Filtrare il CO2 dall’aria, azzardo o necessità?
Per limitare il riscaldamento globale non basterà ridurre le emissioni. Si dovrà anche rimuovere il CO2 dall'atmosfera, un campo in cui la Svizzera è all'avanguardia. Quali le potenzialità e i limiti delle tecnologie per la cattura dell'anidride carbonica?
“Mi dispiace, ho una brutta notizia per voi”, ha affermato a metà ottobre il direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia. Soltanto nei primi nove mesi del 2018, le emissioni di CO2 nel mondo hanno già raggiunto un nuovo record, ha rilevato Fatih Birol.
Un’evoluzione che contrasta con le conclusioni dell’ultimo rapporto degli esperti climatici delle Nazioni Unite (IPCC), per i quali è necessaria una riduzione drastica delle emissioni se si vuole limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C, l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi sul climaCollegamento esterno. Entro il 2030, le emissioni nette causate dalle attività umane dovranno diminuire del 45%, rispetto ai valori del 2010, e azzerarsi entro il 2050, sostiene l’IPCC.
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Per contenere l’aumento della temperatura a un livello sostenibile, ridurre le emissioni non sarà però sufficiente, avvertono i climatologi. Sarà anche indispensabile rimuovere miliardi di tonnellate di CO2 dall’atmosfera.
L’aspiratore svizzero di CO2
Nell’ambito delle tecnologie di sequestro di CO2, la Svizzera “è all’avanguardia”, commenta a swissinfo.ch Sonia SeneviratneCollegamento esterno, ricercatrice dell’Istituto di scienze atmosferiche e climatiche del Politecnico federale di Zurigo e coautrice dell’ultimo rapporto dell’IPCC.
Nel 2017 a Hinwil, a qualche chilometro da Zurigo, è stato messo in funzione il primo impianto industriale in grado di catturare e sfruttare l’anidride carbonica presente nell’atmosfera (tecnologia DAC, ‘direct air capture‘). Il sistema concepito dalla start-up elvetica ClimeworksCollegamento esterno può assorbire fino a 900 tonnellate di CO2 all’anno, l’equivalente delle emissioni di circa 450 autovetture.
Altri sviluppi
Un moderno aspiratore per ripulire l’aria dal CO2
Forte dell’esperienza acquisita in Svizzera, Climeworks ha inaugurato degli impianti DAC in sei Paesi, tra cui ItaliaCollegamento esterno e IslandaCollegamento esterno. Quello nel paese scandinavo è il primo al mondo a catturare il CO2 atmosferico e a immagazzinarlo nelle profondità del terreno, dove il gas si trasforma in roccia.
Obiettivo di Climeworks, che di recente ha annunciato di aver raccolto finanziamenti per circa 30 milioni di franchi, è di aspirare dall’atmosfera l’1% delle emissioni globali di CO2 (circa 300 milioni di tonnellate) entro il 2025.
600 franchi per una tonnellata di CO2
Il vantaggio dei moduli di Climeworks è di trasformare un prodotto di scarto in una materia prima, sottolinea la responsabile della comunicazione Louise Charles. Quando non viene iniettato nel sottosuolo, il CO2 può infatti essere utilizzato per stimolare la crescita vegetale nelle serre, fabbricare bevande gassate e, come nel caso del progetto in Italia, produrre carburanti.
Aspirare il CO2 direttamente dall’aria, dove la concentrazione è soltanto dello 0,04%, è però costoso. Attualmente, ci vogliono circa 600 franchi per catturare una tonnellata di CO2. “Il nostro scopo è di scendere a 100 franchi”, indica Louise Charles.
La Svizzera emette poco, ma importa molto CO2
La Svizzera ha emesso 38 milioni di tonnellate di CO2 nel 2016, circa lo 0,1% delle emissioni a livello globale, secondo il Global Carbon AtlasCollegamento esterno. Un impatto quindi trascurabile? Non esattamente. Se si considerano le emissioni pro capite, la Svizzera (4,5 tonnellate) si situa poco al di sotto della media mondiale (4,8). Tale cifra si riferisce però soltanto ai gas prodotti all’interno dei confini nazionali. Tenendo conto anche delle merci e dei servizi importati, le emissioni pro capite degli svizzeri triplicano. Secondo Augustin FragnièreCollegamento esterno, ricercatore del laboratorio di idee liberale foraus, la Svizzera è il paese al mondo che importa più CO2 rispetto alle emissioni nazionali.
