2002: L’aborto non è più un crimine
Grazie alla tenacia della deputata socialista Barbara Haering, l'interruzione della gravidanza nelle prime 12 settimane non è più punibile.
Dopo 10 anni di dibattiti, in giugno, il 72% dei cittadini ha approvato la soluzione dei termini.
Le donne che vogliono abortire non saranno più automaticamente criminalizzate. In passato rischiavano fino a tre anni di carcere. Ora basta una visita presso uno specialista e una dichiarazione scritta, destinata al medico, nella quale spiegano di non voler o poter portare a termine la gravidanza: entro i primi tre mesi potranno abortire.
Grazie alla nuova legge, entrata in vigore il primo ottobre di quest’anno, le donne possono decidere da sole se interrompere o meno una gravidanza, senza dover più piegarsi a pressioni politiche, sociali o giuridiche.
Responsabilizzare la donna
Una conquista importante, legata all’impegno della promotrice e “madre” della soluzione dei termini, Barbara Haering. Nel 1993, la consigliera nazionale socialista chiese infatti, con un’iniziativa parlamentare, che il codice penale venisse riveduto e l’aborto depenalizzato nei primi tre mesi. Una decisione presa in comune con le organizzazioni femminili e alcuni deputati e deputate.
“Ci siamo accorti che i tempi erano maturi per portare avanti le nostre rivendicazioni: il divario fra la legge e la pratica quotidiana era troppo grande”, dice Barbara Haering. In effetti, in Svizzera una donna su sette ha avuto almeno un aborto in vita sua.
All’inizio degli anni novanta, le donne erano ancora molto insicure. “Temevano che tematizzando il problema le leggi sarebbero cambiate a loro sfavore, avevano paura di un effetto controproducente.”
Dal canto loro, gli oppositori – fra cui gli ambienti vicini alla Chiesa – già allora si mobilitavano con determinazione per una campagna che durerà 10 anni.
Nella loro campagna contro l’aborto gli avversari hanno sempre cercato di parlare per le donne, di decidere per loro. Questa pretesa ha indubbiamente indispettito molte cittadine e ha fatto perdere agli oppositori di una legalizzazione parziale dell’aborto anche numerosi voti maschili.
Uccidere la vita?
Per queste cerchie un embrione è già un organismo vivente e dunque non si può ucciderlo. “E’ un’argomentazione che ho sempre accettato”, dice a swissinfo Barbara Haering.
“Un embrione è l’inizio di una potenziale vita e decidere di sopprimerlo è un atto di grande responsabilità etica e morale. Non bisogna però dimenticare che questo essere ha bisogno anche di condizioni di vita dignitose”.
Alcuni oppositori volevano vietare completamente l’interruzione della gravidanza, i fautori miravano invece a limitare il numero di aborti, che comunque venivano praticati di nascosto, illegalmente, spesso all’estero dove la legislazione è meno rigida.
Il partito popolare democratico aveva lanciato un referendum perché il suo modello, più restrittivo, non era stato considerato. Ambienti fondamentalisti avevano invece presentato un’iniziativa anti-abortista, denominata “per madre e bambino”.
Un’immagine in evoluzione
“Negli ultimi 20, 30 anni l’immagine della donna nella società è cambiata molto”, spiega Barbara Haering, “le si attribuisce finalmente la facoltà di prendere una decisione morale, assumendosi tutte le responsabilità e come tale viene accettata”.
Dietro a questo cambiamento si cela un lavoro di sensibilizzazione durato anni. “In parlamento abbiamo discusso per una decina di anni. Ora, in retrospettiva, penso che sia stato giusto perché più passava il tempo, più la discussione si faceva precisa, meno polemica”.
“Sono contenta di essere riuscita con i miei colleghi a non lasciarmi trasportare dalle emozioni, a controbattere in modo neutro, a non fare il gioco dei nostri avversari che ci attaccavano con molta emotività. Questo ci ha permesso di essere più credibili di fronte ai cittadini ancora insicuri”.
Elena Altenburger, swissinfo
Con la revisione del codice penale, entrata in vigore in ottobre, la donna si assume da sola la responsabilità di un’interruzione della gravidanza. Lo può fare, senza incorrere nei rigori della legge, nelle prime 12 settimane della gravidanza, consultandosi con le istituzioni specializzate e presentando al medico una dichiarazione scritta.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.