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Bergier, un anno dopo

Il presidente della Commissione, Jean-François Bergier, è soddisfatto degli echi del rapporto nell'opinione pubblica swissinfo.ch

Il 22 marzo 2002, la commissione di esperti Svizzera-Seconda guerra mondiale ha presentato il suo rapporto finale.

Ad un anno distanza, il rapporto fa ancora discutere, ma sconta il disinteresse del mondo politico.

“Un buon rapporto finale è un rapporto iniziale”, osservava tempo fa il professor Jean-François Bergier, presidente della Commissione indipendente di esperti Svizzera-Seconda guerra mondiale (CIE).

Un buon rapporto iniziale

Ad un anno di distanza dalla pubblicazione del rapporto, quelle parole meritano una verifica. Dal punto di vista dell’apporto scientifico, il professore Bergier rimane convinto che il lavoro della CIE abbia aperto nuove prospettive. “Abbiamo prodotto un rapporto che risponde a molte questioni, ma che ne pone pure di nuove”.

Anche un acuto osservatore dell’attività della commissione come Thomas Maissen, professore di storia moderna all’Università di Lucerna e giornalista della Neue Zürcher Zeitung, rileva l’importanza del rapporto.

“La visione della storia svizzera era cambiata già tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta”, osserva Maissen. “Ma la commissione ha avuto il merito di correggere una visione troppo centrata sulla Svizzera, sia in senso negativo, sia in senso positivo e di permettere di considerare la vicenda in un contesto più ampio.”

Rimane però da vedere come il rapporto sia stato accolto, al di fuori degli ambienti accademici. E qui il professore Bergier, che si dice sorpreso dell’interesse duraturo dimostrato sia dalla stampa, sia dall’opinione pubblica per il lavoro della CIE, non può nascondere una certa “amarezza” per lo scarso entusiasmo del mondo politico.

Un dibattito mancato

Quando alla fine del 1996 il Consiglio federale decise la costituzione della CIE, le aspettative nei suoi confronti erano forti. La crisi innescata dal dibattito sui fondi in giacenza e sulle relazioni economiche con il Terzo Reich richiedeva un’analisi rigorosa, e senza reticenze, del passato.

Ma la questione prese un’altra piega meno di due anni dopo: l’accordo globale fra le grandi banche svizzere e le organizzazioni ebraiche nell’agosto del 1998 mise più o meno fine alle rivendicazioni finanziarie collegate alla controversia.

Da allora, l’interesse del governo e del parlamento per il lavoro della CIE è andato effettivamente scemando. Solo dopo ripetuti interventi del professor Bergier, e ad un anno dallo scioglimento della commissione, il Consiglio federale si è risolto a ringraziare ufficialmente le personalità che ne facevano parte.

Il parlamento dal canto suo non ha mai discusso il rapporto: una mozione del gruppo dei Verdi, che chiedeva un dibattito parlamentare, è stata respinta nel maggio del 2002 dalla commissione giuridica del Consiglio nazionale.

Solo la riabilitazione di coloro che aiutarono i profughi a rifugiarsi in Svizzera durante la guerra, votata dal Consiglio nazionale nel dicembre 2002, può essere letta come una conseguenza politica diretta del rapporto Bergier. Non è molto, viste le tante questioni sollevate dalla CIE.

I tabù della politica

“La commissione ha posto delle domande di natura essenzialmente scientifica. Ma dietro di esse si celano delle questioni politiche, che apparentemente rappresentano ancora dei tabù per il mondo politico”, constata Jean-François Bergier. “Penso ad esempio al significato della neutralità, una questione molto attuale. Oppure al problema del potere e della delega delle competenze.”

“Purtroppo la politica ragiona spesso a corto termine”, osserva ancora il professore, che si dice sorpreso anche delle poche critiche giunte dal parlamento: “Ci aspettavamo ad esempio una vivace opposizione da parte dei deputati dell’UDC, ma anche loro quasi non hanno reagito”.

“La politica ha i suoi meccanismi”, analizza dal canto suo Thomas Maissen. “I politici non vogliono bruciarsi le dita con un tema controverso, che di certo non fa guadagnare voti.”

Reticenze sulla mostra

Lo scarso entusiasmo del governo ha rischiato di ripercuotersi anche sulla mostra itinerante, realizzata dalla CIE stessa e dal Politforum Käfigturm (un progetto della Cancelleria federale e dei servizi del Parlamento).

Dopo le prime tappe a Berna e a Liestal, la mostra sembrava destinata a finire la sua esistenza in un magazzino, per mancanza di fondi. Solo dopo molte esitazioni e un’interrogazione parlamentare, il governo si è risolto ad assicurare il finanziamento per altri due anni.

Ora, e fino al 4 maggio, la mostra è ospitata dal Forum della storia svizzera a Svitto, filiale del Museo nazionale. Seguiranno altre tappe a Zurigo, Sciaffusa e probabilmente a Coira. Una buona occasione per non sottrarsi alle questioni nuove poste dal rapporto Bergier.

swissinfo, Andrea Tognina

Il mondo scientifico ha naturalmente preso atto della pubblicazione del rapporto Bergier. “Non ho però l’impressione che nelle università se ne discuta in modo particolarmente intenso”, dice Thomas Maissen, storico e giornalista, il quale si stupisce anche delle poche recensioni apparse finora.

Jean-François Bergier ammette che la discussione nel mondo scientifico, almeno in Svizzera, potrebbe essere più intensa. Ma osserva anche che del tema negli ultimi anni si è parlato molto e che perciò bisognerà attendere qualche tempo. E poi i volumi della commissione devono ancora essere letti con attenzione e digeriti.

“Fra dieci anni il rapporto Bergier sarà un classico”, pronostica Thomas Maissen, “e forse con maggiore distanza critica si sarà anche riconoscenti per il tentativo di dare risposte a molte questioni aperte della storia recente.”

Dicembre 1996: un decreto istituisce la Commissione Bergier
Per le ricerche è fissato un credito di 22 milioni di franchi
Oltre al rapporto di sintesi, la commissione ha pubblicato 25 volumi di studi

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