L’occhio dei glaciologi sulle perle delle Alpi
Ogni anno, una schiera di ricercatori e di appassionati calzano scarponi e ramponi per arrampicarsi sui pendii alpini e valutare lo stato dei ghiacciai elvetici.
Le loro conclusioni non lasciano spazio all’ottimismo: il declino dei ghiacci continua, oggi più che mai. La ricerca ha il compito di prevedere le possibili ripercussioni su uomo e ambiente, per prepararsi allo scenario peggiore.
Svizzera, 20’000 anni fa: una landa ghiacciata ricopre il territorio, lasciando affiorare soltanto le vette più alte. Il clima è freddo e secco. Rispetto alla situazione attuale, la temperatura media estiva è inferiore di 8-10 gradi e le precipitazioni annuali più basse di circa 500 mm.
Dopo un’alternanza di fasi di ritiro e di crescita – come vuole la naturale fluttuazione dei cicli climatici – i ghiacciai hanno iniziato il loro ultimo declino attorno alla metà del XIX secolo, alla fine della «Piccola era glaciale».
La regressione è seguita con attenzione da glaciologi e geologi elvetici, che dal 1880 si inerpicano sui fianchi alpini per misurare le variazioni dei ghiacciai più grandi (121 in tutto). Questa raccolta sistematica di dati – che dal 1893 è coordinata dalla Commissione svizzera dei ghiacciai in collaborazione con il Politecnico federale di Zurigo (ETHZ) – non è solo utile, ma anche unica: è infatti la più lunga esistente al mondo.
Come cento anni fa, le misurazioni continuano a basarsi su elementari principi di matematica, geometria e trigonometria, anche se i vecchi strumenti sono stati sostituiti da apparecchiature più moderne. La lunghezza – segnala il meteorologo e glaciologo Giovanni Kappenberger – non è l’unico parametro rilevato: ci sono pure i bilanci di massa (differenza tra l’accumulazione invernale e lo scioglimento estivo), la velocità di scorrimento e il volume del ghiaccio.
«A differenza della lunghezza frontale, il bilancio di massa riflette meglio le condizioni climatiche dell’anno precedente e consente quindi di seguire le alterazioni in atto», dice Kappenberger a swissinfo.
Neve primaverile per superare l’estate
Svizzera, oggi: l’immenso manto bianco si è frammentato in circa 1’800 ghiacciai di varia dimensione. Dai 23 km di lunghezza dell’Aletsch, a cavallo tra Vallese e canton Berna, ai pochi metri dei ghiacciai minori.
«Ad influire su un ghiacciaio sono soprattutto le precipitazioni primaverili e il tipo di stagione estiva», spiega Kappenberger. «Se nevica sufficientemente prima della stagione calda, il ghiacciaio potrà beneficiare di una protezione naturale e contenere lo scioglimento. Una canicola prolungata in estate, senza alcuna precipitazione in quota, può al contrario essere fatale e far perdere fino a 10 cm di ghiaccio al giorno».
Le temperature miti dell’inverno 2006-2007 non dovrebbero dunque ripercuotersi direttamente sullo stato dei ghiacciai. Diverso invece il discorso sulla neve. «Solitamente, quando a metà maggio ci rechiamo sul ghiacciaio del Basodino, in Ticino, dobbiamo iniziare l’ascesa con le pelli di foca. Quest’anno abbiamo invece camminato su un folto strato erboso».
Tonnellate di ghiaccio «in fumo»
Secondo uno studio del’ETHZ, il periodo compreso tra l’autunno del 2005 e l’autunno del 2006 è stato particolarmente difficile. Si stima che i ghiacciai elvetici abbiano perso tra il 3 e il 4% del loro volume e da 2 a 2,5 metri di spessore.
Con l’eccezione dell’Allalingletscher, in Vallese, tutte le lingue dei ghiacciai osservati si sono ridotte. Nei Grigioni, il ghiacciaio Suretta ha perso in dodici mesi 700 metri. L’Aletsch, il più grande d’Europa, è dal canto suo risultato di 115 metri più corto.
«In generale, si può affermare che lo scioglimento ha subito una netta accelerazione a partire dal 1998», rileva Giovanni Kappenberger.
Nessuna riserva in caso di siccità
Svizzera, nel 2100: la temperatura sulle Alpi è cresciuta di oltre 2 gradi e le nevicate a bassa quota si sono fatte rare. Solamente i ghiacciai in altitudine – oltre i 4’000 m – hanno resistito al riscaldamento.
Come osserva Martin Funk, glaciologo all’ETHZ, «considerando l’evoluzione attuale, nemmeno ricoprendo le masse ghiacciate con speciali teloni, come si è fatto nel 2005 sopra ad Andermatt, si potrà frenare lo scioglimento».
Le evoluzioni possibili sono la lenta colonizzazione delle zone liberate dai ghiacciai da parte della vegetazione e l’apparizione di nuovi laghi alpini. «Senza ghiaccio – rammenta poi Andreas Bauder della Rete svizzera di sorveglianza dei ghiacciai – l’acqua non è più stoccata in forma solida e quindi non ci saranno riserve in caso di siccità».
Per i ricercatori, si tratterà in particolare di prevedere i possibili effetti di questa carenza idrica su agricoltura, paesaggio e turismo. Senza tralasciare lo studio dell’impatto sui grandi fiumi e sull’approvvigionamento energetico, dal momento che il 60% dell’elettricità prodotta in Svizzera è di origine idroelettrica.
Infine, un’altra importante sfida consisterà nell’affrontare le conseguenze dell’erosione dei ghiacci sulla stabilità rocciosa delle montagne, per evitare danni a infrastrutture e persone.
swissinfo, Luigi Jorio
In Svizzera ci sono circa 1’800 ghiacciai. L’Aletsch, situato tra il Vallese e il canton Berna, è con i suoi 23 km di lunghezza il più grande d’Europa. È inoltre inserito nel patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Tra il 1850 e il 2005, la superficie totale dei ghiacciai è diminuita di circa il 40% (cifre dell’Accademia svizzera di scienze naturali), mentre il volume si è ridotto del 60%. Attualmente i ghiacciai si ritirano mediamente del 3% ogni anno.
Si stima che a causa della canicola dell’estate del 2003 si sia sciolto l’8% dei ghiacciai alpini.
Secondo gli esperti, un innalzamento delle temperature estive di 3 gradi entro il 2100 provocherebbe una riduzione dell’80% rispetto all’estensione attuale. Con un riscaldamento di 5 gradi le Alpi rimarrebbero senza ghiacciai.
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