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Il revival della tradizione umanitaria

Profughi ungheresi nel 1956: la solidarietà svizzera fu politica prima che umanitaria. RDB

Nell'attuale dibattito sulla legge sull'asilo, sia i fautori sia gli avversari della sua revisione fanno riferimento alla «tradizione umanitaria» della Svizzera.

È un vecchio tema, che si ripresenta ogni volta che il paese discute dell’accoglienza degli stranieri sul proprio territorio. Ma che appartiene più alla sfera del mito che a quello della realtà storica.

«La revisione della legge sull’asilo e la nuova legge sugli stranieri permettono di combattere meglio gli abusi nel diritto d’asilo e nel sistema sociale. In compenso, la Svizzera conserva la sua tradizione umanitaria nei confronti dei veri rifugiati», si legge in un comunicato dell’Unione democratica di centro (UDC), partito che da decenni chiede una politica più restrittiva verso stranieri e profughi.

«La politica d’asilo deve corrispondere alla tradizione umanitaria e cristiana della Svizzera», gli fa eco – ma con intenti contrari – il vescovo di Coira Amédée Grab, presidente della Conferenza episcopale svizzera e strenuo oppositore alla nuova legge sull’asilo.

Si tratta solo di due esempi fra tanti. Nella campagna per la votazione del 24 settembre, i due fronti sono divisi da una visione alquanto diversa della società elvetica. Eppure una cosa li accomuna: il richiamo ad una non meglio specificata «tradizione umanitaria» della Svizzera.

Una lezione non appresa

Il fenomeno non è nuovo. Il richiamo alla «tradizione umanitaria» è un elemento ricorrente del discorso politico elvetico. «La Svizzera, luogo di rifugio per i profughi: questa è la nostra nobile tradizione», si leggeva già in una delle sale dell’Esposizione nazionale di Zurigo nel 1939.

L’anno prima la Svizzera aveva chiuso le frontiere di fronte ai profughi ebrei provenienti dall’Austria annessa al Reich. Tre anni dopo la Svizzera applicò di nuovo una politica estremamente restrittiva nei confronti degli ebrei che fuggivano dalla Francia per sottrarsi alle deportazioni verso i campi di sterminio.

Episodi noti, che ancora a metà degli anni Novanta sono stati al centro del dibattito sul ruolo della Svizzera nella Seconda guerra mondiale e che sono stati oggetto di studio da parte della commissione Bergier. Senza che questo abbia potuto scalfire l’immagine di una Svizzera umanitaria.

«Il riferimento attuale alla ‘tradizione umanitaria’ è indicativo del fatto che il rapporto Bergier non è stato sufficientemente elaborato dall’opinione pubblica», osserva la storica Nelly Valsangiacomo, dell’Università di Losanna.

Solidarietà d’opinione

Ma come spiegare la persistenza del discorso sulla «tradizione umanitaria», la sua impermeabilità alla critica storica? La risposta va cercata probabilmente alle origini del moderno stato federale, fra i miti fondatori dell’identità nazionale elvetica.

Come tutti i miti, anche quello della «tradizione umanitaria» ha delle innegabili radici storiche. Per la sua posizione geografica e per la sua molteplicità sociale e culturale, la Svizzera ha rappresentato per secoli un rifugio per fuggiaschi di varia origine, dagli ugonotti e valdesi del XVII secolo ai repubblicani italiani e ai liberali tedeschi dell’Ottocento.

In realtà però, come ha notato lo storico Georg Kreis, la «tradizione d’asilo», risultato della somma d’azioni in favore di singole categorie di rifugiati, non poggiava su un ideale umanitario universale, ma su una «solidarietà di opinione» fra gruppi politici o culturali affini.

Non per niente, già nel XIX secolo, la Svizzera fu piuttosto reticente nel concedere asilo agli esponenti del movimento operaio. Dopo il 1945 accolse a braccia aperte i profugi ungheresi e cecoslovacchi, in fuga dai regimi comunisti, ma fu ben più riservata nei confronti delle vittime dei governi dittatoriali dell’America latina.

Tuttavia l’idea di una «missione storica» nei confronti dei profughi fornì alla Svizzera uno strumento positivo di legittimazione nazionale, da affiancare al principio di neutralità. A partire dalla supposta tradizione d’asilo, rilevava ancora Kreis, si poteva «costruire un’ideologia, che fece dell’impegno umanitario, accanto al disimpegno politico, uno scopo esistenziale della nazione».

Valori identitari

Il revival attuale dell’espressione «tradizione umanitaria» indica evidentemente la volontà dei fautori e degli avversari della legge sull’asilo di rivendicare per sé il rispetto di valori identitari fondamentali.

Come strumento di orientamento di fronte ad una scelta politica, il riferimento alla «tradizione umanitaria» non è però di nessuna utilità, poiché l’espressione non ha un contenuto concreto. Il rischio è piuttosto di perdere nuovamente di vista la realtà storica.

«Meglio sarebbe riferirsi ai diritti umani nella loro formulazione concreta», osserva Nelly Valsangiacomo. «Perché infatti la Svizzera dovrebbe basarsi su una ‘tradizione umanitaria’ diversa dai diritti umani?»

swissinfo, Andrea Tognina

Per il giovane stato federale riunitosi attorno alla costituzione del 1848 l’offerta d’asilo rappresentava la possibilità di manifestare verso l’esterno la propria indipendenza.

«Uno dei più preziosi diritti di sovranità è il diritto d’asilo», affermava nel 1888 il consigliere federale Numa Droz. Nella concezione giuridica dell’epoca, il diritto d’asilo era un diritto dello stato e non un diritto individuale. «Noi non riconosciamo in alcun modo che ad uno straniero spetti un diritto all’asilo», chiariva nel 1849 il consigliere federale Jonas Furrer.

Ancora oggi la Costituzione federale svizzera non postula un diritto individuale all’asilo, anche se ha recepito il principio del «non refoulement» (art. 25: « I rifugiati non possono essere rinviati né estradati in uno Stato in cui sono perseguitati»), mutuato dal diritto internazionale.

Altre costituzioni, scaturite dall’esperienza del fascismo e della guerra, prevedono invece un diritto individuale all’asilo. È il caso della costituzione italiana (art.10) o della legge fondamentale tedesca (art. 16a).

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