Incognite e interrogativi
Il costo non è l’unica limitazione, osserva Urs Neu, direttore del Forum svizzero sul clima e il mutamento globale (ProClimCollegamento esterno) e membro dell’Accademia svizzera di scienze. “La tecnologia per sequestrare il CO2 dall’aria è ancora in fase sperimentale. Gli impianti attivi nel mondo sono pochi e vanno trovati dei depositi sicuri in profondità. Siamo ancora lontani dall’utilizzo su vasta scala auspicato”, spiega a swissinfo.ch.
Questi sistemi necessitano inoltre di molta energia. Sono quindi sensati soltanto se alimentati da fonti rinnovabili (nel caso di Climeworks si utilizza il calore dell’inceneritore a Hinwil e l’energia geotermica in Islanda). Urs Neu, coautore di una pubblicazioneCollegamento esterno sul tema, solleva comunque un interrogativo: “C’è da chiedersi se non sia più vantaggioso usare l’elettricità verde per evitare di bruciare combustibili fossili, e quindi per ridurre le emissioni, invece che per assorbire il CO2 atmosferico”.
Piantare alberi? Meglio non tagliarli
Tra le tecnologie a emissioni negative, gli esperti ritengono che la più promettente sia la cosiddetta BECCS (‘bionergia combinata con la cattura e il sequestro del carbonio’). Essa prevede di generare elettricità bruciando della biomassa e di catturare e immagazzinare in strati geologici profondi il CO2 prodotto dalla combustione. “Si potrebbero utilizzare i rifiuti di legno e gli scarti biologici, che sono però presenti in quantità limitate”, rileva Urs Neu.
L’ostacolo principale, prosegue, è in questo caso lo spazio. “Per fare della BECCS su larga scala bisognerebbe coltivare piante dalla crescita veloce e che si prestano allo sfruttamento energetico, come ad esempio il mais, su grandi superfici. Ciò sarebbe però in competizione con altri utilizzi del terreno, in primis la produzione alimentare”, sottolinea il direttore di ProClim. Nel caso della BECCS, si stima che per avere un effetto tangibile si debbano coltivare piante su una superficie di centinaia di milioni di ettari.
Lo stesso vale per il metodo più semplice per ridurre il CO2 atmosferico, la riforestazione. “Le zone più indicate per questo tipo di intervento si trovano ai tropici. Si tratta tuttavia di regioni in cui l’agricoltura è già sotto pressione a causa dei cambiamenti climatici. Difficile dunque trovare lo spazio per piantare alberi”, afferma Urs Neu. La sfida attuale, rammenta, non è tanto di favorire il rimboscamento, ma di arrestare la deforestazione. “Ancor prima di piantare alberi bisognerebbe smettere di tagliarli”.
Altri metodi, come la fertilizzazione degli oceani o le tecniche per aumentare il tenore di CO2 nel suolo, sono soltanto teorici, puntualizza Urs Neu. “Non sappiamo se avranno davvero degli effetti tangibili sulla concentrazione di CO2 e, soprattutto, se comportano rischi per l’ecosistema marino e l’ambiente in generale”.
Una soluzione d’emergenza
Le tecnologie per il sequestro del CO2, così come quelle per modificare artificialmente il clima (geoingegneria), non fanno l’unanimità. Secondo il Consiglio consultivo scientifico delle Accademie europee, l’eliminazione del CO2 dall’aria non eviterà il cambiamento climatico. Nessuna tecnologia può ridurre il CO2 atmosferico nella misura necessaria e alla velocità prefigurate dall’IPCC, scrivono gli studiosi europei nel loro ultimo rapportoCollegamento esterno, sottolineando che l’unica via percorribile è il taglio delle emissioni.
Anche per l’Alleanza ClimaCollegamento esterno, che raggruppa una settantina di organizzazioni ambientaliste e umanitarie svizzere, l’eliminazione su vasta scala del CO2 è “rischiosa e troppo costosa”. Le priorità, sostiene, devono essere la rapida riduzione delle emissioni e la protezione dei serbatoi naturali di carbonio, ovvero le foreste e gli oceani.
Un punto su cui concorda pure Urs Neu di ProClim: “Il sequestro di CO2 dall’atmosfera dev’essere una soluzione transitoria, non una prospettiva a lungo termine. Si tratta di un intervento di emergenza. La direzione da seguire è una sola: evitare le emissioni”.
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