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Mister prioni più ottimista

Il professor Adriano Aguzzi ha contribuito in questi ultimi anni a svelare numerosi segreti dei prioni swissinfo.ch

Dieci anni dopo la crisi della mucca pazza, le ricerche sui prioni hanno permesso di capire le ragioni della malattia e di arginare l’epidemia.

In un’intervista a swissinfo, il professore Adriano Aguzzi, uno dei maggiori specialisti mondiali, esprime un moderato ottimismo su questa emergenza sanitaria.

L’encefalopatia spongiforme bovina (ESB), chiamata comunemente morbo della mucca pazza, ha messo in allarme una decina di anni fa le autorità sanitarie e veterinarie dei paesi europei.

Milioni di bovini sono stati abbattuti per bloccare la diffusione della malattia che distrugge il cervello e il sistema nervoso, con effetti letali.

L’epidemia si è notevolmente ridotta negli ultimi anni, ma nuovi timori sono sorti in seguito all’apparizione presso l’uomo di una nuova forma della malattia di Creutzfeldt-Jakob, dovuta al consumo di carne bovina infettata.

Il professor Adriano Aguzzi, direttore dell’Istituto di neuropatologia dell’Università di Zurigo, figura tra gli studiosi che hanno offerto un contributo sostanziale alla comprensione dei prioni, gli agenti infettivi che trasmettono malattie come l’ESB.

swissinfo: Da un paio di anni si parla meno del morbo della mucca pazza e del rischio di trasmissione di questa malattia all’uomo. Colpa dei media oppure l’emergenza è ormai rientrata?

Adriano Aguzzi: Nel campo della salute, come in altri settori, i media concentrano spesso un’attenzione massima – a volte quasi isterica – su un tema, che viene poi dimenticato o soppiantato da un tema successivo.

Il problema dell’ESB è quasi sparito dai media, ma purtroppo non dalla natura. Vi sono comunque delle valide ragioni di ottimismo, rispetto ad alcuni anni fa. Anche perché le misure adottate nell’ultimo decennio, a cominciare dal divieto delle farine animali, hanno permesso di ridurre fortemente la diffusione del morbo presso i bovini e quindi i rischi di trasmissione all’uomo.

swissinfo: Alcuni anni fa sussistevano ancora dei dubbi sul fatto che l’ESB fosse provocata dalle farine animali. Ora si può parlare di una certezza?

A.A.: Sì, non c’è più nessun dubbio che l’ESB venga trasmessa da farine animali. Anche se ancora oggi vi sono delle persone incorreggibili, tra cui anche alcuni scienziati, che continuano a sostenere altre teorie, a parlare di batteri o sostanze neuro-tossiche. Vi sono chiaramente delle parti in causa che tentano di scaricare le loro responsabilità.

Personalmente sono disposto a scommettere la mia intera reputazione scientifica sul fatto che il morbo della mucca pazza è da ricercare nelle farine animali.

swissinfo: Ma come si è giunti all’idea di nutrire i bovini con farine contenenti carne bovina? È stata una logica del profitto che si potrebbe definire altrettanto demenziale del morbo della mucca pazza?

A.A.: Effettivamente è una pratica contro natura, che ha trasformato animali erbivori in cannibali. Però, alla base di questa pratica non vi erano solo interessi finanziari, ma addirittura argomentazioni che si potrebbero definire ecologiche.

In paesi come la Svizzera, non va dimenticato, vengono eliminate molte parti del bovino che in altre regioni del mondo sono normalmente utilizzate per l’alimentazione umana. Vent’anni fa sembrava assurdo incenerire tutte queste preziose proteine di altissimo valore energetico. Invece di distruggerle si è pensato che era meglio riciclarle, trasformandole in farine animali.

swissinfo: A pagare il prezzo di questo sbaglio sono state anche molte persone che hanno contratto la nuova variante di Creutzfeldt-Jakob. La diffusione di questa malattia sembra però meno drammatica rispetto a quanto si temeva alla fine degli anni ’90?.

A.A.: Sì, fino a pochi anni fa ero terrorizzato dall’idea che si potesse produrre una gigantesca epidemia, magari con centinaia di migliaia di morti. Per fortuna questa epidemia non c’è stata e, con ogni anno che passa, si allontana sempre più questo pericolo.

