La Svizzera: una bella addormentata?
Dopo le elezioni di ottobre, il panorama politico e intellettuale elvetico sembra essersi risvegliato dal suo torpore. «Un’illusione pericolosa», dice a swissinfo Martin Heller, ex direttore di Expo.02.
Il tamtam mediatico suscitato dall’elezione del governo nasconde i veri problemi del paese.
I risultati delle elezioni politiche di ottobre, che hanno portato ad una polarizzazione degli schieramenti, sono all’origine del rinnovato slancio con cui si discute del sistema di governo svizzero.
Il 10 dicembre il parlamento eleggerà il Consiglio federale, un evento a cui alcuni guardano col timore di veder affondare il sistema di concordanza conosciuto fin qui e altri con la speranza di veder cambiare le carte in tavola.
Martin Heller, l’uomo che è stato alla guida di Expo.02, non si lascia coinvolgere dalla concitazione generale. Per lui, l’intensa attività di media, partiti e parlamentari, serve solo a coprire «l’immobilismo politico quasi assoluto» della Svizzera.
swissinfo: Se dovesse vincere la sua scommessa e portare Christoph Blocher in governo, l’Unione democratica di centro (UDC) riuscirà a smuovere la Svizzera?
Martin Heller: Lo escludo nel modo più assoluto. Un partito che, culturalmente parlando, vorrebbe mantenere il paese in uno stato d’immobilità artificiale che fa pensare alla morte e che porta del movimento solo là dove questo serve ai suoi interessi, non sarà mai in grado di mettere in moto ciò di cui ha bisogno oggi la Svizzera.
Un partito così non può trasmettere l’iniziativa, lo slancio e l’entusiasmo necessari al paese per diventare più forte.
swissinfo: Il mondo politico e i media, però, trovano la situazione attuale molto movimentata ed interessante…
M.H.: Io non la vedo affatto così. Credo che tutta questa concitazione sia il sintomo di qualcosa che non va per il verso giusto.
Lo spettacolo da operetta allestito per l’elezione del Consiglio federale nasconde altri e ben più gravi problemi: ci si rifiuta di guardare là dove c’è un urgente bisogno d’azione.
swissinfo: E dove bisognerebbe agire?
M.H.: Durante gli ultimi quattro anni mi è parso che la Svizzera fosse molto divisa. Il mondo politico, culturale ed economico hanno stabilito da soli il loro calendario.
Attualmente sono poche le persone e le istituzioni che coinvolgono la popolazione e sfruttano in modo adeguato il potenziale sociale del paese. Questo è un campo in cui credo bisognerebbe diventare più attivi.
Grazie all’esperienza fatta ad Expo.02, ho potuto inoltre costatare che le quattro tradizionali culture elvetiche si allontanano sempre di più. Non vedo nessun’iniziativa volta a vivere in modo costruttivo questa ricchezza culturale e ad integrarla in un discorso comune.
Siamo di fronte a quattro culture che più passa il tempo meno si dimostrano in grado di comunicare, perché le competenze linguistiche diminuiscono e l’inglese non è accettato da tutti allo stesso modo, quattro culture che hanno opinioni diverse su cosa farebbe bene al paese e a loro.
E pensare che questa ricchezza culturale potrebbe essere così interessante, variegata, seducente. In realtà siamo felici se possiamo evitare di entrare in contatto gli uni con gli altri. In questo modo pensiamo di sfuggire ai conflitti – e questo in barba al discorso ufficiale sulla coesione nazionale.
Poi c’è anche un importante tema politico: il federalismo. Sono convinto che la Svizzera non possa più permettersi il sistema attuale. Il nostro federalismo assorbe molte energie che sarebbe opportuno dedicare alla soluzione dei problemi fondamentali del paese.
È un modo di pensare in piccolo, di commerciare privilegi regionali e cantonali, è un tentativo di vivere e pensare la Svizzera come una terra parcellizzata.
Non si può più andare avanti così. Ci sono altri problemi, c’è l’Europa, c’è la necessità di occuparsi culturalmente di altri temi e di farlo con un altro ritmo. Non possiamo più permetterci un federalismo che è spreco d’energia.
swissinfo: Lei pensa che riformando il sistema politico si possa ottenere un miglioramento della situazione?
M.H.: Non saprei, anche se naturalmente ci si augura sempre delle riforme. Per me è ormai chiaro – e l’esperienza di Expo.02 è stata la prova definitiva – che la politica ha ormai perso enormemente di valore agli occhi dei cittadini e delle cittadine.
