Nuove frontiere nella lotta contro i prioni
Si intensificano le ricerche sul morbo della mucca pazza e sulle possibili minacce dei prioni per il cervello umano.
L’aumento dei casi di Creutzfeldt-Jakob preoccupa sempre più gli specialisti, che temono i rischi di trasmissione attraverso la catena alimentare.
L’encefalopatia spongiforme bovina (BSE, meglio conosciuta come morbo della “mucca pazza”) ha tenuto banco per mesi sui mass-media, per il terrore che potesse propagarsi all’uomo nella sua variante nota come malattia di Creutzfeldt-Jakob.
Una malattia molto rara (i casi accertati con sicurezza in Europa finora sono meno di 150), ma temibile per i sintomi che la caratterizzano: i pazienti muoiono dopo circa un anno, ciechi e dementi, con il cervello bucherellato come una spugna – da qui la denominazione “spongiforme”.
Altrettanto preoccupante il fatto che, probabilmente, la sua diffusione avviene attraverso la catena alimentare.
Il nemico prione
I ricercatori sono riusciti a stabilire che la Creutzfeld-Jakob, individuata per la prima volta nel 1996, è provocata dal cosiddetto “prione”, un insidioso agente patogeno molto difficile da individuare e resistente alla sterilizzazione.
Al contrario di tutti gli altri agenti infettivi – virus, batteri, funghi e protozoi – che sono organismi viventi, il prione è una proteina alterata e come tale non possiede DNA.
Accumulandosi in aggregati o placche osservabili nel cervello dei malati di Creutzfeld-Jakob, il prione infettivo riesce a distruggere le cellule nervose (neuroni) secondo meccanismi non ancora spiegati. E si ignora anche quale sia il suo periodo d’incubazione, che potrebbe arrivare persino a più decenni.
Aumento dei casi di mortalità
Il numero di morti sospette recensite nella sola Inghilterra è passato da 33 nel ’90, a 50 nel ’96 e a 83 nel 2002, ma è difficile prevedere se questo numero aumenterà progressivamente per poi ridiscendere, oppure se esploderà bruscamente.
Tanto più che esiste la possibilità che la Creutzfeld-Jakob si diffonda anche attraverso donazioni di sangue, trapianti d’organi o l’assunzione di medicamenti che contengono sostanze di origine animale (in particolare bovina).
Ricercatori svizzeri all’avanguardia
Per combattere i prioni infetti, una delle prime necessità è individuarli tempestivamente, sia nell’uomo sia nell’animale.
In questo campo un contributo decisivo è venuto da ambienti scientifici svizzeri: nel 2000 un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Biologia Molecolare e Biofisica del Politecnico di Zurigo, guidati dal professor Kurt Wüthrich (Nobel per la chimica nel 2002), ha decodificato la struttura tridimensionale della proteina prione.
Un’altra équipe svizzera ha messo a punto un metodo di rilevamento rapido del prione, che consiste nell’usare un particolare enzima per separarlo in due parti: uno dei frammenti può poi essere facilmente rivelato.
Per quel che riguarda le cure, i tempi sono invece ancora lunghi. Una possibile pista terapeutica è stata annunciata nel 2002 dal laboratorio dello scienziato Stanley Prusiner, lo “scopritore” del prione: sostanze particolari denominate “poliamine ramificate” sono in grado di distruggere i prioni patogeni in vitro.
Non si sa però che effetti potrebbero avere se inoculate in animali o persone viventi.
swissinfo, Alessandra Zumthor
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