Accordo contro il traffico di diamanti «insanguinati»
50 paesi, tra cui la Svizzera, si impegnano a porre fine al commercio di pietre preziose provenienti da paesi in guerra.
L’accordo, raggiunto al termine di una riunione tenuta ad Interlaken, prevede l’introduzione di un sistema di certificazione internazionale.
Oltre una cinquantina di paesi, tra i quali la Svizzera, hanno approvato martedì ad Interlaken (BE) l’introduzione di un sistema internazionale di certificazione a partire dal gennaio 2003. Tale misura è destinata ad impedire che vengano commercializzati diamanti «sporchi», provenienti da paesi in guerra e i cui ricavi servono essenzialmente all’acquisto di armi.
La riunione si inseriva nel cosiddetto «processo di Kimberley», lanciato due anni fa in Sudafrica per stroncare il commercio illecito di pietre preziose. Proprio tali traffici, gestiti da bande di ribelli, hanno spesso permesso il finanziamento di sanguinosi conflitti e alimentato guerre civili in Angola, Sierra Leone e Repubblica democratica del Congo.
Alla conferenza di Interlaken, posta sotto la presidenza della ministra sudafricana dell’energia Phumzile Mlambo-Ngcuka e del consigliere federale Pascal Couchepin, hanno preso parte i delegati dei principali paesi importatori ed esportatori, nonché i rappresentanti dell’industria dei diamanti.
Plichi sigillati e certificati non falsificabili
Dall’anno prossimo, i diamanti grezzi esportati dovranno obbligatoriamente essere riposti in plichi sigillati. Le pietre preziose dovranno essere munite di certificati di origine non falsificabili, che saranno controllati dai paesi esportatori e importatori.
L’accordo si estende anche ai paesi che non hanno partecipato alla riunione di Interlaken. Le nazioni che non dovessero accettare il sistema di certificazione saranno automaticamente escluse dal commercio internazionale.
Commercio illecito in calo
Il processo di Kimberley è fortemente sostenuto dalle Nazioni unite: oltre alla Svizzera vi partecipano in particolare i Quindici paesi dell’Unione europea e 14 Stati membri della Comunità di sviluppo dell’Africa australe (Sudafrica, Angola, Botswana, Lesotho, Malawi, Mozambico, Namibia, Repubblica democratica del Congo, Swaziland, Tanzania, Zambia, Zimbabwe, Mauritius e Seychelles).
La percentuale di diamanti «insanguinati» nel commercio mondiale delle pietre grezze è scesa dal 4 al 2 percento circa dopo la fine dei conflitti in Sierra Leone e Angola. Il problema rimane comunque preoccupante in altre regioni d’Africa.
La Repubblica democratica del Congo ritiene, ad esempio, che l’esportazione illecita di diamanti estratti dal suo territorio causi al governo perdite finanziarie per 800 milioni di dollari all’anno.
Terza piattaforma mondiale del commercio di diamanti fino all’anno scorso, dopo l’Olanda e l’Inghilterra, la Svizzera ha ridotto notevolmente le sue attività negli ultimi mesi. Alla fine del 2001 il più grande produttore del mondo, la società De Beers ha infatti trasferito la sua sede da Lucerna a Londra: da allora il mercato è sceso a pochi milioni di franchi all’anno.
Ong soddisfatte
La maggior parte delle organizzazioni non governative (Ong) che si battono per porre fine al commercio illecito, hanno espresso la loro soddisfazione per l’accordo raggiunto alla riunione di Interlaken. In particolare, il fatto che una certa responsabilità venga attribuita ai governi e all’industria dei diamanti rappresenterebbe già un elemento positivo.
Secondo Amnesty International, non tutti i problemi sono stati comunque risolti, dal momento che molti paesi avranno difficoltà ad applicare le misure previste dall’accordo. Occorrerà inoltre istituire un sistema di sorveglianza indipendente e trasparente.
swissinfo e agenzie
Il giro d’affari dei diamanti “insanguinati” corrisponde al 2-4% del commercio mondiale (7 miliardi di dollari all’anno).
Il «Processo di Kimberley» ragruppa 35 paesi, rappresentanti dell’industria dei diamanti e alcune ONG.
In futuro le spedizioni di diamanti grezzi saranno accompagnate da un certificato d’origine che attesti la loro provenienza.
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