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100 anni aiutando i meno favoriti

L'Istituto per ciechi Rittmeyer è particolarmente all'avanguardia per lo sviluppo dei sensi dei ragazzi ipo o nonvedenti. istitutorittmeyer.it

A Trieste, ancora oggi sono presenti due fondazioni di beneficenza originariamente istituite da cittadini svizzeri un centinaio di anni fa. Le attività si sono evolute nel tempo ma le idee di fondo dei benefattori sono tuttora rispettate.

Nella Trieste di inizio secolo scorso, grazie agli importanti traffici marittimi, c’era molto benessere. Per questo, non di rado le famiglie dei ricchi commercianti e nobili si dedicavano a opere caritatevoli e di beneficenza oppure lasciavano importanti lasciti nei loro testamenti.

Alcune istituzioni nate in quel periodo sono tuttora attive, tra queste si trovano anche l’Istituto Regionale Rittmeyer per i ciechi e la Fondazione Antonio Caccia e Maria Burlo Garofolo. Entrambi gli istituti si iscrivono nella tendenza filantropica di inizio Novecento e sono nati da lasciti di immigrati svizzeri che hanno vissuto nella città giuliana.

L’istituto Rittmeyer è nato come asilo per ciechi poveri. La baronessa Cecilia de Rittmeyer, nata Collioud, di origine ginevrine, è stata molto attiva a livello filantropico nel corso di tutta la sua vita. Deceduta dopo il marito, nel suo testamento esprime poi chiaramente la volontà di lasciare una cospicua somma per i bambini ciechi.

«La baronessa, nell’ottica del mecenatismo protestante, aveva pensato di fare qualcosa per i più deboli. E quindi nel suo testamento stabilì che una parte dei suoi averi doveva essere utilizzata per questo scopo», ci spiega la dottoressa Adriana Gerdina dell’istituto Rittmeyer. 

Evoluzione al passo con i tempi

A tale fine, la baronessa incarica il comune di Trieste di istituire una fondazione. Dopo aver venduto la villa Rittmeyer, inizialmente utilizzata per ospitare i bambini ciechi ma rivelatasi inadatta a tale scopo, il comune trova una villa immersa nel verde un po’ fuori città. In questa struttura, che consente ai bambini ciechi di muoversi liberamente senza pericoli anche nel parco, iniziano attività quali l’insegnamento e la rieducazione.

«Un fatto interessante è che una volta avviato il curatorio, il comune ha deciso di mandare alcune persone a formarsi a Monaco e a Vienna, che erano le città più all’avanguardia per la tiflologia», ci spiega Gerdina.

Ancora oggi, una delle tante attività dell’istituto consiste proprio nel formare gli educatori che lavorano con i minorati della vista in tutta Italia. «Quello che è stato il punto d’inizio per il Rittmeyer, è poi sempre stato un fondamento. Il fatto di puntare alla formazione delle persone che lavorano con i disabili visivi è tuttora il nostro pallino perché lo riteniamo estremamente importante».  L’istituto si occupa inoltre di educazione a tutti i livelli, di sensibilizzazione delle famiglie di bambini ciechi sin dalla nascita e di progetti di ricerca.

Grazie alla sua centenaria esperienza, l’istituto si è ritagliato un importante spazio a livello nazionale. Infatti, pur operando prevalentemente in ambito regionale, è conosciuto in tutta Italia per le sue attività formative e rieducative e per la realizzazione di interventi di alto livello a favore dei minorati della vista. «Abbiamo vinto un concorso per un progetto di domiciliarizzazione delle persone che hanno perso la vista dopo la nascita. In Italia questa è un’iniziativa unica. Anche il nostro giardino dei sensi è unico in Italia», ci spiega Gerdina.

Abitazioni per i più bisognosi

Anche la Fondazione Caccia Burlo ha dovuto adattare la sua attività nel corso degli anni. La fondazione deve il suo nome a due benefattori, Antonio Caccia, svizzero originario di Morcote nei pressi di Lugano, e la baronessa Maria Burlo Garofolo, cittadina italiana. Entrambi hanno vissuto a Trieste e sono deceduti a distanza di una decina d’anni.

