione radioprotezione dell’UFSP.
Ecco i chiarimenti di François Byrde, esperto di misurazione della radioattività nel Laboratorio federale di Spiez, specializzato nei rischi di armi atomiche, biologiche e chimiche e dei mezzi per proteggersi.
swissinfo.ch: In Svizzera come viene sorvegliata la radioattività?
François Byrde: In tempi normali la responsabilità spetta all’UFSP, in collaborazione con diversi istituti federali e cantonali. In caso di crisi, il coordinamento delle misure viene assunto dalla Centrale nazionale di allarme e poi da uno Stato maggiore federale.
Concretamente si prelevano e si analizzano regolarmente dei campioni di alimenti, del suolo e dell’acqua. La contaminazione dell’aria è controllata da cinque stazioni al suolo e l’UFSP possiede anche un filtro che può essere installato su un aereo per misurare la radioattività nell’aria a una quota specifica. Ed è quello che stiamo facendo ora.
Oggi abbiamo tecniche di rivelazione incredibili: siamo in grado di individuare con facilità una quantità di plutonio equivalente ad una zolletta di zucchero disciolto nel lago di Thun analizzando solo un litro d’acqua.
swissinfo.ch: Molto prima del passaggio della nube del Giappone, sopra i cieli svizzeri sono passate quelle dei test nucleari degli anni sessanta e quella di Chernobyl del 1987. Che cosa rimane oggi?
F. B.: Questi eventi hanno provocato ricadute contenenti isotopi radioattivi come lo iodio 131, il cesio 137, lo stronzio 90 e il plutonio 239. Dopo il disastro di Chernobyl, la Svizzera ha ricevuto, per esempio, una quantità di iodio 131 equivalente in forma solida al volume di un pacchetto di sigarette.
A parte lo iodio 131 che visto il suo breve tempo di dimezzamento è ormai scomparso, queste sostanze sono ancora rilevabili in infime quantità nel nostro ambiente e nel nostro cibo. Tutti questi isotopi sono monitorati dall’UFSP, che pubblica i risultati nel suo rapporto annuale.
Detto questo, meno del 2% della dose media di radiazioni a cui l’uomo è esposto, proviene da esperimenti nucleari nell’atmosfera, da Chernobyl e dalle centrali nucleari, anche se questa parte può essere maggiore nelle regioni colpite da ricadute radioattive importanti, come il Ticino dopo Chernobyl.
Per gli esseri umani, questo 2% non è pericoloso. Rappresenta in media, una dose inferiore a 0,1 millisievert per anno (mSv/anno). E la dose a cui siamo esposti naturalmente, è di circa 5 mSv/anno. [in Svizzera, la dose considerata legalmente ammissibile è di 20 mSv/anno, ndr.]
swissinfo.ch: Appunto, quali sono le fonti naturali di irraggiamento a cui siamo esposti quotidianamente?
F. B.: C’è prima di tutto l’irraggiamento terrestre dovuto alle catene radioattive di isotopi di uranio e torio. Il radon, elemento della catena dell’uranio 238, è un gas raro radioattivo, che può essere molto nocivo in caso di inalazione. Se prendiamo il caso di abitazioni situate sopra un sottosuolo ricco di uranio, una cantina non isolata potrà aspirare il radon in tutto il volume abitabile. In Svizzera, il monitoraggio del radon è eseguito dall’UFSP.
Siamo in seguito esposti alla radioattività naturale del nostro corpo che contiene, tra gli altri, circa 50 Bq/kg di potassio 40.
C’è anche l’irraggiamento cosmico, debole a terra, ma nettamente più forte in quota. Così il personale di volo che lavora 20 ore alla settimana a 8000 metri o più di altitudine, ne riceve circa 1 mSv/anno.
Non dimentichiamo, infine, i trattamenti medici che possono richiedere dosi di radiazioni particolarmente elevate. Ma in questo caso occorre mettere sul piatto delle bilancia il rischio legato alla mancanza di cure.
swissinfo.ch: Naturale o frutto delle attività umane, la radioattività è sempre dannosa per il corpo?
F. B.: Potenzialmente sì, a partire da un certo livello. Ma per esempio, una persona che non ha alcuna attività che la espone particolarmente, non corre praticamente nessun rischio. È la dose che fa il veleno.
Lo iodio 131 e lo stronzio 90 sono prodotti di fissione dei reattori nucleari o delle bombe atomiche. Ingerito o inalato, il primo può causare danni enormi nella tiroide dove si fissa. Le persone esposte devono assumere delle pastiglie di iodio non radioattivo per saturare questo organo ed evitare così che lo iodio 131 vi si installi.
Ingerito, lo stronzio 90 è ugualmente nefasto perché si fissa nelle ossa. Si tratta di un prodotto di fissione proveniente dai test nucleari atmosferici e da Chernobyl.
Quanto a torio e uranio, provengono dalla radioattività naturale. Ma non per questo sono meno dannosi.
La materia è composta di atomi formati da un nucleo intorno al quale gravitano degli elettroni. Nel nucleo si trovano dei protoni (in numero equivalente a quello degli elettroni) e dei neutroni.
Ogni elemento ha un numero specifico di protoni e elettroni. Si va dall’idrogeno (un protone e un elettrone) all’uranio (92 protoni e 92 elettroni).
Gli isotopi sono atomi di uno stesso elemento che si differenziano per il numero di neutroni presenti nel nucleo. Vengono indicati col nome dell’elemento seguito da una cifra che equivale alla somma del numero di protoni e di neutroni dell’atomo. Il carbonio 14, ad esempio, conta 6 protoni e 8 neutroni. Uno stesso elemento può avere degli isotopi stabili e altri che non lo sono (isotopi radioattivi).
La radioattività è un’emissione di radiazioni più o meno nocive per la salute dovuta al decadimento degli atomi instabili, ovvero al processo che li conduce verso una forma atomica più stabile. Questo processo può avere un’origine naturale o umana (bomba atomica, centrali nucleari).
Il tempo di dimezzamento (o emivita) di un isotopo radioattivo è il tempo necessario affinché la metà degli atomi di un campione puro dell’isotopo decadano in un altro elemento; in altre parole è il tempo necessario alla perdita della metà della radioattività di partenza. Lo iodio 131 ha un’emivita di 8 giorni, il cesio 137 e lo stronzio 90 di 30 anni, il carbonio 14 di 5700 anni, il plutonio 239 di 24 mila anni, e l’uranio 238 di 4,5 miliardi di anni (l’età della Terra).
Traduzione dal francese, Françoise Gehring
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