È vero che vi sono stati finora circa 160 morti dovuti alla nuova variante di Creutzfeldt-Jakob. È una terribile tragedia per ognuno di loro e per i loro famigliari, che si poteva evitare. Ma le dimensioni di questa tragedia sono meno terribili di quelle di molte altre malattie.

swissinfo: Vi sono però ancora molte incognite che riguardano il periodo di incubazione, tra la trasmissione dei prioni e l’inizio della malattia?

A.A.: Effettivamente bisogna ancora essere prudenti, dal momento che il periodo di incubazione può essere di 20, 30 o addirittura 40 anni. Conosciamo il numero delle vittime, ma non sappiamo quante persone si siano infettate e quanti siano i portatori sani.

Fortunatamente, questa malattia non è sessualmente trasmissibile, come l’Aids. Sussistono però ancora grandi timori di una trasmissione tramite trasfusioni di sangue proveniente da portatori sani. Sono stati infatti ritrovati dei prioni patogeni nel sangue donato da persone che non erano ancora ammalate al momento della donazione.

Per questo motivo, il nostro istituto sta analizzando migliaia di campioni di tessuti linfatici – come tonsille o milze – per cercare di identificare i prioni e verificare la frequenza dell’infezione nella popolazione.

swissinfo: Nel caso in cui l’infezione fosse molto diffusa, vi sono delle speranze di impedire lo sviluppo della malattia, bloccando l’azione dei prioni sul cervello?

A.A.: Ancora oggi rimangono molti interrogativi, ai quali stiamo cercando nel nostro istituto una risposta. Ad esempio: a cosa servono i prioni, quali molecole sono coinvolte nella loro riproduzione e quali meccanismi permettono ai prioni patogeni di danneggiare il cervello.

Riusciamo invece già abbastanza bene a capire come si muove il prione dal tubo digerente al cervello. Siamo inoltre riusciti a mettere a punto un piccolo arsenale di sostanze farmacologiche in grado di bloccare questo trasporto.

In quest’ambito, il problema è però di sapere chi si infettato e quando. Stiamo quindi cercando degli strumenti diagnostici in grado di reperire rapidamente la trasmissione del prione patogeno all’uomo.

swissinfo: Lei ha studiato e lavorato in vari paesi, ha ricevuto diversi premi anche all’estero e ha occasione di confrontarsi con studiosi internazionali. Come valuta il livello della ricerca svizzera rispetto a quella degli altri paesi?

A.A.: La Svizzera ha assolutamente una posizione di primato nel campo della biologia molecolare, dell’immunologia e delle neuroscienze. Una posizione di eccellenza confermata da diversi premi Nobel, come Rolf Zinkernagel, Kurt Wüthrich.

Vedo però delle nuvole all’orizzonte. Da alcuni anni, Confederazione e Cantoni varano continuamente programmi di risparmio che toccano anche un settore come la scienza, a cui manca una vera e propria lobby.

Secondo me si tratta di una scelta rischiosissima. Lo sviluppo della proprietà intellettuale, la produzione di brevetti, la ricerca scientifica e tecnologica sono senza dubbio l’unica chance per la Svizzera di mantenere anche in futuro il suo benessere.

I tagli operati oggi ai fondi della ricerca avranno senza dubbio conseguenze carissime tra tre o quattro decenni.

Intervista di swissinfo, Armando Mombelli

La malattia della mucca pazza – encefalopatia spongiforme bovina (ESB) – è provocata dai mangimi contenenti farine animali.
Dal 1990 sono stati registrati circa 200’000 casi di ESB a livello mondiale, di cui oltre 190’000 nella sola Gran Bretagna.
La Svizzera, che figura tra i paesi più colpiti con più di 450 casi, ha adottato nell’ultimo decennio numerose misure per bloccare la diffusione dell’epidemia.

Nato nel 1960, Adriano Aguzzi ha seguito studi di medicina e biologia in Germania, Svizzera, Stati uniti e Austria.

Il ricercatore, di nazionalità italiana, lavora dal 1993 presso l’Università di Zurigo, dove ha assunto nel 2004 la direzione dell’Istituto di neuropatologia.

Per le sue ricerche sui prioni, Aguzzi ha ricevuto negli ultimi anni numerosi importanti riconoscimenti internazionali, tra cui il premio Robert Koch nel 2003 e il premio Marcel Benoist nel 2004.

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