Herman Gyr e il potenziale umano
Durante i 50 anni trascorsi negli Stati Uniti, lo psicologo e consulente sangallese Herman Gyr non ha mai perso la fiducia nell'ingegno umano, la capacità di imparare e di adattarsi alle circostanze, per quanto funeste. Ciò malgrado la realtà dei cambiamenti climatici, che ormai lo tiene occupato.
“Vedi quest’albero? Non avrebbe dovuto crescere in questo modo. Non ha un tronco centrale”. Sotto le fronde che circondano la casa di Palo Alto, nella Silicon Valley, mi mostra un’antica quercia, i cui rami divergono stranamente già dal suolo, come un gigantesco bouquet piantato da una mano gigante. “Sono [i nativi americani] Ohlone che l’hanno modellato così. Anche un popolo che viveva in armonia con la natura l’ha segnata con la sua impronta”.
Vi diamo il benvenuto da Herman Gyr, psicologo, imprenditore e consulente internazionale. Me l’avevano detto: nella regione della Baia di San Francisco è estremamente facile avvicinare le persone, indipendentemente dal loro rango o dalla loro importanza. Nulla nell’abbigliamento mi permette di dire se ho a che fare con un impiegato o un dirigente d’azienda – come lui. Allora poco importa se l’espressione “vecchio saggio” è uno stereotipo; gli calza a pennello.
Il richiamo dei grandi spazi
“Avevo sette o otto anni quando mio nonno mi ha portato a vedere un film su un ‘road trip’ dal nord dell’Alaska al sud dell’Argentina”, racconta il settantenne dal fisico longilineo e dallo sguardo scintillante. “Mi ha lasciato senza fiato. Ho visto questi oceani, queste terre così vaste e, d’un tratto, la Svizzera mi è sembrata piccola”.
Quando a 17 anni sente parlare dell’American Field ServiceCollegamento esterno, una ONG che si dedica all’educazione interculturale, Herman Gyr parte quindi senza indugi a studiare un anno in un liceo di Dallas, in Texas.
“È stato semplicemente straordinario, ho fatto teatro, del football, dei film per la TV locale. Era la fine degli anni Sessanta, la guerra in Vietnam. Il movimento pacifista era molto forte tra la gioventù – anche nel Texas”, si ricorda Gyr che, al suo ritorno in Svizzera, si sente “ancora più straniero”. Dopo due anni di studi in psicologia all’Università di Zurigo si butta sulla prima occasione per riattraversare l’Atlantico e ritrovare quella “fantastica sensazione di libertà” che gli offrono gli Stati Uniti. Grazie a una borsa di studio, prosegue il suo curriculum ad Ann Arbor, nel Michigan.
Poi, la partenza verso la Costa ovest, dove incontra Lisa Friedman che diventerà sua moglie e compagna di vita. A San Francisco, conseguono entrambi la tesi di dottorato in psicologia. Quella di Gyr riguardava un progetto del centro logistico dell’esercito statunitense, “sul modo in cui si possono creare dei circuiti di collaborazione in un sistema fortemente gerarchizzato”, riassume. Passa quindi dalla psicologia clinica alla psicologia delle organizzazioni – disciplina che non abbandonerà più, anche se oggi è attivo in un ambito molto diverso.
“La terapia è generalmente orientata al passato. Ciò che interessa a me, è di inventare un futuro con le persone con cui lavoro”, spiega Gyr, oggi consulente d’impresa molto ascoltato, anche ben al di fuori della Silicon Valley. È tra i cofondatori di Enterprise Development GroupCollegamento esterno (EDG) che fornisce consulenza e forma imprenditori e imprenditrici in progettazione, strategia, organizzazione, sviluppo e innovazione – sempre più spesso in ambito climatico.
L’azienda ha una succursale in Germania e una in Svizzera, dove il capo e la sua squadra hanno lavorato con decine di imprese. Hanno accolto la direzione di varie aziende elvetiche, tra cui Swisscom, La Posta o la compagnia aerea Swiss per degli atelier di formazione nei famosi “garage” di EDG a Palo Alto, con i tetti ricoperti da pannelli fotovoltaici.
Un metodo di finanziamento unico
Che cos’ha da imparare la Svizzera, così fiere di classificarsi regolarmente tra i Paesi più innovativi al mondo, dai metodi della Silicon Valley? “Una mentalità e metodi imprenditoriali”, risponde Gyr, rendendo omaggio al magnifico lavoro di networking svolto da Swissnex, il consolato scientifico svizzero a San Francisco.
“La sfida per la Svizzera sono le sue dimensioni. È un Paese minuscolo e, soprattutto in ambito tecnologico, bisogna vedere le cose molto in grande”. È vero che Logitec è nata 40 anni fa nel campus del Politecnico federale di Losanna (EPFL) ma, nel suo secondo anno di esistenza, la ditta di periferiche informatiche ha trasferito le sue attività di sviluppo nella Silicon Valley. Ed è tra la Baia di San Francisco e le costa pacifica che sono nate Apple, Google, Facebook, Tesla, HP, Netflix o Intel.
