Il rapporto Bergier in prospettiva internazionale
La Svizzera non è l'unico paese a confrontarsi con la seconda guerra mondiale. Altri paesi si interrogano su uno dei periodi cruciali del Novecento.
Jean-François Bergier, presidente della Commissione indipendente di esperti Svizzera-seconda guerra mondiale (CIE), aveva sottolineato già due settimane fa, in occasione della presentazione del rapporto finale della CIE, la necessità di valutare i risultati della ricerca svizzera in un contesto internazionale.
Il Centro di studi internazionali dell’Università e del Politecnico di Zurigo l’ha preso in parola, organizzando mercoledì un simposio dedicato appunto alla ricerca storica sulla seconda guerra mondiale in prospettiva internazionale. Simposio chiuso da una relazione dello stesso Bergier, che ha proposto alcune riflessioni sui cinque anni di lavoro alla testa della CIE.
“Non la Svizzera, ma alcuni leader hanno fallito”
Centinaia di persone hanno preso posto nell’aula magna dell’università di Zurigo per ascoltare il discorso di Jean -François Bergier. Segno che il lavoro della CIE, anche ad anni di distanza dai momenti più caldi del dibattito sulla Svizzera nella seconda guerra mondiale, continua a suscitare interesse.
Bergier ha ribadito quanto non si stanca di ripetere da tempo: “Gli storici non sono giudici”. Ciò non toglie che la ricerca storica possa indicare delle responsabilità precise: “Non è la Svizzera che ha fallito negli anni del nazionalsocialismo. Ma alcuni leader politic ed economici hanno fallito, non hanno assunto le loro responsabilità.”
Il rapporto della commissione era atteso quasi si trattasse di una sentenza, ma, ha notato Bergier con un gioco di parole, “un buon rapporto finale è un rapporto iniziale, che dà avvio a nuove ricerche e riflessioni.”
In questo senso, Bergier ha invitato a leggere le vicende della seconda guerra mondiale in un contesto più ampio. Da un lato osservandole nel quadro della storia dei trent’anni che vanno dallo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 alla fine della seconda nel 1945. Dall’altro dando avvio a un progetto di ricerca transnazionale che possa fornire un quadro complessivo sulle “catastrofi del Novecento.”
Dalla storia nazionale alla storia transnazionale
Ancora molti storici si muovono primo di tutto in un quadro nazionale. Ma le premesse per un dibattito allargato esistono, come ha dimostrato il simposio che ha preceduto il discorso di Bergier e che ha visto la partecipazione di Norbert Frei, storico, professore all’Università di Bochum, Clemens Jabloner, presidente della corte amministrativa di Vienna e della commissione di storici austriaca che sta svolgendo un lavoro analogo a quello della CIE, e Hans-Ulrich Jost, professore all’Università di Losanna.
Naturalmente il confronto con il passato nei tre paesi, Germania, Austria e Svizzera, è avvenuto con tempi e modalità diverse. In Svizzera forse in maniera più complessa poiché, come ha notato Clemens Jabloner con una battuta, “dopo la guerra la Svizzera poteva ritenersi del tutto innocente, cosa che l’Austria non ha mai potuto fare.” Dal canto suo la Germania, principale responsabile del secondo conflitto mondiale, ha dovuto occuparsi del suo passato fin dall’immediato dopoguerra- pur con molte reticenze e resistenze.
Ragion per cui negli anni Novanta, di fronte alla nuova situazione mondiale – segnata dalla crescente internazionalizzazione del diritto e da maggiore spazio di manovra per le organizzazioni che rappresentano le vittime del nazionalsocialismo, la Germania non si è trovata nella necessità di misure straordinarie quali la nomina di una commissione di storici.
Ora però lo stato degli studi è a un livello tale, nella maggior parte dei paesi europei, da permettere di guardare in maniera complessiva a quel tentativo di ridefinizione dei rapporti di forza e delle strutture economiche europee che è stata l’epoca dei fascismi. Coinvolgendo anche paesi che, come la Svizzera, pensavano fino a non molto tempo fa di rappresentare in tutto e per tutto un “Sonderfall”, un caso eccezionale.
Andrea Tognina
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