Parola d’ordine: «Tedesco»
Helvetia Latina denuncia la discriminazione delle minoranze linguistiche in seno all’Amministrazione federale.
La rappresentanza latina nei vari uffici federali non è proporzionale alla ripartizione linguistica della popolazione elvetica.
«In uno Stato plurilingue, la conoscenza dell’altro è intimamente legata alla conoscenza della propria lingua», ha affermato il presidente della Confederazione Joseph Deiss.
In occasione della serata annuale dell’istituzione a difesa degli interessi delle comunità linguistiche minoritarie – Helvetia Latina – Deiss ha sottolineato l’importanza fondamentale del plurilinguismo per la coesione nazionale.
In uno studio appena pubblicato, Helvetia Latina mette in luce il predominio sempre più marcato della lingua di Goethe su quelle di Dante e di Molière.
Egemonia germanofona
Nel mirino di Helvetia Latina ci sono soprattutto i posti dirigenziali in seno all’Amministrazione federale dove, secondo il segretario generale di Helvetia Latina Philippe Zahno, «l’equilibrio auspicato non è affatto raggiunto».
Un esempio fra i molti: «In alcune Segreterie generali, i posti più importanti sono occupati per oltre il 90% da persone di lingua madre tedesca. Nei casi più eclatanti, la percentuale è addirittura del 100%», sottolinea Zahno.
Decisamente più ottimista è invece la posizione dell’Ufficio federale del personale, i cui dati non coincidono con quelli forniti da Helvetia Latina.
Per Vasco Dumartherey, coordinatore del plurilinguismo nell’Amministrazione federale «l’obiettivo di un’equa rappresentanza delle lingue è globalmente realizzato, anche se fra i posti dirigenziali sussistono ancora alcune disparità».
Il mito del plurilinguismo
Nel suo discorso, il presidente della Confederazione ha ricordato che «in seno all’Amministrazione federale ognuno ha il diritto di esprimersi nella propria lingua».
Un principio sancito dalle istruzioni sul plurilinguismo promulgate dal Consiglio federale, ma che nella realtà rimane un mito. Soprattutto per gli italofoni, condannati a un dialogo fra sordi se sul posto di lavoro dovessero esprimersi nella loro lingua madre.
Politiche dipartimentali decisive
Nei vari uffici federali, le normative sull’equa rappresentanza delle comunità linguistiche rimangono in alcuni casi lettera morta.
La ragione della scarsa efficacia nella loro applicazione sta nella decentralizzazione del potere decisionale per quanto riguarda la ripartizione linguistica. «Ogni ufficio è infatti libero di decidere la propria strategia d’azione e gli obiettivi da raggiungere», ricorda Vasco Dumartherey.
Rimettendo così la soluzione del problema alle diverse politiche dipartimentali, si ottengono risultati spesso divergenti da un ufficio all’altro.
Bisogna cambiare mentalità
L’Ufficio federale del personale, sensibile a questa problematica, ha le mani legate: «Il nostro ufficio emana direttive-quadro sull’applicazione della regola dell’equità linguistica ma non ha l’autorità per imporle agli uffici», ammette Dumartherey.
Per far osservare le proprie normative, l’Ufficio federale del personale deve quindi intervenire a livello strategico.
Secondo il funzionario, «la comunicazione è il mezzo migliore per raggiungere il nostro scopo. Attraverso una vasta campagna di sensibilizzazione stiamo tentando di armonizzare le differenti culture dipartimentali in questo settore».
Una situazione considerata inaccettabile dal segretario generale di Helvetia Latina che afferma: «I segretari generali decidono a loro piacimento il proprio piano d’azione per il perseguimento di una giusta rappresentanza delle minorità linguistiche».
La soluzione nella legge
Attualmente manca una sufficiente base legislativa per costringere gli uffici federali a dare il giusto peso alle diverse comunità linguistiche.
Benché il consigliere federale Joseph Deiss sostenga che «disponiamo di diversi strumenti per promuovere il plurilinguismo e la comprensione reciproca», il rappresentante di Helvetia Latina li considera insufficienti e reclama un intervento più radicale.
«E’ necessario adottare misure più severe. Si impone una modifica della Legge sul personale federale o l’introduzione di una Legge sulle lingue» sostiene Zahno. Un progetto che era stato accantonato dal Consiglio federale all’inizio dell’anno soprattutto per motivi finanziari.
Il caratteristico melting pot culturale elvetico si deve esprimere anche a livello istituzionale. Se l’Amministrazione federale non rispecchia questa peculiarità rischia di perdere credibilità agli occhi del cittadino.
Perché la Svizzera è tale solo grazie alla coesistenza di tutte le identità culturali: «Una Svizzera che parla con una sola voce, ma in tutte le lingue, con tutte le sue anime», come ama ricordare Joseph Deiss.
swissinfo, Anna Passera
I romandi rappresentano il 20% dei cittadini svizzeri e occupano il 17,1% dei posti direttivi federali, secondo Helvetia Latina
Gli italofoni sono il 4,1% ma occupano solo il 2% dei posti.
I romanci rappresentano lo 0,7% e occupano lo 0,6% dei posti.
Le Istruzioni sul plurilinguismo nell’Amministrazione federale prevedono che:
– I Dipartimenti provvedono affinché nei differenti settori amministrativi e a ogni livello gerarchico sia garantita un’equa rappresentanza delle comunità linguistiche.
– In caso di candidature equipollenti, la priorità è accordata ai rappresentanti di comunità linguistiche sottorappresentate, soprattutto per quanto riguarda i posti dirigenziali.
– Di regola gli impiegati lavorano nella propria lingua
– In presenza di persone che non capiscono il dialetto si parla la lingua ufficiale.
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