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Combattere i dolori cronici si può

Molto spesso i dolori cronici riguardano il sistema scheletrico www.infodouleur.ch

La «Settimana svizzera contro il dolore»: per sensibilizzare ed informare la popolazione e gli stessi medici.

700’000 persone soffrono in Svizzera di dolori cronici, il 10% della popolazione. Troppe non vengono prese sul serio come dovrebbero.

Il dolore resta anche quando la causa è sparita

Il dolore cronico non dev’essere una fatalità di fronte a cui rassegnarsi: ci sono terapie a lungo termine. La cosa più importante è non lasciare che esso prenda piede, afferma la Comunità d’interessi responsabile della campagna.

I dolori acuti sono importanti messaggi del corpo, come ha spiegato in una conferenza stampa a Berna Peter Felleiter, anestesista al Centro per paraplegici di Nottwil, consulente della Comunità.

Se non vengono trattati in modo coerente, si istalla una «memoria del dolore»: le cellule nervose si abituano al dolore e si trasformano in tal modo che esso può persistere anche dopo la soppressione della sua causa. Secondo Felleiter è importante un alleviamento precoce dei dolori acuti. Si possono così evitare enormi sofferenze e pesanti costi.

In Svizzera si è ai primi passi

In Svizzera tuttavia siamo molto arretrati in materia: troppo spesso i pazienti sono considerati simulatori o ipersensibili. Soltanto il 40 per cento di loro viene adeguatamente curato negli ospedali svizzeri, secondo Charles-Henri Rapin, responsabile del Policlinico geriatrico dell’ospedale universitario di Ginevra.

Eppure ci sono a disposizione mezzi che allevierebbero il 90-95 per cento dei dolori. Riprovevole è a suo avviso pure il fatto che bambini, donne, vecchi, handicappati e malati psichici vengano curati in modo insufficiente contro il dolore.

Il caso di Felix

Felix K. Gysin soffre da 30 anni di dolori cronici del sistema motorio, e nel corso di questi lunghi anni nel tunnel della sofferenza, ha raccolto informazioni ed esperienze che ha voluto condividere con altre persone nelle sue stesse condizioni. È diventato infatti presidente dell’Associazione dei pazienti che soffrono di dolori cronici. Dalle pagine del sito dedicato alla campagna informativa, invita a non “lasciar perdere la lotta” contro il dolore, lotta che lui ha vinto in parte, e solo negli ultimi anni.

Dall’inizio degli anni ’90 dice di aver finalmente provato nuove soluzioni più efficaci per lenire le sue sofferenze, dovute ad un difetto di crescita e ad un grave incidente d’auto. Prima ha trovato sollievo da uno specialista del dolore, che gli ha impiantato uno stimolante nervoso (che dava impulsi elettronici sul canale in cui passa un nervo infiammato). Ma dopo un po’ la cura ha smesso di fare efferto.

L’oppio non è una droga?

Poi Felix è passato agli oppiacei applicati localmente sottoforma di cerotto: un rimedio consigliato anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità, perché provoca meno effetti collaterali degli analgesici e degli antinfiammatori. Questi, se presi alla lunga, possono perdere d’efficacia e provocare inoltre dei danni ad altri apparati, ad esempio al sistema digestivo.

“Dalla paura iniziale della dipendenza e degli effetti indesiderati, sono passato alla gioia per gli eccellenti risultati ottenuti” testimonia Felix: “Oggi sento solo un po’ di male ed ho ritrovato una vita che val la pena di essere vissuta”.

Nessuna dipendenza psichica

In un’intervista il Dott. Peter Felleiter risponde che la paura di dipendenza dagli oppiacei è infondata. “Il paziente che soffre di dolori non presenta dipendenza psichica, perché non vi sono né effetti eccitanti, né stupefacenti.” Chiaramente, bisogna interrompere progressivamente l’applicazione del farmaco se questo non è più necessario.



swissinfo e agenzie

Nella Comunità di interessi all’origine della campagna contro il dolore cronico, sono rappresentati la Federazione dei medici svizzeri FMH, la Lega svizzera contro il cancro, la Società svizzera di farmacia, la Suva, cliniche, organizzazioni di pazienti e professionali.

Si parla di «dolori cronici» quando essi durano più di tre mesi e perdono la loro caratteristica di «allarme»
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