La testimonianza di una svizzera a Città del Messico
La svizzera Carole D. racconta la sua esperienza a Città del Messico, dove la nuova influenza ha confinato in casa migliaia di persone, tra panico, incertezza e disinformazione.
Scuole, bar e musei sono chiusi a Città del Messico e ogni forma di raduno pubblico è proibita. Misure di sicurezza adottate per far fronte all’epidemia della nuova influenza e che, secondo il sindaco Marcelo Ebrard potrebbero essere prolungate per altri dieci giorni.
Nonostante lo stato di allerta la friburghese Carole D. – agente immobiliare nella capitale messicana – ha dovuto rinunciare a lasciare il paese durante il fine settimana. Il compagno di sua figlia, colpito da una febbre altissima, è ricoverato da martedì.
«Potete immaginare la mia angoscia… Questa schifezza è davvero contagiosa e mia figlia ha trascorso tutto il week-end con lui… Dobbiamo aspettiamo 24 ore e l’apparizione dei primi sintomi per andare in ospedale!».
«Cerchiamo di proteggerci in ogni modo, rispettando le misure di sicurezza dettate dalle autorità: lavarsi regolarmente le mani, indossare le mascherine e, al minimo sintomo, recarsi in ospedale», racconta Carole D. «Ci hanno inoltre spiegato che non bisogna assolutamente assumere il Tamiflu come automedicazione o prevenzione, senza essere effettivamente ammalati».
Non è sempre facile tuttavia distinguere i sintomi dell’influenza, spiega la 55enne friburghese. A causa dell’ondata di caldo che attraversa il paese – oltre 30° – e dell’uso regolare di aria condizionata, «tutti hanno la tosse ed è difficile capire se si è stati contagiati. Sembra che ci siano diversi giovani tra i morti, ma spero che curandosi rapidamente ci si possa ancora salvare».
Presa di coscienza collettiva
Mentre sua figlia ha rinunciato a recarsi all’università, Carole D. ha indossato la sua mascherina per andare al lavoro lunedì, ma non vi è rimasta a lungo. «Preferisco stare a casa ad ascoltare le notizie diffuse alla radio e alla televisione e a navigare in rete. D’altronde l’isteria mediatica contribuisce non poco a spaventare la gente».
Carole D. non nasconde affatto la sua paura. «Non si può andare né in banca né al ristorante. Da nessuna parte insomma. Da domenica le strade sono praticamente deserte, senza alcun ingorgo. Di solito i messicani se ne infischiano di tutto, ma in questo caso sono coscienti della gravità della situazione. Ci sono ancora uffici aperti, ma è una scelta che trovo perfettamente ridicola».
Il Messico non è comunque la Svizzera, aggiunge Carole D. e molti cittadini rimangono indisciplinati e non seguono alla lettera le misure di sicurezza prescitte dalle autorità.
«Lunedì ho contato soltanto quattro conducenti su dieci che portavano la mascherina di protezione. E le fermate dei bus, così come quelle dei metrò, sono piene di povera gente costretta ad andare a lavorare».
L’aeroporto, una zona a rischio
Per ora il virus ha causato la morte di sette persone in Messico. L’Organizzazione mondiale della sanità ritiene comunque inutile ridurre gli spostamenti o chiudere le frontiere. Ciò nonostante paesi come la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, il Giappone e la stessa Svizzera sconsigliano di recarsi in Messico, soprattutto nella capitale.
Secondo Carole D. si tratta tuttavia di una scelta tardiva visto che il problema proviene dall’immenso aeroporto di Città del Messico. Le autorità avrebbero dovuto chiuderlo o almeno impedire alle persone di uscire dal paese.
«In questa folla enorme, basta che una persona ammalata starnutisca ed è la fine. È proprio in questo modo che i cittadini europei sono stati infettati». Stando alle ultime speculazioni, racconta inoltre Carole D., la pandemia sarebbe stata scatenata da un cittadino americano giunto in Messico a inizio aprile. «Si è ammalato e poi è ripartito per gli Stati Uniti dove il tutto è proseguito. Sono convinta che è proprio nell’aeroporto che si prende il virus!».
Tutta colpa degli americani
Martedì, di fronte al diffondersi della malattia, l’OMS ha alzato il livello di rischio di pandemia da tre a quattro su una scala di sei. «La presenza di due casi sospetti negli Stati Uniti, relativi a giovani che non si sono recati in Messico, fa pensare a una trasmissione da uomo a uomo sul posto», ha precisato l’OMS. E questo significherebbe l’esistenza di un focolaio indigeno fuori dai confini messicani.
L’OMS si basa sul fatto che «la fonte di alcune infezioni negli Stati Uniti, in Canada e in Gran Bretagna non è ancora stata stabilita», ha aggiunto il portavoce Gregory Hartl.
E come spesso accade in situazioni estreme, anche in Messico l’incertezza ha favorito la diffusione di informazioni assurde, racconta Carole D.
«Nel corso della sua visita, il presidente americano Obama ha girovagato per il Messico. Ha visitato tra l’altro anche il museo di antropologia e stretto la mano al direttore, che è morto tre giorni dopo, ossia la scorsa settimana. Forse anche Barack Obama ha paura, anche se sicuramente si sarà già fatto visitare».
Ambasciata svizzera in allerta
Dal canto suo, l’ambasciata svizzera a Città del Messico ha ricevuto un numero considerevole di chiamate da parte di cittadini preoccupati per l’evolvere della situazione. «Queste persone sono state informate sulle misure da prendere, in accordo con le raccomandazioni dell’OMS e delle autorità sanitarie locali. Il sito internet è aggiornato costantemente, così come i consigli ai viaggiatori del Dipartimento degli affari esteri», indica il servizio stampa.
Sulla base del dispositivo di crisi della missione diplomatica elvetica, delle misure di protezioni dei collaboratori sono state prese, ad esempio limitando allo stretto necessario gli spostamenti in città. Conclusione: «il gruppo mantiene uno spirito positivo».
swissinfo, Isabelle Eichenberger
(Traduzione di Stefania Summermatter)
Per rispondere alle domande dei cittadini, le autorità sanitarie della Confederazione hanno messo in funzione un’apposita linea telefonica.
Chi desidera informazioni e consigli può telefonare al numero
++41(0)31 322 21 00 dalle ore 09:00 alle 18:00 nei giorni feriali.
Il servizio è gestito dal Centro svizzera di telemedicina, in accordo con l’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP).
Ragguagli sono pure disponibili sul sito dell’UFSP, all’indirizzo
http://www.bag.admin.ch/pandemie/index.html?lang=it
I grandi laboratori farmaceutici sono in piena attività per esaminare le possibilità di produrre un vaccino contro il nuovo virus.
Ma per la fabbricazione occorrono 5-6 mesi e l’OMS ha detto che richiederebbe una produzione su larga scala solo se il rischio pandemico si aggravasse.
La svizzera Novartis ha annunciato di avere ricevuto il codice genetico del nuovo ceppo del virus. Ciò consentirà al gigante farmaceutico, che spera i ottenere presto un campione del virus, di valutare le possibilità di produzione.
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