Il prossimo acceleratore gigante non sarà al CERN
L’LHC, il grande acceleratore di particelle del CERN, ha già il suo successore: l’ILC. L’inaugurazione è prevista tra una quindicina d’anni, probabilmente in Giappone. Ciò non significherà la fine del sito franco-svizzero, poiché la ricerca dei segreti della materia può essere condotta solo con uno sforzo mondiale.
ILC sta per International Linear Collider (acceleratore di particelle lineare). Sulla carta, questa nuova titanica macchina, frutto di dieci anni di studi che hanno riunito oltre 1’000 scienziati e ingegneri di un centinaio di università e di laboratori di più di 20 paesi, è pronta. I suoi piani sono stati consegnati ufficialmente il 12 giugno scorso al Consiglio del Comitato internazionale sui futuri acceleratori. La cerimonia si è svolta all’Università di Tokyo, al CERN di Ginevra e al Fermilab di Chicago, tre alti luoghi della fisica delle particelle, collegati tramite video conferenza.
L’ILC sarà composto di due acceleratori lineari posti uno di fronte all’altro. La macchina permetterà di far collidere degli elettroni e le loro antiparticelle (positroni), fortemente carichi d’energia. Le collisioni si produrranno nei rivelatori, al centro del congegno lungo 31 chilometri. A pieno regime, i pacchetti di elettroni e positroni si scontreranno 7’000 volte al secondo. Ogni pacchetto conterrà 20 miliardi di particelle, concentrate in uno spazio nettamente più piccolo di un capello. Il tasso di collisione sarà quindi molto elevato.
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Nelle viscere del CERN
Fette di torta, noccioli di ciliegia e materia nera
Delle collisioni tra elettroni e positroni? A dire il vero era quello che già faceva il LEP, il predecessore dell’LHC al CERN, spento nel 2000. All’epoca, però, l’energia di queste collisioni era limitata a 209 GeV (gigaelettronvolt). Quando raggiungerà la piena potenza, l’ILC permetterà di raggiungere 1’000 GeV.
La potenza non è però tutto. Il grande vantaggio dei collisori elettroni-positroni è la chiarezza dei risultati. L’elettrone e il positrone sono delle particelle elementari, mentre i protoni dell’LHC sono composti da diverse altre particelle più piccole. Per riprendere l’immagine popolarizzata da un fisico giapponese, è un po’ come se l’LHC faceva entrare in collisione fette di torta alle ciliegie. Lo scontro produceva un magma di pasta, zucchero, frutta e, a volte, si aveva la fortuna di osservare lo choc tra due noccioli di ciliegia. L’ILC, invece, permetterà di far scontrare solo dei noccioli di ciliegia.
Cosa si potrà trovare? Non il famoso bosone di Higgs, poiché l’LHC ci è già riuscito, a 126 GeV. La nuova macchina sarà capace non solo di produrre tutte le particelle conosciute, ma permetterà anche di studiare le loro interazioni.
E non è tutto. «Una delle cose fantastiche dell’ILC è, ad esempio, di poter rilevare la disintegrazione del bosone di Higgs in particelle di materia nera, spiega il fisico François Le Diberder, dell’Università di Parigi 7, membro del comitato europeo dell’ILC. Si lanciano l’uno contro l’altro un elettrone e un positrone e la loro annichilazione produrrà simultaneamente un bosone Z e uno Higgs, che si disintegrano rapidamente. Si osserva quindi solo la disintegrazione dello Z. Si misura l’energia e la quantità di movimento delle particelle prodotte e da questo si può dedurre la massa di ciò che è partito di fronte e che non si vede. Se l’energia è pari a 126 GeV, è la prova che il bosone di Higgs si disintegra in particelle invisibili».
Si potrebbe così avere una risposta a uno dei grandi enigmi della fisica e della cosmologia. La materia «normale», visibile, forma in effetti solo il 4% circa di tutto ciò che esiste nell’universo. Il 22% è fatto di materia nera e il 74% di energia nera. Per la materia nera, si hanno buone ragioni di credere che è costituita di particelle.
L’energia nera, invece, resta «un mistero totale», ammette il fisico francese. «Sfugge a qualsiasi tentativo di descrizione in termini di fisica delle particelle. A priori, l’ILC non è fatto per risolvere questo enigma. Salvo sorprese».
François Le Diberder, fisico
Una delle cose fantastiche dell’ILC è, ad esempio, di poter rilevare la disintegrazione del bosone di Higgs in particelle di materia nera.
