Marco Reinhard e i segreti della materia
È arrivato in California nove anni fa, un po' per caso. Oggi, questo ex abitante di Burgdorf (nel Canton Berna) esplora le viscere della materia a Stanford, più precisamente allo SLAC, dove si trova il più grande acceleratore lineare di particelle al mondo.
“Non ho mai sognato davvero di venire in California. Stavo finendo il mio dottorato e non sapevo bene cosa avrei fatto dopo. L’occasione si è presentata e tutto è successo molto velocemente”. Un mese dopo aver ricevuto la risposta dal Centro d’accelerazione lineare di StanfordCollegamento esterno (in inglese Stanford Linear Accelerator Center, SLAC), nel 2014 Marco Reinhard si è trasferito nella Silicon Valley con la sua compagna che poi sarebbe diventata sua moglie e madre di due figli. Ma avrebbe potuto facilmente atterrare altrove, avendo inviato le sue candidature in luoghi molto diversi.
“Prima di allora ero venuto in California in vacanza e mi era piaciuta molto. Ma non pensavo neanche lontanamente che ci avrei vissuto un giorno. E, soprattutto, non avevo idea che avesse così tanto da offrire”.
Così tanto da offrire… oltre all’Università di Stanford, naturalmente.
La scuola dei futuri giganti
La Silicon Valley non sarebbe quello che è senza la scuola fondata alla fine del XIX secolo dal governatore e senatore della California Leland Stanford e dalla moglie Jane. Regolarmente classificato tra le migliori tre università al mondo, Stanford eccelle nelle scienze in generale e nell’informatica e nell’ingegneria in particolare. Attira i migliori professori, professoresse, studenti e studentesse dai cinque continenti ed è un’incubatrice per le start-up, alcune destinate a un futuro globale.
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Non si tratta di un fenomeno recente: già nel 1909, Cyril Frank Elwell, studente a Stanford, ha creato la Federal Telegraph Company, una delle prime aziende al mondo a fabbricare telegrafi e installare stazioni radio. Trent’anni più tardi, Bill Hewlett e David Packard si dedicarono al bricolage di strumenti id misurazione in un garage (pratica che diventerà tradizione) e, nel 1966, HP ha prodotto il suo primo computer.
Altri “piccoli” geni sono usciti da Stanford (e dai rispettivi garage): Robert Noyce, cofondatore di Intel nel 1968, Steve Jobs, cofondatore di Apple nel 1976, Jarry Yang e David Filo, che hanno lanciato Yahoo! nel 1994, Larry Page e Serguey Brin con Google nel 1998 e, più di recente, Elon Musk, fondatore di SpaceX e re-inventore di Tesla.
Energia persa … ma non per tutti
Non è per fondare una start-up che Reinhard è giunto nella Silicon Valley. E neanche per la vita nel campus di Stanford, che frequenta poco – se non per usufruire delle strutture per lo sport. Formatosi al Politecnico federale di Losanna (EPFL), ha avuto occasione di proseguire le sue ricerche in spettroscopia per i raggi X allo SLAC, dove si trova l’acceleratore lineare id particelle gestito dall’ateneo e finanziato dal dipartimento dell’energia statunitense.
Nato nel 1962, nel pieno del boom della fisica delle particelle, dopo il CERN di GinevraCollegamento esterno e prima del Fermilab di ChicagoCollegamento esterno, lo SLAC ha puntato inizialmente sull’accelerazione in linea retta, in un tunnel di 3,2 chilometri. Vi si proiettano minuscoli “granelli” di materia contro dei bersagli o gli uni contro gli altri a velocità vicine a quella della luce e le collisioni forniscono informazioni sulla struttura della materia e sulle forze fondamentali che la tengono assieme.
Nei due altri mastodonti dell’epoca le particelle girano in cerchio, ma nello SLAC sfrecciano lungo un rettilineo. Con questa particolarità, l’apparecchio di Stanford non avrebbe mai potuto competere con l’LHC del CERN per la ricerca del famoso bosone di Higgs, poi scoperto nel 2012 – anche se è il frutto della collaborazione tra i due istituti. Tuttavia, gli acceleratori circolari hanno i loro inconvenienti, ad esempio il fatto che, girando, le particelle perdono energia, emessa sotto forma di radiazioni, la cui potenza cresce con l’aumentare della velocità.
La fisica ha capito velocemente che vantaggio trarre da questo “effetto collaterale” delle sue macchine. Come spiega Reinhard, le particelle accelerate possono generare dei raggi X con proprietà che vanno ben oltre ciò che ci si potrebbe aspettare dagli apparecchi radiologici usati in medicina. Questi raggi X forniscono a scienziati e scienziate uno strumento unico per sondare l’infinitamente piccolo.
