L’ultimo viaggio del “Padre dell’Himalaya”
Augusto Gansser, pioniere svizzero delle spedizioni nell'Himalaya, si è spento il 9 gennaio 2012 all'età di 101 anni. È stato tra i primi geologi a esplorare le regioni misteriose del Tibet e del Bhutan.
Geologo, cartografo, esploratore, alpinista, scienziato, professore e fotografo. Augusto Gansser, deceduto nella sua abitazione a Lugano (Ticino), ha riempito di passione ogni momento della sua vita.
Assieme a Jacques Piccard o Nicolas Bouvier, fa parte di quegli avventurieri e viaggiatori elvetici che nel Novecento hanno contribuito a far conoscere la Svizzera nel mondo. E soprattutto il mondo in Svizzera.
«Amava l’avventura, la natura e le montagne. Ha fatto viaggi eccezionali, scoprendo anche montagne di cui non si conosceva l’esistenza. In Groenlandia c’è una montagna che si chiama Monte Lugano, mentre in Colombia c’è il Picco Toti, dal cognome di mia madre», racconta a swissinfo.ch Luca Gansser, uno dei sei figli di Augusto. «Diceva spesso di sentirsi prigioniero del proprio corpo».
“Tradito” dagli occhi blu
Nato nel 1910 a Milano da padre svizzero e madre tedesca, Augusto Gansser studia geologia all’Università di Zurigo. Ancor prima di aver completato il suo dottorato, cede al richiamo dell’avventura e a soli 24 anni partecipa a una spedizione scientifica in Groenlandia.
«Viaggiavano a bordo di una nave a tre alberi. Sono rimasti bloccati per mesi tra i ghiacci», ci dice Luca Gansser.
Nel 1936 il giovane ricercatore intraprende il viaggio che lo ha reso forse più celebre, partecipando alla prima spedizione geologica svizzera nell’Himalaya. Presto decide però di distaccarsi dal gruppo per esplorare in solitaria le zone di confine tra India e Tibet.
«È stato uno dei primi stranieri a mettere piede in Tibet», ricorda Luca Gansser. «È entrato illegalmente e per farlo si è travestito da pellegrino buddista». A quell’epoca il Tibet era in effetti un protettorato britannico e nessun straniero poteva accedervi.
«L’unica cosa che non potevo nascondere – ha raccontato Augusto Gansser in un’intervista al Corriere del Ticino (CdT) – erano i miei occhi blu. Ma sotto il mantello da pellegrino nascondevo mille cose: martello, compasso, bussola,…».
Baba Himalaya
Durante la sua personale esplorazione dell’Himalaya approda al Monte Kailash (6’638 metri), dove fa una delle sue scoperte più importanti. Ai piedi della montagna sacra individua il punto di contatto tra la placca indiana e quella euroasiatica.
Augusto Gansser, sottolinea Jean-Pierre Burg, professore dell’Istituto di geologia al Politecnico federale di Zurigo (ETH), è stato tra i primi svizzeri a occuparsi del modello della tettonica a placche. «Il lavoro pionieristico che ha svolto nell’Himalaya – aggiunge Burg – verrà molto probabilmente ricordato per sempre».
Autore di numerose opere sulla formazione delle montagne, sul paesaggio e sugli abitanti della regione himalayana, Ganser pubblica nel 1964 “Geology of the Himalayas”, considerato un libro di riferimento della letteratura geologica.
Un contributo, il suo, riconosciuto anche dall’Università pachistana di Peshawar, che nel 1983 lo insignisce dell’onorificenza di Baba Himalaya, il Padre dell’Himalaya.
Alla corte dello scià
Oltre alle ricerche in Tibet e ai lavori di cartografia in Bhutan – che gli hanno valso un’invidiabile amicizia con il sovrano dell’epoca Jigme Dorij Wangchuck – Augusto Gansser viaggia in tutto il mondo, esplorando paesi esotici in Medio Oriente e in America latina.
In Colombia lavora per la compagnia petrolifera Shell, dove con la moglie si occupa di redigere carte geologiche. Negli anni Cinquanta si ritrova alla corte dello scià di Persia, che lo nomina capo geologo della compagnia petrolifera statale.
Nel 1956, una sua scoperta si trasforma però in catastrofe. Durante una perforazione, un aumento improvviso della pressione del getto libera milioni di tonnellate di greggio. Enormi laghi neri stravolgono gli equilibri naturali.
Augusto Gansser è sconvolto dalla vista di quei «tantissimi uccelli acquatici che scendevano verso i laghi pensando che fosse acqua», si legge nell’intervista del CdT. Per arginare il disastro gli ingegneri decidono di convogliare il petrolio e di dargli fuoco. «È stato il più grande incendio controllato mai acceso dall’uomo», ha ricordato Gansser.
Elisir di lunga vita
Protagonista di un’epoca che ha visto la scienza fondersi con la fascinazione per l’ignoto in terre lontane, Augusto Gansser è giunto, lontano dai riflettori, alla fine del suo viaggio.
Un viaggio durato oltre un secolo che trova forse una spiegazione in un aneddoto dello stesso Gansser. «Vicino al Monte Kailash, il lama che comandava nel monastero dove mi trovavo mi ha regalato delle pillole per la lunga vita. Gli sono grato ancora oggi, perché sembra che funzionino davvero bene…».
Nasce il 28 ottobre 1910 a Milano da padre svizzero e madre tedesca.
Studia geologia all’Università di Zurigo e nel 1934 partecipa a una spedizione nella Groenlandia orientale guidata dal ricercatore danese Lauge Koch.
Nel 1936 fa parte della prima spedizione svizzera nell’Himalaya (condotta da Arnold Heim). Prosegue in seguito per conto proprio le sue ricerche in Tibet.
Tra il 1938 e il 1946 lavora, assieme alla moglie Linda Biaggi, presso la società petrolifera Shell in Colombia e, in seguito, sull’isola di Trinidad.
Dal 1950 al 1957 è capo geologo nella compagnia petrolifera statale iraniana.
Nel 1958 fa ritorno in Svizzera, dove è nominato professore ordinario di geologia al Politecnico federale di Zurigo (carica che ricopre fino al 1977).
Negli anni ’60-‘70 si reca a più riprese in Bhutan, dove realizza la prima cartografia del paese.
La sua carriera è coronata da numerose onorificenze, tra cui quella di “Padre dell’Himalaya” dell’Università di Peshawar (1983).
È inoltre stato membro di istituzioni prestigiose quali l’Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti e l’Accademia dei Lincei di Roma.
Si è spento il 9 gennaio 2012 nella sua abitazione di Massagno-Lugano, in Ticino.
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