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Fukushima: “una tragedia umana”

Due contadini confrontati con il nucleare: il giapponese Satoshi Nemoto (a sinistra) e lo svizzero Walter Ramseier Fukushima Mühleberg swissinfo.ch

Un anno dopo il disastro nucleare di Fukushima, Greenpeace ha invitato in Svizzera dei giapponesi della regione colpita. Con questa visita l'organizzazione ambientalista ha voluto "dare un volto umano" alla catastrofe della centrale atomica.

Il paesaggio è idilliaco. Siamo in riva al fiume Aare al crepuscolo serale. Il fiume scorre tranquillo davanti a noi. Proprio di fronte, sull’altra sponda del fiume, si trova la centrale nucleare di Mühleberg, in funzione da 40 anni, situata a circa 13 chilometri dal centro della città di Berna.

“Sono stupito che possiamo andare così più vicino ad una centrale nucleare”, osserva Satoshi Nemoto, contadino a tempo parziale nei pressi di Fukushima. “In Giappone sarebbe venuta immediatamente la polizia”.

In precedenza Nemoto ha discusso con il contadino Walter Ramseier di come si vive vicino ad una centrale nucleare. Ancorché vicinanza è un termine relativo. La sua azienda agricola si trova a 60 km dalla centrale di Fukushima Dai-ichi.

Greenpeace Svizzera ha invitato Nemoto e l’insegnante di inglese Yuko Nishiyama a partecipare a diversi eventi per far conoscere la situazione in Giappone.

L’organizzazione ambientalista ha così voluto mostrare che “un disastro di una centrale nucleare è sempre prima di tutto una tragedia umana”, spiega Franziska Rosenmund, addetta stampa di Greenpeace Svizzera.

Riso irradiato

Fino al momento della catastrofe nucleare, Nemoto coltivava riso, verdure e cachi. Da allora non può più vendere il suo riso. L’anno scorso ha ancora prodotto soltanto per uso proprio.

Nella città di Nihonmatsu, dove vive, nel riso sono stati misurati 500 raggi Becquerel, racconta. “Ma anche se il riso non fosse stato contaminato, i consumatori non me lo comprerebbero più perché proviene dalla regione Fukushima”.

Ramseier, la cui azienda di agricoltura biologica è a circa un chilometro in linea d’aria dalla centrale atomica di Mühleberg, incontra problemi simili. “Quando la gente ha sentito che coltivavamo verdure biologiche vicino a un reattore nucleare, ha scosso la testa e ha detto che era una contraddizione. Abbiamo avuto perdite finanziarie”.

Il contadino bernese dice che prima si credeva a molte cose. Ma ora il 68enne, che dal 1979 pratica l’agricoltura biologica, dice di avere “più paura”. Ramseier si dice stupito dalle dichiarazioni di Nemoto, secondo cui in Giappone attualmente sono ancora in funzione due delle 54 centrali nucleari esistenti e che presto anche quelle due saranno disattivate. Per Ramseier, è chiaro che ora è giunto il momento di passare alla produzione di energie alternative.

L’ora del ripensamento

Un cambiamento di rotta che auspica anche il 55enne Nemoto. In qualità di presidente dell’associazione locale di contadini “Nomiren Fukushima”, si batte per il risarcimento degli agricoltori e rappresenta le loro rivendicazioni di fronte alle autorità.

I contadini giapponesi nelle zone colpite ora dovrebbero cambiare mentalità, dice. “I campi contaminati potrebbero anche essere utilizzati per la produzione di energie rinnovabili. Non dobbiamo guardare indietro, bensì al futuro. Questo cambiamento di mentalità mi fa persino divertire!”.

Nemoto non crede che la chiusura delle centrali nucleari abbia un forte impatto sul Giappone. Dal 2006 la popolazione continua a diminuire ed ha bisogno di meno energia, rileva. A suo avviso, Fukushima dev’essere colta quale possibilità di mostrare come si possa vivere in una società “intelligente”.

Satoshi Nemoto ha un interesse particolare per la Svizzera, perché questo paese poco dopo il disastro di Fukushima ha deciso di abbandonare il nucleare. Ciò gli ha fatto piacere. Si attende quindi che la Svizzera invii un messaggio al Giappone: “L’energia nucleare e la gente non possono stare insieme”.