Il Giappone in pole position
Contrariamente all’LHC, costruito nella galleria del LEP, alle porte di Ginevra, a cavallo sulla frontiera franco-svizzera, l’ILC non vedrà la luce al CERN. «Non c’è assolutamente nessuna chance che l’acceleratore venga costruito qui, conferma Rolf-Dieter Heuer, direttore generale dell’istituzione. L’LHC ci dà sufficientemente da fare. Per il momento, il solo paese candidato che a mio avviso potrebbe costruirlo a scadenza ragionevole è il Giappone. Il governo sembra pronto a investire fondi senza intaccare i fondi destinati alla ricerca». Un vantaggio non indifferente per un progetto il cui costo è stimato in 8 miliardi di franchi.
Il comitato giapponese di sostegno al progetto propone di installare l’acceleratore in una galleria nelle montagne di Kitakami, 500 chilometri a nord di Tokyo. Molto entusiasti, i giapponesi vantano i meriti dell’ILC in un film promozionale nel quale si mostra che nel paese, il big bang e la fisica delle particelle si insegnano già all’asilo. Nessuno contesta il fatto che il Giappone abbia le capacità scientifiche e tecnologiche necessarie. Il Centro giapponese per la produttività ha dal canto suo calcolato che l’ILC si tradurrebbe in ricadute economiche pari a 40 miliardi di dollari su 30 anni e la creazione di 250’000 posti di lavoro diretti e indiretti.
Tuttavia nulla è ancora sicuro. La decisione finale è attesa solo nel 2015 e in lizza vi sono altri paesi, come la Germania, la Russia o gli Stati Uniti. La forma organizzativa dell’ente che gestirà il futuro mostro è ancora vaga. «Supera le nostre competenze, dipenderà dalle discussioni a livello dei governi», spiega Rolf-Dieter Heuer. Per il momento, si è ancora allo stadio dei negoziati bilaterali tra il Giappone e gli altri paesi». Anche per quanto concerne la struttura, non si sa ancora nulla. «Una cosa è però chiara: potrà trattarsi solo di un’organizzazione internazionale», aggiunge Heuer.
Il CERN resta il CERN
L’ILC potrebbe entrare in servizio tra il 2025 e il 2030, momento in cui l’LHC arriverà in fin di vita. È sbagliato però vedere nel primo la versione attualizzata del secondo. Infatti, come spiega il patron del CERN, i due strumenti sono complementari: «È come in astrofisica, si osserva il cielo coi telescopi in luce visibile, infrarossi, ultravioletti, radiotelescopi. Ci vuole tutto questo per avere un’immagine completa. Lo stesso vale per noi. I diversi acceleratori esaminano questioni simili, ma da punti di vista diversi».
Rolf-Dieter Heuer, direttore generale del CERN
Per quanto concerne scienziati e ingegneri, il sito di Ginevra non sarà molto diverso da ciò che è oggi […]. Trovo questo va e vieni tra continenti molto stimolante e positivo.
E cosa diverrà il CERN senza il suo LHC, quando gli sguardi saranno rivolti al Giappone e all’ILC? «Per quanto concerne scienziati e ingegneri, il sito di Ginevra non sarà molto diverso da ciò che è oggi, spiega Rolf-Dieter Heuer. Parteciperemo da qui alle esperienze dell’ILC, analizzeremo dei dati e lavoreremo su un successore dell’ILC. Da quando si fanno acceleratori giganti, abbiamo avuto il LEP, poi il record di potenza è passato al Tevatron del Fermilab, per ritornare in seguito al CERN con l’LHC. Trovo questo va e vieni tra continenti molto stimolante e positivo».
In effetti, la comunità dei fisici delle particelle pensa già alla macchina che verrà dopo l’ILC. Le sue caratteristiche e prestazioni dipenderanno non solo dall’evoluzione tecnologica, ma anche e soprattutto dai risultati che scaturiranno nei prossimi 10-15 anni grazie ai dati raccolti coll’LHC.
Per proseguire la ricerca sui misteri ultimi della materia, dello spazio e del tempo ci vorrà probabilmente un acceleratore più potente dell’ILC. Permetterà di far scontrare elettroni contro positroni, protoni contro protoni o magari altre particelle? Nel primo caso, il CERN ha già dei piani. Per gli altri, non mancherà di elaborarne di nuovi.
L’LHC permetteva di accelerare le particelle in un anello. L’ILC, invece, le farà scontrare l’una contro l’altra in mezzo a una galleria rettilinea. Il vantaggio? Costringendo una particella a muoversi seguendo un percorso circolare, quando la natura la spinge ad andare diritta, perde energia emettendo luce. Una luce che diventa vieppiù violenta con la velocità (fino a 10’000 volte l’intensità di un raggio di sole).
È quella che viene chiamata la luce di sincrotrone. È inversamente proporzionale alla massa della particella. In altre parole, più la particella è pesante, meno energia perde girando. È quindi logico costruire acceleratori circolari per dei protoni, che perderanno molta meno energia a causa della luce di sincrotrone, e degli acceleratori lineari per degli elettroni, nettamente più leggeri.
(traduzione di Daniele Mariani)
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