OGM, un tema che appassiona e divide
L’uso di organismi geneticamente modificati (OGM) in agricoltura è un’opportunità per combattere la fame nel mondo o un attacco alla biodiversità del pianeta?
Le opinioni divergono e sfociano in un discorso polarizzato, con i due schieramenti che si rinfacciano da una parte la paura del progresso e dall’altra la sete di profitti mascherata da azione umanitaria.
Prendiamo l’esempio dell’India, dove la coltivazione del cotone è la principale fonte di sostentamento di circa 7 milioni di famiglie contadine: molte devono ricorrere a prestiti per poter acquistare costosi pesticidi. Ma, con i proventi del raccolto, riescono a malapena a coprire i costi di produzione, precipitando così nell’indebitamento e nella rovina.
In questo contesto, le grandi società produttrici di sementi propongono il loro cotone transgenico Bt, il quale dovrebbe assicurare un rendimento moltiplicato con un minor consumo di pesticidi.
Ma le sementi transgeniche costano molto più di quelle normali e il contadino non ha il diritto di conservarne una parte per riutilizzarle in seguito. Inoltre, la pianta transgenica è disegnata su misura per gli erbicidi della ditta produttrice e implica una dipendenza del contadino dalla stessa.
E i risultati? In molti casi non arrivano: i raccolti non sono superiori a quelli ottenuti con sementi convenzionali, i costi di produzione aumentano e il problema dell’indebitamento dei contadini non viene risolto. Ciononostante, le sementi Bt si stanno diffondendo a grande velocità in India.
Disastro annunciato?
Situazioni analoghe sono riscontrabili in numerosi paesi in via di sviluppo, dove l’agricoltura resta la principale fonte di sostentamento della popolazione. L’occasione per confrontarsi su questa complessa tematica è stata offerta a metà febbraio da SWISSAID, associazione di aiuto allo sviluppo, che ha organizzato un simposio a Berna, intitolato “Introduzione degli OGM in agricoltura – cronaca di un disastro annunciato?”
Non è un caso se il tema degli OGM in agricoltura fa la sua comparsa proprio ora. Nel corso dell’autunno 2005 il popolo svizzero sarà infatti chiamato ad esprimersi sull’iniziativa popolare “per alimenti prodotti senza manipolazioni genetiche”, che chiede l’introduzione di una moratoria fino al 2009 sull’uso di prodotti geneticamente modificati nel paese.
Il simposio di Swissaid ha messo il luce le preoccupazioni concernenti i reali benefici derivanti dagli OGM e i rischi per la biodiversità.
Verso una dipendenza totale
Queste reticenze sono condivise da chi, come l’agronomo Elisée Ouedraogo – direttore del Servizio di appoggio tecnico ed ecologico ai contadini in Burkina Faso –, osserva da vicino gli effetti degli OGM sull’agricoltura locale.
“Dietro i presunti vantaggi degli OGM” – spiega – “si nascondono gli interessi puramente commerciali delle multinazionali. Fingiamo di ignorare che l’introduzione di cotone transgenico in Burkina Faso potrebbe contaminare le altre qualità di cotone, che diventerebbero anch’esse proprietà di chi possiede il brevetto di quella contaminante. Sul piano economico, quindi, ci avviamo verso una dipendenza totale dei piccoli produttori nei confronti delle multinazionali agrochimiche”.
Altri oratori denunciano le connivenze tra i poteri politici e i colossi del settore. “In Colombia, un’impresa che aveva fatto richiesta per veder autorizzati i propri prodotti, si trovava nella posizione di accordarsela! Un suo dirigente sedeva anche nella competente Commissione…”, commenta amaramente Germàn Vélez, da anni attivo in loco nella valorizzazione della biodiversità.
Le cose sono andate diversamente in Zambia. Il paese africano, spiega il ministro dell’agricoltura Mundia Sikatana, ha scelto di rinunciare all’aiuto del “Programma Mondiale per il cibo” dell’ONU. Durante la grave carestia del 2002, allo Zambia erano state offerte 50’000 tonnellate di mais transgenico. Giudicando troppo elevati i rischi per salute e biodiversità, il paese ha imboccato un’altra via, diversificando e modernizzando il proprio settore agricolo.
Un’opportunità da cogliere
Diversa, ovviamente, la posizione di chi vede negli OGM un’enorme potenzialità. Andrew Bennet, direttore della Fondazione Syngenta per un’agricoltura sostenibile, sottolinea come “pur tenendo conto delle legittime preoccupazioni, non si deve dimenticare che gli OGM rappresentano una soluzione, per offrire un’alimentazione più ricca alle fasce povere della società. Anche i consumatori ne trarranno beneficio, in quanto i prodotti saranno meno cari e conterranno meno residui di pesticidi”.
Bennet aggiunge che “per nutrire le prossime generazioni, sarà necessaria una quantità di alimenti doppia rispetto a quella attuale: risulterà quindi assai difficile privarsi di una simile risorsa”.
In merito ai rischi per la salute e la biodiversità, Bennet afferma che “anche quella genetica, come tutte le tecnologie, necessita di un lasso di tempo sufficiente per potersi evolvere e perfezionare: se essa viene bloccata ora, ciò non sarà possibile”.
Resta da chiedersi se la contaminazione del patrimonio vegetale – e quindi indirettamente anche di quello animale – sia un rischio che valga la pena correre, se non sia una strada senza ritorno. Per Bennet il rischio equivale a quello che corriamo ogni giorno usando il cellulare o il forno a microonde, ma per le associazioni di aiuto allo sviluppo la posta in gioco è molto più alta.
swissinfo, Andrea Clementi e Doris Lucini
Sei multinazionali controllano il 98% delle piante geneticamente modificate e il 70% dei pesticidi.
La superficie coltivata con tali specie supera gli 80 milioni di ettari, ossia il 5% delle terre coltivabili del globo.
800 milioni di persone soffrono di malnutrizione: i produttori di semi OGM prometteno di risolvere questo problema.
Sono definite transgeniche le piante alle quali vengono attribuite nuove proprietà tramite l’aggiunta di un gene estraneo (di origine animale, batterica o vegetale).
La coltivazione della soia, del mais, della colza e del cotone transgenico è diffusa soprattutto negli Stati Uniti, in Argentina, in Canada e in Cina. Questo tipo di coltura si sta diffondendo in Africa del Sud, India e Brasile.
Nel 2004, oltre 8 milioni di agricoltori hanno piantato delle specie transgeniche, in 17 paesi.
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