Antonio Caccia, figlio di un architetto e commerciante ticinese, era nato nella città giuliana ma aveva mantenuto un intenso contatto con il Ticino. Nel testamento aperto a Lugano, dove è deceduto nel 1893, ha indicato di voler lasciare il suo grande palazzo triestino, che ancora oggi si trova in Piazza Goldoni, per le persone sprovviste di alloggio.

«Il comune decide però di tenere per sé il lussuosissimo palazzo, che poco si addiceva a questo tipo di alloggi, e di permutarne il valore facendo costruire nuove abitazioni più adatte allo scopo», ci spiega la presidente della fondazione Lori Petronio Sampietro.

Il desiderio di Caccia era aiutare proprio i più poveri. «Le persone a cui lui ha voluto destinare il palazzo non erano persone che avevano soluzioni alternative. Non dovevano essere in grado di procurarsi un alloggio in nessun altro modo», afferma Petronio Sampietro.

Quando poi il comune riceva un’elevata somma per lo stesso scopo, tramite il testamento della baronessa Maria Burlo Garofolo, decide di unire queste due volontà in un’unica fondazione.

Mantenuta l’ultima volontà 

Anche se le due istituzioni triestine si sono adattate nel corso degli anni, la volontà dei benefattori e le loro idee iniziali sono state mantenute. «La volontà di Caccia è tutt’oggi rispettata proprio anche nel senso letterale. Nei nostri statuti sono riportate le testuali parole del testamento. La nostra è una fondazione unica sia a livello regionale che nazionale», afferma Petronio Sampietro.

«Sono convinta che la baronessa avrebbe approvato la nostra scelta di concentrarci sulla sensibilizzazione del tessuto familiare per l’inserimento di un bambino non vedente», ci spiega Adriana Gerdina dell’istituto Rittmeyer. «Così come approverebbe il fatto di consentire a tanti giovani ipo o non vedenti di frequentare l’università e di seguire un loro cammino professionale», conclude.

Antonio Caccia è nato a Trieste nel 1829. Suo padre, Luigi, era un architetto ticinese originario di Morcote nel cantone Ticino.

Caccia è vissuto a Trieste, ma d’estate soggiornava lungamente a Lugano, alla Malpensata, villa che in seguito donò, insieme con la sua collezione d’arte e di oggetti, alla città alla condizione di trasformarla in museo. Oggi la Malpensata è sede del Museo d’Arte di Lugano.

Collezionatore d’arte e di produzioneletteraria cospicua (è probabilmente suo un poema in ottave sulle gesta di Napoleone in Italia del 1856 e i Sonetti finanziari del 1866), Caccia si distinse però particolarmente per la produzione teatrale e operistica. Scrisse una galleria di ritratti storici (Ademaro, Andrea Doria, Cincinnato, Giulio d’Este, Gli Elvezi e altri). Spicca fra questi il Cesare Borgia, del 1862, in cui il ‘plutarchismo’ dei personaggi è come corretto da un pessimismo di sapore manzoniano.

Si spegne a Lugano nel 1893.

Fonte: Dizionario storico della Svizzera

Inaugurato nella primavera del 2005, il giardino dei sensi dell’Istituto Rittmeyer, unico nel suo genere in Italia per dimensioni, articolazione e funzioni, è uno spazio aperto di oltre 6000metriquadrati.

I ciechi o gli ipovedenti possono svolgere diversi percorsi da soli – il giardino del tatto, il giardino dei suoni, il giardino degli odori e il giardino dei colori – imparando così a sviluppare i loro sensi.

«Spesso si sente dire che i ciechi hanno i sensi particolarmente sviluppati. Se da una parte questo è vero, bisogna comunque ricordare che i sensi sono stati allenati e non sono così sviluppati di natura», spiega Adriana Gerdina dell’istituto Rittmeyer di Trieste.

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