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Scorie che scottano

Rifiuti… ingombranti Keystone

Dalla fine degli anni Sessanta le centrali nucleari sono una realtà in Svizzera e il dibattito sul problema dei rifiuti radioattivi è sempre d'attualità. Reportage dal «deposito intermedio» di Würenlingen (canton Argovia).

In attesa di decidere dove stoccare in modo definitivo le scorie nucleari, in Svizzera si è deciso di raggrupparle nel deposito intermedio Zwilag (Zwischenlager in tedesco) di Würenlingen.

Un edificio superprotetto in mezzo ai boschi, accanto all’Istituto di ricerca Paul Scherrer, in cui entrare stupisce da una parte per l’atmosfera alla film Mission Impossible, dall’altra – una volta arrivati a due passi dai contenitori delle scorie – per la sensazione di normalità che trasmettono, malgrado siano ritenuti qualcosa di pericolosamente inquietante, da tenere a chilometri di distanza.

Normalità radioattiva

Ad accompagnarci nella visita, in un grigio e freddo mattino di novembre, il direttore dello Zwilag Walter Heep. La procedura prevede innanzitutto una serie di misure per identificare i visitatori, che devono annunciarsi in anticipo per iscritto e vengono ammessi o meno sulla base di svariati criteri.

Una volta entrati, c’è tempo per un caffè, nel piccolo bar degli uffici che affiancano i capannoni. Un momento inaspettato, che dà subito una curiosa impressione di “normalità”: prendere il caffè a pochi metri da bidoni radioattivi che fino a poco prima immaginavamo confinati in lande desolate, lontani da qualsiasi forma di vita e civiltà.

Inquieti poniamo subito una serie di domande sulla sicurezza. Ma, come già per mail durante la preparazione della visita, Heep ci tranquillizza: «Non c’è alcun pericolo, io lavoro qui da una decina d’anni e come potete vedere sto benissimo».

Controllo costante

Il direttore ci spiega che ciascun collaboratore è munito di un sistema di misurazione personale per la radioattività: ogni volta che si entra in ambienti a rischio il sistema tiene conto di quanti microSievert vengono assorbiti (µSv è l’unità di misura della radioattività): se si supera una certa soglia, per quell’anno il collaboratore non è più ammesso nelle cosiddette «zone rosse».

Comunque, a livello internazionale la soglia massima per anno è di 50’000 µSv, in Svizzera ne sono consentiti al massimo 20’000, e la media effettiva di µSv assorbiti dai collaboratori a Würenlingen è di 200 all’anno: tutti, in pratica, sono ben lontani dal raggiungere soglie pericolose.

Anche noi veniamo muniti di un contatore per gli ospiti. Quando cominciamo il percorso all’interno del deposito, indossando camici bianchi e calzature speciali, il piccolo monitor segna zero. Ci raggiunge una guardia di sicurezza, che discretamente ci accompagnerà per tutta la visita. Il direttor Heep comincia a guidarci per un dedalo di corridoi, scale, ascensori, porte blindate che si aprono con le impronte digitali e altri accorgimenti tecnologici di massima sicurezza.

In tutti questi ambienti è necessario indossare gli indumenti di protezione perché è qui che vengono maneggiati i contenitori: durante le varie operazioni non è escluso che si possano verificare piccole fughe radioattive. Il contatore è salito a 1 µSv.

Rifiuti di tutti i tipi

A Würenlingen esistono diversi magazzini, in cui si conservano i rifiuti radioattivi catalogati secondo la loro pericolosità: debolmente, mediamente e altamente radioattivi. In tutte e tre le categorie ci sono scorie delle cinque centrali nucleari svizzere; in più, tra quelli debolmente e mediamente radioattivi, bisogna aggiungere i rifiuti di industria, ricerca e ospedali, che vengono anche fusi in uno speciale forno al plasma e poi vetrificati.

Si calcola che dal 2000 a oggi, allo Zwilag siano state depositate 2’766 tonnellate di scorie debolmente radioattive, oltre 150 mediamente radioattive, e quasi 700 altamente radioattive.

Sono queste che occupano il cuore del deposito, che ora Heep ci porta a visitare malgrado il nostro scetticismo, perché non credevamo che ci si potesse avvicinare così tanto a elementi talmente pericolosi.

 

A stretto contatto

Prima sorpresa: arrivati finalmente al massiccio portone blindato che separa un enorme atrio viola dall’hangar vero e proprio dove sono custodite le scorie altamente radioattive, Heep ci invita a toglierci camici e calzature di protezione.

Ci spiega che nel magazzino il rischio di assorbire radiazioni è meno elevato rispetto ai corridoi in cui siamo appena passati, perché i contenitori, quando vengono depositati qui, sono ormai ermeticamente sigillati, nessuno li apre o li maneggia più, e il rischio di contaminazione è praticamente azzerato.

