Alla ricerca dei misteri delle mummie
Un noto anatomista svizzero ha provato a mummificare parti del corpo umano utilizzando lo stesso procedimento col sale impiegato dagli antichi egizi.
Frank Rühli, che ha esaminato tra le altre cose la scansione ottenuta con la tomografia computerizzata di Tutankhamon e di Ötzi, l’uomo di Similaun mummificato dai ghiacci, sta attualmente analizzando come i tessuti umani reagiscono durante la mummificazione.
Il suo laboratorio si trova nei sotterranei del campus di Irchel dell’Università di Zurigo. In un angolo, dietro a uno schermo protettivo, vi è un cassone di legno riempito di sale, nel quale è appena visibile la sagoma di un arto.
Il ricercatore ha utilizzato una miscela salina basata su uno studio condotto durante la metà degli anni ’90 negli Stati Uniti, che aveva cercato di determinare la “formula magica” usata dagli antichi egizi per essiccare i corpi prima della sepoltura.
“È stupefacente vedere la quantità di sale necessaria; finora ne abbiamo usati circa 60 chili”, spiega Rühli, responsabile della ricerca all’Istituto di anatomia.
“Nello studio degli anni ’90 per il processo di mummificazione di un corpo intero ne erano stati impiegati più di 200”, precisa Rühli.
Risultati sorprendenti
Il suo esperimento, durato circa 80 giorni, è il primo a livello mondiale ad aver utilizzato il non plus ultra della tecnologia: radiologia medica all’avanguardia, risonanza magnetica, tomografia computerizzata…
I tessuti e il DNA sono stati esaminati per determinare in che modo si degradano durante la mummificazione.
“Sorprendentemente la mummificazione è durata più dei 70 giorni previsti”, spiega Rühli.
“Alcuni giorni fa abbiamo fatto alcune analisi e la risonanza magnetica ci ha mostrato che vi erano ancora tracce d’acqua. Ciò significa che, contrariamente a quanto prevedevamo, nei tessuti vi è ancora presenza di umidità”.
Anche se già si conoscono molte cose della tecnica di mummificazione utilizzata dagli egizi – che credevano fosse un passaggio essenziale verso l’aldilà – non è ancora chiaro quanto tempo venisse consacrato alla salatura.
Il corpo era essicato col sale dopo la rimozione degli organi. La pelle era in seguito trattata con olii e resina e il corpo infine ricoperto con del lino, addobbato con amuleti e adagiato in una bara.
I faraoni e i ricchi egizi avevano le tombe più spettacolari, mentre i poveri dovevano in generale accontentarsi di una sepoltura nel deserto, dove grazie alla sabbia calda veniva generato un processo naturale di mummificazione.
I risultati degli esperimenti effettuati a Zurigo assomigliano alle mummie che si possono ammirare nei musei. “Se si toglie il sale, da un punto di vista morfologico e macroscopico le sembianze sono quelle di un tessuto essicato, di colore nero un po’ verdastro”.
Un corpo intero?
Il ricercatore prevede di continuare l’esperimento ancora per un mese. Verso la fine dell’anno inizierà a mummificare un’altra parte di un corpo per controllare se si produrranno gli stessi risultati.
Rühli, che per questo primo esperimento ha utilizzato una gamba, vorrebbe eventualmente provare a mummificare un corpo intero con questa procedura di salinizzazione. Ciò comporterebbe però un notevole investimento dal punto di vista logistico.
Tutte le parti del corpo utilizzate provengono da donatori, spiega Rühli. “Sono offerte quando il donatore è ancora in vita; tutto il progetto è stato approvato dai comitati d’etica”, sottolinea.
L’idea alla base dello studio, finanziato dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica, è di esaminare come i tessuti umani reagiscono a diverse condizioni ambientali, come i cambiamenti di temperatura e l’umidità.
Un fascino sempre presente
I risultati potrebbero essere utili per la moderna medicina legale, a volte confrontata con corpi mummificati.
Rühli ha già lavorato con due delle più famose mummie del mondo.
Grazie alla scansione ottenuta con una tomografia computerizzata effettuata nel 2005, il ricercatore zurighese ha potuto stabilire che il faraone Tutankhamon non morì per un colpo alla nuca, come si pensava fino ad allora. Le ragioni della sua morte rimangono tuttora oscure.
Rühli ha potuto anche mostrare che “Ötzi”, la famosa mummia risalente al 3’300 a.C. ritrovata sul ghiacciaio di Similaun, al confine fra Italia e Austria, morì di emorragia a causa di una ferita causata da una freccia.
Secondo Rühli, il fascino che le mummie esercitano sulla gente è dovuto soprattutto al fatto che ci si trova confrontati a un corpo che assomiglia a quello di una persona ancora in vita, ma che in realtà è morta da migliaia d’anni.
“Personalmente questa ricerca mi interessa per due ragioni precise: da un punto di vista medico per vedere come i tessuti reagiscono e da un punto di vista storico per sapere come le civilizzazioni antiche cercavano di preservare i loro cari dopo la morte”, conclude lo scienziato zurighese.
Isobel Leybold-Johnson, Zurigo, swissinfo.ch
(traduzione di Daniele Mariani)
Obiettivo del progetto diretto da Rühli è di esaminare diverse mummie custodite nei musei svizzeri in maniera non invasiva. Grazie all’esperienza acquisita, le competenze dell’equipe di ricercatori zurighesi sono state richieste anche per analizzare mummie famose come quella di Tutankhamon o dell’Uomo di Similaun.
I metodi utilizzati includono i raggi X, la tomografia computerizzata, l’endoscopia, la risonanza magnetica, nonché la metanalisi della letteratura sulle mummie.
La mummificazione risulta in generale da un processo naturale o artificiale che blocca la decomposizione dei tessuti di un cadavere, preservandolo nel tempo.
I principali fattori che ostacolano i processi putrefattivi sono una temperatura molto alta o molto bassa, una buona ventilazione, l’assenza di umidità o la mancanza di ossigeno.
Diverse culture antiche hanno invece fatto ricorso a tecniche artificiali di mummificazione, attraverso vari procedimenti di essicazione e imbalsamazione. In Egitto le tecniche erano così raffinate che non venivano applicate solo agli esseri umani, ma anche a coccodrilli e gatti.
Mummie essicate sono state rinvenute anche nel Sud-Est asiatico, in Australia, in Cina e in diverse regioni dell’Africa settentrionale e centrale.
Le mummie più antiche, appartenenti alla cultura Chinchorro, sono quelle ritrovate lungo la costa meridionale del Perù, risalenti al 9000 a.C.
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