Si tratta forse di una questione di finanziamenti? 92 miliardi di dollari di capitale di rischio investiti in California nel 2022 nelle giovani imprese, contro i 4 in Svizzera. Sono cifre significative. Ma, per Gyr, l’essenziale è altrove: “Qui, nella Silicon Valley, non è il denaro che conta, è il modo in cui vi si accede. C’è una procedura, un linguaggio che permette di collegare la tua idea ai soldi disponibili”.
Il meccanismo è ben rodato: secondo la leggenda, Steve Jobs aveva preso in prestito 1’000 dollari dalla madre per fondare Apple con Steve Wozniak nel 1976. Un anno prima, pare che anche Bill Gates avesse ottenuto i primi 1’000 dollari per Microsoft dalla madre. Nel 1994, Jeff Bezos ha ricevuto un assegno di 300’000 dollari da famiglia e amicizie per lanciare Amazon. Il capitale di rischio entra in gioco più tardi, a mano a mano che la giovane imprenditoria mostra il suo potenziale.
Come sottolinea Gyr, “tutto ciò che non funziona è eliminato molto presto” – spesso dall’imprenditore stesso, poiché il processo di finanziamento e sostegno della Silicon Valley gli permette di capire che l’idea non aveva il valore che avrebbe immaginato. “È un modo molto interessante di creare del valore, uno scambio permanente tra investitori e innovatori che tiene il rischio a un livello basso”, riassume. Questo sistema dovrebbe in teoria permettere di evitare di investire milioni in qualcosa che non funzionerà.
Il genio è uscito dalla lampada
Dopo il personal computer, internet, le reti sociali e gli smartphone, quale sarà la prossima grande svolta, la “Next big thing”? Gyr non ha dubbi: “Le tecnologie climatiche sono il settore che genererà più innovazioni e attirerà più investimenti nei prossimi anni”. Ma per lui si tratta piuttosto della seconda “big thing”, perché la prima è già arrivata: l’intelligenza artificiale (IA).
Sul suo smartphone, mi mostra un’applicazione che non si limita a tradurre le parole, ma clona la voce di chi parla e modifica il movimento delle labbra per adattarlo all’altra lingua. In questo modo, ci si può vedere dire una cosa in francese, poi la stessa in spagnolo, con la voce e l’illusione quasi perfetta che si stia parlando davvero in un’altra lingua. “Il genio è uscito dalla lampada. L’IA è tra noi. Ci ho a che fare ogni giorno. A dire il vero, è già presente da tempo e non se ne andrà più”. Ed è un bene o un male? Il vecchio saggio non esprime un giudizio.
Per lui, dipenderà dalla natura umana, da questo bisogno di far avanzare la tecnologia. “Abbiamo sempre utilizzato l’ingegneria per portare l’umanità al suo livello di potenziale seguente. È iniziato con l’agricoltura, che d’altronde non è altro che ingegneria del suolo. Poi sono arrivate le macchine e tutto il resto”… fino ai cambiamenti climatici.
Ritorno alla natura
“La realtà climatica ci colpisce in pieno e molto più velocemente di quanto chiunque avesse previsto”, constata Gyr. “E il problema è che stiamo ancora sognando. Pensiamo che basti fermare le emissioni. Certo, bisogna fermarle, ma ciò non cambierà nulla della realtà attuale”. Questa realtà è che l’atmosfera non è la sola a scaldarsi, ma anche gli oceani lo fanno, anche in profondità. Al punto che oggi i ghiacci dei poli non si sciolgono solo in superficie, ma anche al di sotto di essa.
“L’umanità deve adottare approcci totalmente diversi per riparare ai danni che ha causato. Non da ultimo, rompendo il tabù della crescita a tutti i costi.”
“La festa è finita. I ghiacci spariranno. E perché? Perché lo facciamo da 150, 200, 250 anni. Abbiamo industrializzato le nostre vite, abbiamo inviato tutto quel CO2 nell’atmosfera e vi resterà per centinaia di anni – senza contare gli altri inquinanti”. Per Gyr l’umanità deve quindi “adottare approcci totalmente diversi per riparare ai danni che ha causato”. Non da ultimo, rompendo il tabù della crescita a tutti i costi. Semplicemente “perché non si può continuare a crescere su un pianeta con risorse limitate”.
Anche questo non basterà. Bisogna quindi puntare ancora una volta su più tecnologia, come quella dell’azienda svizzera Climeworks che gestisce, con una società islandese, una fabbrica vicino a Reykjavik capace di estrarre dall’atmosfera fino a 3’600 tonnellate di CO2 all’anno? “È un granello di sabbia nel deserto”, dice Gyr, che crede maggiormente in metodi più legati alla natura.
“Il miglior modo di estrarre il CO2 è far lavorare le piante”. Cita quindi la tecnica del biocharCollegamento esterno, che consiste nel lasciare le piante assorbire naturalmente del CO2 e in seguito bruciarle per pirolisi – una trasformazione chimica senza ossigeno a più di 400°C che produce una sorta di carbone inerte, il quale non verrà a sua volta bruciato, ma immagazzinato durevolmente nel suolo.
Ancora una volta la natura, ma modellata dall’essere umano, come la vecchia quercia degli Ohlone.
A cura di Samuel Jaberg
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