Oggi, il laboratorio dispone di due fonti di raggi X basate sugli acceleratori: la Stanford Synchrotron Radiation Lightsource (SSRLCollegamento esterno) e la Linac Coherent Light Source (LCLSCollegamento esterno). Lanciata nel 2009, quest’ultima dispone del primo laser a elettroni liberi a raggi X (XFEL) del mondo, “una nuova generazione di macchine che hanno esteso i limiti della scienza basata sui raggi X”.
Ridistribuendo e ingrandendo le sue infrastrutture, lo SLAC si è trasformato in un nuovo sito di ricerca interdisciplinare in cui non lavorano solo fisici, ma anche chimiche, biologhe e medici.
“Filmare” l’infinitamente piccolo
Reinhard non è biologo, né medico. Fisico nell’ambito della ricerca fondamentale, ciò che lo motiva è innanzitutto “la curiosità di capire il più possibile sulla natura”. Il suo settore di specializzazione sono gli impulsi ultrarapidi dei raggi X generati dalle due macchine dello SLAC, che permettono di “filmare” in tempo reale delle reazioni chimiche a livello molecolare, di seguire la carica e la scarica di una batteria o di vedere gli elettroni circolare in un chip.
“Lavoro principalmente su esperimenti in cui utilizziamo degli impulsi laser rapidi per innescare e osservare una reazione chimica, un processo biomolecolare o la trasformazione di un nuovo materiale funzionale”, spiega il fisico. Si può osservare il processo anche se si svolge in scala atomica e va molto, molto, velocemente: la precisione dell’LCLS si misura in femtosecondi, ovvero in milionesimi di miliardesimo di secondo!
Impressionante. Ma… a cosa serve? Reinhard ci dà l’esempio dei materiali energetici. “Possiamo vedere in tempo reale come le particelle che trasportano una carica elettrica in un materiale si fanno intrappolare o si ricombinano”. Il che è molto utile per migliorare l’efficienza di un pannello fotovoltaico.
Altre squadre di ricerca allo SLAC lavorano sulla fotosintesi, processo naturale che permette alle piante di utilizzare la luce solare per convertire il diossido di carbonio e l’acqua in ossigeno e glucidi. Più di 200 anni dopo i primi lavori sulla fotosintesi, infatti, non conosciamo tutti i dettagli di come funziona. Non è difficile immaginare quali prospettive emergerebbero qualora si riuscisse a creare una fotosintesi artificiale.
>> 5 minuti e 30 per capire come l’LCLS possa catturare i movimenti incredibilmente rapidi di atomi e molecole in questo video (in inglese) prodotto dallo SLAC.
La comunità
Prima delle applicazioni industriali, ci vuole molta ricerca fondamentale. Non viene svolta solo allo SLAC. Ci sono oggi più di 50 fonti di raggi X basate su degli acceleratori di particelle nel mondo. In Svizzera, l’Istituto Paul Scherrer possiede la Swiss Light Source – SLSCollegamento esterno, con cui Reinhard ha realizzato alcuni esperimenti della sua tesi di dottorato con una precisione che all’epoca era cento volte minore – in dieci anni, la tecnologia ha fatto passi da gigante.
“La comunità, la gente, gli scambi, l’apertura mentale, … Tutto questo permette di essere te stesso, di esplorare nuove idee e confrontarle con quelle di persone totalmente diverse.”
Come la maggior parte dei laboratori simili nel mondo, lo SLAC mette gratuitamente a disposizione i risultati delle sue ricerche. Delle sintesi sono pubblicate nelle riviste scientifiche e i dati grezzi sono accessibili online dall’insieme della comunità – che non è un termine come un altro in questo caso.
Reinhard apprezza in modo particolare questo aspetto del suo lavoro. “È in questo contesto che mi sento veramente bene. La comunità, la gente, gli scambi, l’apertura mentale,… Tutto questo permette di essere te stesso, di esplorare nuove idee e confrontarle con quelle di persone totalmente diverse”.
Anche se la comunità non ha frontiere, la competizione non manca. Come spiega lo scienziato, “bisogna battersi per ottenere del tempo sulla macchina per svolgere un esperimento. E questo porta davvero i ricercatori del mondo intero a collaborare su proposte comuni. In seguito, tutta questa gente viene qui per l’esperimento”.
La maggior parte, ripartirà.
Nostalgia delle stagioni
E Marco Reinhard, se ne andrà un giorno? Ammette che lui e la famiglia si sentono benissimo in California, anche se il meteo sempre uguale ogni tanto gli pesa. “La pioggia, la neve, queste giornate in cui si apprezza restare al caldo in casa perché fuori fa davvero freddo, questo mi manca”.
Non è l’unica cosa. “Non ho lasciato la Svizzera perché ero scontento. Da qui, posso vedere meglio fino a che punto è bella”. All’inizio, aveva previsto di trascorrere un anno nella Silicon Valley. Era nove anni fa. A 42 anni, senza piani precisi dice però di essere “quasi convinto che un giorno torneremo in Svizzera”.
A cura di Samuel Jaberg
Traduzione, Zeno Zoccatelli
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