Caccia ai neutrini per svelare i segreti dell’universo
Particelle tanto minuscole da attraversare senza quasi lasciar traccia la materia: catturarle è difficile, ma tendendo loro delle trappole i fisici sperano di riscrivere le teorie sulla natura dell'universo.
L’ultima trappola acchiappaneutrini è entrata in azione recentemente sotto il Gran Sasso. Dovrà bloccare i neutrini sparati nella sua direzione dal CERN di Ginevra.
Un viaggio di 730 chilometri in appena 2,5 millisecondi: la grande corsa dei neutrini tra Ginevra e i laboratori del Gran Sasso è cominciata. Si tratta del più straordinario esperimento di fisica degli ultimi anni e gli scienziati di mezzo mondo lo seguono col fiato sospeso. Il motivo? Se si riuscisse a dimostrare che i neutrini non sono fatti di sola energia, ma che hanno anche una massa, i libri di fisica andrebbero riscritti.
Ecco allora che, dopo anni di preparativi, in settembre dal Super Proto Sincrotrone del Centro europeo di ricerca nucleare (CERN) è stato sparato un primo fascio di neutrini che si è infilato sotto le Alpi, ha attraversato la pianura padana e gli Appennini per poi trovarsi davanti ad OPERA, una gigantesca trappola sormontata da più di un chilometro di roccia.
Un altro sapore
In termini numerici, la sfida tra OPERA e i neutrini la vinceranno i neutrini: delle decine di miliardi di particelle provenienti ogni giorno da Ginevra, il gigantesco rivelatore – 1800 tonnellate di mattoncini di piombo e speciali emulsioni fotografiche – ne catturerà una cinquantina. Tutte interessanti? «Non proprio», spiega la fisica Roberta Antolini che lavora al Gran Sasso, «quelle che davvero ci interessano saranno forse due l’anno».
Sì, perché il vero aspetto rivoluzionario dell’esperimento non consiste nell’andare a caccia degli stessi neutrini prodotti al CERN, ma di quelli che durante il viaggio si sono trasformati, hanno – come dicono i fisici – cambiato “sapore”. Esistono, infatti, tre tipi di neutrini: muonico, tauonico e elettronico. Il fascio che parte da Ginevra è composto esclusivamente di neutrini muonici. Ma in OPERA, i fisici si aspettano di scoprire anche dei neutrini tauonici.
Sarebbe la prova diretta che i neutrini hanno una massa, perché solo entità con una massa possono “oscillare”, ovvero cambiare sapore. E se i neutrini hanno una massa, spiega Roberta Antolini, «potrebbero aiutarci a capire perché all’inizio dell’universo ci sia stata una predominanza della materia sull’antimateria e perché la maggior parte della materia non è visibile ai nostri occhi».
Scoperti per disperazione
L’universo è pieno di neutrini. Vengono prodotti nella fusione nucleare all’interno delle stelle, nell’esplosione delle supernove e in innumerevoli altri fenomeni. Eppure è difficilissimo catturare queste particelle superleggere, senza carica elettrica, che praticamente non interagiscono con la materia. Ogni secondo, la falange del nostro mignolo è attraversata da 60 miliardi di neutrini provenienti dallo spazio e nessuno si accorge di niente. Ci attraversano e se ne vanno, inafferrabili. Un bel problema per i fisici.
Non c’è da stupirsi se la «scoperta» dei neutrini fu in realtà un’intuizione. Li immaginò il fisico Wolfgang Pauli, nel 1930, nel tentativo disperato di spiegare perché in determinati processi di decadimento dei nuclei andasse persa dell’energia. Poiché l’energia non si crea e non si distrugge, bisognava che una particella invisibile agli occhi dei fisici l’avesse portata con sé.
Qualche tempo dopo, Enrico Fermi coniò il nome neutrino, un nome che affascinò, così come continua ad affascinare la loro sfuggevolezza: sono le uniche particelle a cui siano state dedicate delle poesie.
Firma
Ma più che alla poesia, spiega Jürg Fröhlich, direttore del dipartimento di fisica del Politecnico di Zurigo, gli scienziati sono interessati «ad una buona comprensione sperimentale delle caratteristiche dei neutrini». OPERA – e in seguito ICARUS, un altro rivelatore che entrerà in funzione sotto il Gran Sasso – sono un primo passo «verso ulteriori e più ampi esperimenti con i neutrini». Grazie a loro, si spera di strappare ai neutrini un po’ del loro mistero.
Nei laboratori del Gran Sasso, intanto, si aspetta con impazienza di scoprire su qualcuna delle lastre di OPERA la traccia lasciata dai neutrini tauonici. «Interagendo con i materiali del rivelatore il neutrino tauonico produce un tau ed altre particelle pesanti» spiega Roberta Antolini. «Il tau, prima di decadere, percorre circa un millimetro, poi dà vita ad altri due neutrini e a un leptone. In questo momento è come se la traccia del tau si spezzasse e formasse un gomito. Ecco: questa è la firma del neutrino tauonico».
Una firma che permetterà ai fisici di rivedere la teoria del Modello standard sulla composizione della materia e a qualcun altro di sognare applicazioni future. C’è già chi parla di sonde ai neutrini per individuare giacimenti petroliferi o di fasci di neutrini in grado di distruggere senza far danni le testate nucleari. Ma per ora questa è ancora fantascienza.
swissinfo, Doris Lucini
All’esperimento OPERA partecipano gli istituti di ricerca di 13 paesi. Un ruolo di primo piano è assegnato all’Istituto nazionale italiano di fisica nucleare (INFN). È nei suoi laboratori, infatti, che si trova il rivelatore per la cattura dei neutrini sparati dal CERN.
Per la Svizzera, collaborano ad OPERA l’Istituto di fisica dell’Università di Berna, il Politecnico federale di Zurigo e l’Università di Neuchâtel.
Entro la fine del 2006, ad OPERA dovrebbe affiancarsi un altro rivelatore, ICARUS, che andrà a completare il progetto CNGS (CERN neutrinos to Gran Sasso), lanciato nel 1999.
Il CERN – Organizzazione europea per la ricerca nucleare – è il più importante laboratorio di ricerca in fisica delle particelle del mondo. È stato istituito nel 1954. Ha sede a Ginevra e conta 20 paesi membri, tra i quali la Svizzera e l’Italia. La Commissione europea, l’UNESCO, gli USA, l’India, il Giappone, la Turchia e la Russia hanno lo statuto di osservatori.
Al CERN sono state condotte le ricerche che hanno portato all’assegnazione dei Nobel per la fisica a Carlo Rubbia e Simon van der Meer nel 1983 e a Georges Charpak nel 1992. Sempre al CERN, nel 1989 da un’idea di Tim Berners-Lee è nato il World Wide Web.
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