Fisica quantistica: le solide leggi dell’assurdo
Nell'infinitamente piccolo, la materia si comporta in modo del tutto eccentrico. Questo è noto da più di un secolo e le applicazioni pratiche sono ora in fase di studio. Il mondo è alle soglie della seconda rivoluzione quantistica.
Tutto, assolutamente tutto ciò che esiste – voi, io, l’aria che respiriamo, le foglie degli alberi, la mia bicicletta, il vostro cane, il pianeta Giove o lo schermo su cui state leggendo – è fatto di molecole. Le molecole sono assemblaggi di atomi, che a loro volta sono assemblaggi di protoni, neutroni ed elettroni. E quando le si osserva su scala molto, molto piccola (qualcosa come 10-18 metri), si vede che queste particelle, questi “grani” di materia, si comportano in modo molto diverso dai grandi assemblaggi che formano.
Un elettrone o un fotone (“granello di luce”) è in grado di passare attraverso due fori contemporaneamente, di trovarsi in più luoghi simultaneamente o di ruotare in più direzioni allo stesso tempo. Ancora più strano, queste particelle sembrano essere in grado di comunicare da un punto all’altro dello spazio, più velocemente della luce (!). E persino di teletrasportarsi (!!).
“Se la teoria dei quanti non vi sconvolge, è perché non l’avete capita”, ha detto Niels Bohr, premio Nobel per la fisica nel 1922, portiere di calcio e primo uomo ad avere unificato le varie scoperte che hanno dato origine alla teoria dei quanti.
Come facciamo a sapere tutto questo, e da così tanto tempo, se nessuno ha mai visto qualcosa di così piccolo come un elettrone?
“È l’impressionante potenza dell’intelligenza umana che riesce a combinare l’osservazione della natura con le costruzioni matematiche”, risponde Nicolas Gisin, fisico, giocatore di hockey, direttore della nuova Commissione quantistica svizzera, nonché autore di un libroCollegamento esterno sull’argomento.
Alla fine del XIX secolo, i fisici e le fisiche erano convinti di aver svelato gli ultimi segreti della materia e non si aspettavano più di fare progressi nella loro disciplina. Ma ci sono ancora alcuni fenomeni che la fisica classica non può spiegare. Ad esempio, il modo in cui il colore di un oggetto cambia quando viene riscaldato. Sotto una fiamma ossidrica, un pezzo di metallo passa dal rosso al giallo, poi al bianco e dovrebbe emettere luce ultravioletta, che i nostri occhi non possono rilevare. A quel punto diventerebbe invisibile. Ma questo non accade mai, perché in realtà emette molto meno ultravioletto di quanto previsto dalla teoria.
Fu questa anomalia a spingere Max Planck, premio Nobel per la fisica nel 1918, pianista e professore all’Università di Berlino, a seguire la pista di una nuova teoria che spiegasse il comportamento dell’infinitamente piccolo. Strofinandosi gli occhi e sperando di sbagliarsi, Planck elaborò delle equazioni e presentò nel 1900 l’ipotesi che l’energia (la luce è una forma di energia) non venga emessa in modo continuo, ma sotto forma di piccoli pacchetti, che chiamò quanti. Come l’acqua che non scorre in un flusso continuo, ma solo a gocce.
Albert Einstein, premio Nobel per la fisica nel 1921, violinista e poi impiegato presso l’Ufficio federale dei brevetti di Berna, si è ispirato a questa scoperta e nel 1905 ha proposto la sua teoria dell’effetto fotoelettrico. Essa presuppone che la luce non sia un’onda, come si credeva in precedenza, ma un fascio di particelle, i quanti, che sarebbero stati chiamati fotoni.
Quindi, la luce è un’onda o un fascio di piccole sfere?
È entrambe le cose. Ma anche nessuna delle due. La seconda generazione di fisici all’inizio del XX secolo – Niels Bohr, Louis de Broglie, Paul Dirac, Erwin Schrödinger, Wolfgang Pauli e Werner Heisenberg (tutti premi Nobel) – dimostrò che fotoni, elettroni e altre particelle si comportano sia come piccoli grani di materia sia come onde. Una realtà inquietante, che portò Heisenberg a chiedersi se fosse “possibile che la natura sia così assurda come sembra”.
E che dire del famoso gatto di Schrödinger, chiuso in una scatola dove può essere sia vivo che morto? La gabbia doveva essere aperta per scoprire se l’animale fosse vivo o morto. Questo esperimento puramente teorico fu proposto nel 1935 dal fisico per dimostrare che il mondo quantistico si basa su una combinazione di probabilità. Tuttavia, sarebbe stato fattibile solo se il gatto fosse stato una particella, non un essere vivente composto da qualche miliardo di atomi.
