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Exit, da vent’anni tra la vita e la morte

Il diritto ad una morte decorosa e i limiti morali dell'individuo: questioni che restano aperte Keystone Archive

Ha ormai vent'anni l'associazione, esempio quasi unico al mondo di aiuto al suicidio non punito dalla legge.

Meriti e limiti dell’associazione

Exit da vent’anni è attiva in uno dei domini etici più discussi e controversi che esistano: l’aiuto ad una morte decorosa per i malati terminali e in alcuni casi, venuti alla luce negli ultimi tempi, anche per anziani non più autonomi e depressi o per persone, anche giovani, con gravi malattie psichiche. In casi come questi, non trattandosi di malattie mortali, l’azione di Exit è stata particolarmente criticata.

Molti riconoscono ad Exit il merito di aver sempre tenuto in considerazione prima di tutto i bisogni dei morenti, togliendo alcuni miti rispetto alla fase finale della vita, in particolare criticando il cosiddetto accanimento terapeutico praticato per anni dai medici. Questa è stata si può dire la sua prima battaglia. L’associazione all’inizio della sua attività puntava però addirittura a raggiungere il diritto di eutanasia attiva diretta.

Gli “angeli della morte”

L’aiuto ai morenti, dato sotto forma di prescrizioni mediche o di altri consigli pratici sul come attuare un suicidio di “successo” è una pratica unica in Europa. Com’è possibile? Exit ha semplicemente scoperto che se per la legislazione elvetica l’eutanasia attiva (come staccare un respiratore) è un reato, in base all’articolo 115, non viene invece punito in Svizzera chi aiuta qualcun altro a suicidarsi.

Al contrario di quanto si potrebbe pensare, ciò non ha origine nella medicina moderna, cioè nel tentativo di mettere dei limiti all’accanimento terapeutico, come spiega a swissinfo Alberto Bondolfi, professore di etica medica all’università di Zurigo e membro della commissione federale etica.

“Nel secolo scorso esisteva il cosiddetto suicidio d’onore, persone che si toglievano la vita per una delusione amorosa, perché avevano dilapidato il proprio patrimonio. Lo stato decise allora di non perseguire penalmente chi prestava l’arma”, spiega a swissinfo Bondolfi.

La zona grigia della legge

È ben chiaro che il contesto è completamente cambiato oggi, ma l’articolo è rimasto. La nostra società ha accettato nel frattempo il fatto che non solo i morenti, ma anche chi ha veramente deciso di rinunciare alla vita non sia perseguibile penalmente.

“Da qui a fare del suicidio un diritto da rivendicare, come vorrebbe Exit, il passo è ancora grande”, conclude il prof. Bondolfi, soprattutto nei casi dei malati psichici, di chi soffre di depressioni, o degli anziani.

Infatti proprio perché contrario a queste pratiche, l’oncologo Franco Cavalli, autore di una iniziativa parlamentare respinta lo scorso dicembre in favore dell’eutanasia attiva, non è membro dell’associazione.

Raffaella Rossello

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