Non ci definiamo più in modo politico e ancor meno ci riconosciamo in un partito. Ci definiamo in misura maggiore attraverso le attività culturali, attraverso il nostro stile di vita, attraverso le innumerevoli cose che rendono la Svizzera un paese attraente e in cui vale la pena di vivere.
Gli unici a non essersene accorti sono i politici di mestiere. Lo spettacolo che ci offre oggi la politica è indegno. In questo modo fare delle riforme è impossibile.
swissinfo: L’Europa si espande ad Est e diventa sempre più influente. Il cammino solitario della Svizzera, con o senza Blocher in governo, durerà ancora a lungo. A suo avviso con quali conseguenze?
M.H.: Certo, si può essere contro l’entrata in Europa della Svizzera. La pensano così anche delle persone attive in ambito culturale. Ma se si vuole rimanere in disparte, bisogna essere consapevoli del fatto che le competenze culturali sono uno dei fattori che determinano il valore economico di un luogo.
Per questo la cavalcata solitaria della Svizzera può essere compensata solo con un surplus di prestazioni culturali in grado di mantenerci aperti e al passo coi tempi. Ma l’UDC e gli altri partiti non si sognano nemmeno di originare questo surplus.
Inoltre, negli altri paesi del vecchio continente, anche in quelli dell’Est dove mi reco spesso, si costata come pensare in modo europeo sia ormai un’ovvietà. C’è molta forza in questo concetto, una forza che fa cambiare le cose, che stimola la cooperazione.
Tutto ciò passa accanto alla generazione oggi attiva in Svizzera. E questa generazione dove dovrebbe andare a prendere le competenze necessarie ad affermarsi come isola in un’Europa unita?
Da questo punto di vista il nostro mito della Svizzera come isola ha una componente quasi autodistruttiva.
swissinfo: Le sue parole non trasudano certo ottimismo. Ma lei, come uomo di cultura, ha un’idea di che aspetto dovrebbe avere una Svizzera nuova e diversa?
M.H.: Io vivo volentieri in Svizzera. L’Expo.02 mi ha dimostrato che è possibile smuovere le acque. Ma per continuare a farlo ci vorrebbe più coraggio da parte delle singole persone, dei media, delle istituzioni: solo così potrebbero nascere le discussioni necessarie a mettere fine ad un immobilismo politico quasi assoluto.
Ci sono talmente tanti soldi in questo paese. Eppure tutti si lamentano, tutti vogliono risparmiare. E pensare che ci sarebbe tanto sapere, tanta abilità internazionale. Ma noi ci ostiniamo, quasi consapevolmente, a voler tener nascosto tutto ciò.
Mentre mi trovavo in Austria per lavoro, un politico mi si è avvicinato e si è detto onorato di avermi nel suo paese. Aveva visto l’Expo.02 e l’aveva trovata bellissima.
Solo una cosa l’aveva lasciato perplesso: il poco rilievo dato all’avvenimento dalla Svizzera ufficiale, quasi quest’ultima si fosse addormentata e non avesse potuto assistere allo spettacolo.
Ecco, le cose stanno proprio così. Scacciare la sonnolenza – questa è la mia idea.
Intervista swissinfo: Jean-Michel Berthoud
(traduzione dal tedesco: Doris Lucini)
Martin Heller, classe 1952, è storico dell’arte ed etnologo;
Dal 1986 lavora al Museum für Gestaltung di Zurigo, del quale è diventato direttore nel 1989;
1997: diventa direttore anche del Museo Bellerive (Zurigo);
1999-2003: direttore artistico dell’esposizione nazionale Expo.02;
Da cinque mesi Heller ha fondato un’impresa indipendente che si occupa di cultura (Heller Enterprises).
Martin Heller, che è stato il direttore di Expo.02, guarda con occhio critico alla Svizzera. La ritiene immobile e giudica la concitazione con la quale si va verso l’elezione del Consiglio federale come uno spettacolo teatrale di cattivo gusto, volto a distogliere l’attenzione dai reali problemi del paese.
Heller attacca l’UDC, partito che ritiene incapace di dare una spinta positiva al mondo culturale elvetico.
Critiche anche per il federalismo che assorbe troppe risorse. Invece di passare il tempo a difendere dei privilegi regionali si dovrebbero affrontare di petto i problemi del paese.
Per Heller si tratta del solo modo di ricolmare il fossato che separa il mondo politico dalla società e sfruttare al meglio le potenzialità di quest’ultima.
Convinto europeista, Heller deplora il mito svizzero dell’isola, che potrebbe rivelarsi autodistruttivo.
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