Come Max Planck all’inizio e come Albert Einstein, Erwin Schrödinger entrò nella fisica quantistica solo per dimostrarne le lacune. Tuttavia, alla fine si lasciò convincere. Einstein, d’altra parte, fu sempre riluttante ad accettare una teoria che lasciava così tanto spazio al caso e si basava su probabilità e statistiche. Per lui l’universo era interamente decifrabile e “Dio non gioca a dadi”, come disse a Bohr nel 1927.
Caso contro determinismo, Planck contro Einstein: chi aveva ragione e chi ha reso possibile la prima rivoluzione quantistica?
Planck. E dopo di lui Bohr e i suoi discepoli, riuniti in quella che fu chiamata la Scuola di Copenaghen. Per quanto possa sembrare confusa, per quanto possa essere scomoda per gli studenti e le studentesse che devono affrontarla con una tabula rasa, la teoria quantistica non è mai stata messa in discussione.
Ha permesso di capire come funzionano gli atomi e, in larga misura, come si legano tra loro per formare le molecole, aprendo la strada a spettacolari progressi nella chimica e nella biologia. Nella tecnologia, è la comprensione dei meccanismi quantistici che ci ha permesso di controllare il flusso di particelle (elettroni o fotoni) che azionano i nostri laser, la radio, la TV, il computer e i telefoni cellulari. In realtà, tutti questi oggetti apparsi nella seconda metà del XX secolo sono già tecnologie quantistiche.
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Cosa dobbiamo aspettarci dalla seconda rivoluzione quantistica?
Nel 2022, il Premio Nobel per la fisica viene nuovamente assegnato ai teorici dei quanti. Alain Aspect, John F. Clauser e Anton Zeilinger hanno lavorato sul cosiddetto entanglement (o “correlazione” a distanza) quantistico.
Questa è una delle proprietà più sconcertanti delle particelle. Quando due di esse sono correlate, se si cambia lo stato di una, l’altra assumerà lo stesso valore. Immediatamente e anche se si trova all’altro capo della galassia (!). “Questo rimane un mistero assoluto. È come se queste correlazioni apparissero dall’esterno dello spazio-tempo”, ci ha detto Nicolas Gisin nel 2008, dopo un esperimento di teletrasporto quantistico condotto all’Università di Ginevra.
Teletrasporto? Sì. Da circa vent’anni siamo entrati nella seconda rivoluzione quantistica. Quella in cui non manipoliamo più flussi di elettroni o fotoni, ma queste stesse particelle (e persino gli atomi) singolarmente. La crittografia quantistica e altre applicazioni “semplici” sono già entrate nella vita di tutti i giorni, ma il graal rimane il famoso computer quantistico. Sfruttando le proprietà molto speciali delle particelle quantistiche, sarebbe teoricamente dotato di una potenza di calcolo al di là della portata delle macchine convenzionali.
Stiamo parlando di operazioni molto complesse, che permetterebbero di modellare nuovi farmaci o nuovi materiali, di ottimizzare le reti di distribuzione, le batterie o le celle solari, di comprendere i meccanismi della fotosintesi e molte altre cose.
Del computer quantistico si parla da molto tempo. Quando sarà disponibile in commercio?
Probabilmente mai, perché le sfide tecniche da affrontare per costruire una macchina del genere sono enormi.
In un processore quantistico, le informazioni sono memorizzate su particelle, che diventano qubit (il bit quantistico, ovvero l’unità di informazione quantistica). Tuttavia, sono molto instabili, generano molti errori e, per funzionare correttamente, la macchina deve essere completamente protetta da vibrazioni, campi elettrici o magnetici e fonti di luce. Deve inoltre essere collocata in un ultracongelatore, poiché la sua temperatura di esercizio ideale è prossima allo zero assoluto (-273°C). Solo così le particelle possono rimanere abbastanza tranquille da poter essere “manipolate”.
Nonostante queste difficoltà, tutti i principali Paesi stanno spendendo miliardi per la ricerca e lo sviluppo in campo quantistico. L’argomento è molto di moda. Anche i giganti della tecnologia (IBM, Intel, Honeywell, ecc.) e del commercio online (Amazon, Alibaba) stanno investendo in questo settore.
Piuttosto che un computer completo (o anche un portatile, che per il momento è pura fantascienza), è più ragionevole immaginare processori quantistici installati in locali ad hoc che possono essere consultati a distanza via Internet. La presunta potenza di calcolo di queste macchine non sarebbe di alcun aiuto per la maggior parte delle attività che svolgiamo quotidianamente con i nostri computer, come scrivere, inviare una e-mail, modificare una foto, girare un video o navigare sul web. Sarebbe davvero utile solo per operazioni molto complesse e specifiche.
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A cura di Sabrina Weiss
Traduzione dal francese: Sara Ibrahim
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