Davanti a noi troneggiano 33 giganteschi bidoni bianchi, alti sei metri, in un’enorme sala illuminata giorno e notte dai neon, in un silenzio totale e un freddo repentino che sembra provenire dall’esterno.

È proprio così, spiega Heep: l’aria fredda viene da fuori, piove da feritoie sul soffitto ed esce verso il basso, vicino al pavimento, in un sistema naturale di aerazione a circolo che serve pian piano, nei decenni, a raffreddare i bidoni. «E – assicura– non c’è nessun pericolo che questo scambio d’aria porti radioattività all’esterno, dal momento che questo hangar ne è quasi privo».

Tra un misto di timore e curiosità ci avviciniamo ai bidoni. Il direttore ci dà il permesso di oltrepassare per qualche minuto una striscia bianca e rossa di demarcazione e ci invita a consultare il contatore: siamo saliti ad appena 3 µSv.

I contenitori, molti del famoso tipo Castor di produzione tedesca, hanno pareti spesse almeno mezzo metro. Le barre di scorie dunque occupano uno spazio limitato all’interno, l’enorme scudo che le avvolge scherma tutt’intorno il loro potere irradiante altrimenti distruttivo.

Ci avviciniamo fino a sentire il calore che ogni bidone emana. Sempre col permesso di Heep, allunghiamo una mano…e tocchiamo la parete esterna, tiepida e incredibilmente accessibile, pur sapendo che dentro questo guscio protettivo si celano sostanze che senza schermo ci ucciderebbero in meno di un secondo. Il contatore arriva a 4 µSv, con una punta massima di 5.

Contro ogni minaccia

Gli accorgimenti per la sicurezza sono elevatissimi, anche contro eventuali atti terroristici: ognuno di questi contenitori è infatti costruito per rimanere intatto persino dopo l’impatto di un aereo. Dopo l’acquisto, ognuno viene nuovamente testato accuratamente per verificare la tenuta delle pareti schermanti prima di inserirci le scorie.

Ognuno, infine, ha una sorta di antenna montata sulla parte superiore, ed è sorvegliato da telecamere collegate con Vienna: sono i sistemi di controllo dell’AIEA, l’Agenzia atomica dell’ONU con sede appunto nella capitale austriaca, che in questo modo ha una visione minuto per minuto di tutti i contenitori di scorie radioattive del mondo (ed ecco dunque gli annosi problemi con paesi come l’Iran, che rifiutano controlli e vorrebbero sottrarre le loro eventuali attività nucleari civili alla sorveglianza internazionale).

Il sistema in Svizzera sembra dunque funzionare e meraviglia, e allora inevitabilmente poniamo un’ultima domanda a Heep: perché litigare per un deposito definitivo delle scorie e non continuare così per sempre, con un deposito provvisorio-definitivo? «I problemi sono due. Da una parte un sistema simile è molto costoso, anche perché richiede la presenza fissa e costante di numerosi collaboratori».

Ma soprattutto – conclude – «la storia ci ha insegnato che la natura è molto più stabile rispetto alle società umane. Lo Zwilag funziona bene nella Svizzera di oggi: avanzata, tecnologica, nel cuore di un continente pacificato. Ma non sappiamo come sarà il nostro paese fra mille anni. Per questo dobbiamo cercare soluzioni che siano indipendenti dalla società in cui viviamo».

In Svizzera si fa capo al nucleare in media per il 38% della produzione di elettricità, con punte del 45% in inverno.

Nel 2005 è entrata in vigore la Legge sull’energia nucleare, che disciplina chiaramente anche il trattamento delle scorie: fino al 2016 è proibito portare all’estero le scorie per scopi di ritrattamento (moratoria).

La Svizzera ha cinque centrali nucleari:

– Beznau I (1969) e Beznau II (1972), Argovia

– Mühleberg (1972), Berna

– Gösgen (1978), Soletta

– Leibstadt (1984), Argovia

Nel 2008 hanno prodotto più di 26,1 milliards di kWh di corrente, coprendo così quasi il 40% di fabbisogno di elettricità in Svizzera.

Gli impianti più vecchi dovranno probabilmente essere disattivati dal 2020, poiché hanno concluso il loro ciclo di vita.

Questo dato di fatto alimenta attualmente il dibattito sulla costruzione di nuove centrali in Svizzera.

Lo Zwilag (Zwischenlager, deposito intermedio) di Würenlingen, nel canton Argovia, è concepito come deposito centrale delle scorie radioattive svizzere finché non verrà individuato un deposito definitivo in strati geologici profondi.

Lo Zwilag è entrato in funzione nel 2000, da allora vi sono state immagazzinate 2’766 tonnellate di scorie debolmente radioattive, oltre 150 mediamente radioattive e 662 altamente radioattive.

Di queste, 110 sono scorie vere e proprie, le altre 552 sono tonnellate di combustibile esausto, che tuttavia dal 2005 e fino al 2016 una moratoria impedisce di portare all’estero per procedure di ritrattamento.

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