La lingua non si ferma al confine
Apparentemente dimenticata dai linguisti italiani, la Svizzera è però terra feconda di studi sulla lingua italiana.
Alle opere storiche, come l’Atlante italo-svizzero di Jud, si affiancano le opere di studiosi moderni. Tra di loro Ottavio Lurati, insignito del premio Galileo Galilei 2003.
Quando nell’Ottocento si cominciano a studiare in modo più approfondito le lingue, le parlate derivate dal latino diventano da subito uno dei campi di studio preferiti dai linguisti. Questo perché la presenza di una lingua madre ben documentata come il latino permette di ricostruire con una certa esattezza i passaggi che hanno caratterizzato lo sviluppo delle lingue romanze, o neolatine che dir si voglia.
Gli studiosi venuti dal Nord
L’ondata di studi ottocenteschi parte dal Nord, in particolare dalla Germania, dove sull’onda del Romanticismo, si cominciano a studiare le parlate della gente comune. Solo ciò che arriva dal popolo, infatti, è ritenuto autentico ed interessante. Non a caso uno dei più insigni studiosi di linguistica storica è quello stesso Jakob Grimm che insieme al fratello Wilhelm ha raccolto e pubblicato le fiabe popolari della tradizione tedesca.
Anche in Svizzera, in particolare in quella di lingua tedesca, nascono cattedre di linguistica romanza. Osservati speciali: l’italiano e i suoi dialetti. L’opera più importante nata in questo ambito è senza dubbio l’Atlante italo – svizzero (AIS) curato da Jakob Jud e Karl Jaberg, attivi all’Università di Zurigo.
L’AIS, pubblicato tra il 1928 e il 1940, è una monumentale opera che raccoglie, accompagnandole spesso a disegni, le corrispondenze dialettali di diverse parole italiane. Negli anni Venti, la squadra di Jud e Jaberg ha percorso tutto il territorio italofono, vale a dire Italia e Svizzera italiana, per raccogliere i dati necessari alla realizzazione dell’AIS, un opera talmente importante che nonostante l’età è ancora fondamentale per gli studiosi di dialettologia.
Svizzera italiana dimenticata?
Sulla base dei dati dell’AIS, Giovan Battista Pellegrini ha poi elaborato una Carta dei dialetti d’Italia (1977), dimenticandosi però volutamente della Svizzera italiana. Un dato sintomatico della poca considerazione della realtà ticinese e grigionitaliana da parte dei linguisti italiani?
«La limitazione politico geografica è una brutta bestia», commenta Franco Lurà, direttore del Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona. «Soprattutto da parte italiana è difficile trovare degli studiosi che sappiano come si parla oltre confine. Ma il fatto che dal Nord si guardi al Sud rientra nella tradizione della scuola svizzera, che si è occupata con un certo anticipo rispetto alla scuola italiana stessa di linguistica italiana e di dialettologia».
Bruno Moretti, professore di linguistica italiana all’Università di Berna, però sdrammatizza: «Chi si occupa seriamente di ricerca e divulgazione non tralascia di studiare la Svizzera italiana. D’altro canto ci sono anche altre considerazioni da fare: con la situazione economica odierna quale studioso italiano può permettersi di chiedere al suo paese i finanziamenti per studiare la situazione svizzera?»
Studi: non italiani ma molti
Il fatto che gli studiosi italiani snobbino un po’ la Svizzera non significa che la situazione linguistica della Confederazione sia poco studiata. «Per la situazione sociolinguistica del Ticino abbiamo più studi che per qualsiasi altra regione d’Italia», fa notare Moretti.
«La carta dei dialetti di Pellegrini, che si ferma al confine, è una delle più grandi distrazioni della linguistica italiana. Però al di qua del confine possiamo trovare il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, un’opera che non ha uguali in Italia».
Il Vocabolario dei dialetti è un’altra opera monumentale nata ai tempi di Jud e oggi portata avanti dal Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona. Si tratta di una vera e propria enciclopedia della vita della Svizzera italiana per concludere la quale ci vorranno ancora un centinaio d’anni.
«Per quanto riguarda la qualità e la quantità degli studi», riassume Moretti «si può dire che la Svizzera italiana sia ben esplorata. Forse proprio il fatto che la situazione linguistica di questa regione sia studiata in modo approfondito da linguisti del luogo fa sì che per gli studiosi italiani ci sia meno interesse o più timore nel metterci le mani».
Una tradizione premiata
La situazione dell’italianistica in Svizzera può dirsi buona, ma Moretti non nasconde le sue preoccupazioni per il futuro. «La grande tradizione dell’italianistica svizzera ha dato vita ad opere importantissime. Ora però le cattedre d’italianistica, che sono sempre esistite solo al di fuori del territorio italofono, stanno diminuendo. Inoltre gli anni d’oro dell’italianistica svizzera sono stati costruiti anche grazie all’apporto dei figli degli immigrati. Bisogna vedere se la terza generazione dimostrerà lo stesso interesse nei confronti delle proprie radici».
Intanto però la tradizione trova una conferma nel prestigioso premio «Galileo Galilei» attribuito in ottobre al ticinese Ottavio Lurati. Noto anche come «Nobel italiano», il premio onora ogni anno studiosi stranieri che hanno dedicato la loro attività scientifica ad argomenti di civiltà italiana.
Lurati, professore di linguistica italiana all’Università di Basilea, ha svolto ricerche di lessicologia storica e ha sviluppato un approccio sistematico ai modi di dire della lingua italiana. Prima di lui altri due svizzeri avevano ricevuto il «Galileo Galilei»: padre Giovanni Pozzi, professore di letteratura italiana all’Università di Friburgo, nel 1992 e lo zurighese Max Pfister, ideatore del Lessico etimologico italiano, nel 1993.
swissinfo, Doris Lucini
In Svizzera l’italiano si può studiare alle università di Zurigo, Friburgo, Berna, Basilea, Ginevra, Losanna e Neuchâtel. L’università di San Gallo, specializzata in economia e giurisprudenza, non ha un corso di laurea in italianistica, ma offre comunque delle lezioni di letteratura italiana.
Fino a poco tempo fa anche il Politecnico federale di Zurigo offriva dei corsi d’italiano, ma dopo il pensionamento del professor Ottavio Besomi, nessun altro è stato chiamato ad occupare il posto che dal 1856 al 1860 fu di un personaggio illustre come Francesco De Sanctis.
Per il momento non esistono cattedre d’italiano in Ticino, dove l’Università della Svizzera italiana sta muovendo i primi passi.
Anche se le cattedre d’italianistica si trovano nella Svizzera tedesca o francese, le lezioni si tengono tutte in italiano, secondo la tradizione in vigore nei paesi dell’area tedesca.
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