Prima della catastrofe, aveva sempre creduto alla “sicurezza assoluta”, proclamata dalle autorità nipponiche, della tecnologia nucleare. “Dopo l’esplosione, si è vista l’impotenza e non si sapeva cosa fosse accaduto all’interno della centrale”. Per lui è diventato chiaro che “l’energia nucleare non è controllabile dall’uomo”.

“Una problema familiare”

La traduttrice e insegnante di inglese Yuko Nishiyama è una dei cosiddetti “sfollati volontari” che non abitavano nell’attuale zona di esclusione di un raggio di 20 km intorno alla centrale nucleare, ma che hanno comunque lasciato la regione.

La decisione di andarsene, con la figlia di due anni Mariko, dalla città di Fukushima è stata molto difficile, racconta. Aveva solo informazioni frammentarie e andava contro i pareri dei genitori, del marito e del governo.

La maggior parte degli sfollati volontari sono madri con figli piccoli, che erano preoccupati per la salute dei bambini. A Kyoto, Nishiyama lo scorso dicembre ha istituito l’organizzazione “Minna no te” (Tutte le mani) per aiutare quelle persone e le loro famiglie.

Fino al giugno 2013 potrà vivere con la figlia nell’ex città imperiale, lontano da Fukushima, in un alloggio gratuito. Ma cosa succederà dopo, ancora non si sa.

“Voglio vivere con mio marito”, dice. “Ma in un luogo sicuro”. A Fukushima City è ormai impensabile una vita normale. I bambini possono giocare all’aperto solo circa un’ora, poi i vestiti devono essere puliti.

Di conseguenza, ora ha un “problema familiare”: il marito vuole mantenere il suo lavoro nel Giappone orientale, mentre lei vuole rimanere nel Giappone occidentale. Attualmente, il marito lavora a Tokyo, circa 250 km dalla centrale di Fukushima. Dunque anche lui è al sicuro, le diciamo. “Pensa che Tokyo sia sicura?”, replica.

Cambiamento

“Già prima di quello di Fukushima, c’erano stati molti incidenti. I responsabili non hanno mai detto nulla. Hanno cercato di nasconderli”.

Di conseguenza, non ha mai avuto una sensazione positiva nei confronti delle centrali nucleari e della società di gestione Tepco. “Ma allo stesso tempo io sono giapponese e credevo di non poter cambiare nulla”.

La donna vuole impartire agli allievi delle scuole svizzere una lezione che ha imparato dal disastro in Giappone. “Dovete sapere cosa è accaduto a Fukushima. Adesso lo so: anche i bambini possono cambiare il mondo!”

La dimensione del disastro nucleare di Fukushima mette spesso in ombra l’immensa sofferenza di migliaia di famiglie dopo il terremoto al largo della costa di di Honshu, l’isola principale del Giappone.

Quello che oggi è chiamato il grande terremoto e maremoto del Tohoku, si è verificato l’11 marzo 2011 alle 14:46, ora locale, di fronte alla costa di Sanriku, con una magnitudo di 9.0 gradi sulla scala Richter. È la più forte scossa mai misurata in Giappone.

Il successivo tsunami ha devastato molti villaggi e città e ha fatto più di 15mila morti. Diverse migliaia di persone sono tuttora disperse.

In seguito alle inondazioni causate dall’onda anomala, in alcune vasche di stoccaggio del combustibile esausto della centrale di Fukushima I si è interrotto il sistema di raffreddamento.

Il 12 marzo c’è stata una prima esplosione di idrogeno nel blocco 1, e nei giorni seguenti, anche nei blocchi 2 e 3. Ciò ha portato in tutti i tre reattori a una fusione parziale.

Dopo qualche esitazione, infine, sono state sfollate 150mila persone da una zona di 20 km intorno alla centrale.

La zona di esclusione è ancora completamente chiusa oggi. Circa 80mila persone non sono potute tornare nelle loro abitazioni.

Il soggiorno di una settimana di due persone dal Giappone, è stato organizzato da Greenpeace Svizzera.

Comprendeva la partecipazione a varie tavole rotonde pubbliche a Ginevra, Berna, Langenthal, Langnau e Wohlen presso Berna (nelle vicinanze della centrale nucleare Mühleberg) e nelle scuole.

I due giapponese provenienti dalla Prefettura di Fukushima inoltre hanno incontrato rappresentanti dell’Ufficio federale della sanità pubblica responsabili della vigilanza sulle radiazioni e la vice-presidente della Camera del popolo Maya Graf.

(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

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