Ricerca e dignità, il problema dei valori
L'articolo costituzionale concernente la ricerca sull'essere umano dovrebbe subordinare la libertà di ricerca alla dignità umana. Non tutti sono convinti che sarà così. Quando la ricerca coinvolge persone non in grado di dare il loro consenso, il conflitto etico è dietro l'angolo.
«Da un punto di vista etico è fondamentale che valgano le stesse regole in tutta la Svizzera». Per Otfried Höffe, professore di filosofia e presidente della Commissione nazionale di etica, l’articolo costituzionale in votazione il 7 marzo presenta proprio questo vantaggio: permetterà di armonizzare a livello nazionale la ricerca sugli esseri umani.
Se dalle urne uscirà un sì, il parlamento potrà cominciare a discutere il disegno di legge, che aspetta in un cassetto. E alla Commissione nazionale d’etica (CNE) spetterà il compito di stabilire i principi ai quali attenersi quando si tratterà di autorizzare progetti di ricerca su esseri umani.
Per il presidente della CNE è chiaro che la priorità sarà data «alla dignità umana, alla personalità e alla salute», che secondo Höffe «sono da proteggere anche nella ricerca e, se necessario, dalla ricerca».
Anche il comitato in favore dell’articolo costituzionale scrive nel suo comunicato che la priorità assoluta spetta alla tutela dell’essere umano. Ma nel nome che ha scelto – «sì alla libertà di ricerca e alla dignità umana» – la ricerca viene nominata per prima.
Paolo Becchi, professore di filosofia del diritto a Lucerna, ritiene che sia stato un errore inserire il concetto di libertà di ricerca nell’articolo costituzionale. In una presa di posizione pubblicata dalla Neue Zürcher Zeitung, Becchi fa notare che in questo modo la dignità umana viene privata del suo statuto di principio assoluto e trasformata, al pari della libertà di ricerca, in un valore.
«Poco importa se la dignità umana viene rappresentata come il più importante dei beni», scrive Becchi. «Se viene messa sul piano dei valori, non può sottrarsi alla loro logica, che è una logica relativistica ed economica. I valori non sono una risposta al relativismo imperante, perché sono il risultato di valutazioni soggettive e come tali sono fonte di conflitti. […] Chi ci dice che la dignità umana occuperà anche in futuro il primo posto nella scala dei valori?».
Soppesare i pro e i contro
Tuttavia, nemmeno un articolo costituzionale diverso, che non evocasse la tutela della libertà di ricerca (per altro già inserita in un altro punto della carta fondamentale svizzera), potrebbe risparmiare alle commissioni d’etica il difficile compito di valutare caso per caso la posta in gioco.
La teologa Ruth Baumann-Hölzle, membro della CNE, illustra così il conflitto etico che si pone nel caso di studi scientifici che coinvolgono delle persone: da un lato «da un punto di vista giuridico, in Svizzera sono ritenuti lesioni corporali già i normali interventi medici». Dall’altro, «lo sviluppo della ricerca, ottenibile garantendo libertà di ricerca, è un bene, in quanto potrebbe permettere ai malati di avere una migliore qualità di vita» o di lenire le loro sofferenze nel percorso che porta alla morte.
Chi è capace di discernimento può decidere da solo se vuole mettersi a disposizione della scienza. Ma anche in questo caso, possono sorgere degli interrogativi etici. Le persone malate sono più fragili di chi è sano, ricorda Ruth Baumann-Hölzle.
Ci potrebbe essere il pericolo che «per disperazione, perché è la loro ultima speranza, dicano sì anche ad esperimenti estremamente pericolosi». Per questo è bene che i progetti di ricerca passino «attraverso il filtro di una commissione», incaricata di tutelare la dignità umana.
Come decidere per chi non può farlo?
I problemi maggiori si pongono quando la persona coinvolta non è in grado di dare il suo assenso. È il caso dei bambini, o dei malati di demenza.
«Anche i bambini hanno bisogno della ricerca», afferma Otfried Höffe, «una ricerca che possa garantire loro l’accesso a nuovi strumenti diagnostici e nuove terapie». In questi casi, alle commissioni spetta il compito di studiare il modo di gestire eventuali conflitti. «Che prendano le loro decisioni con il massimo di sensibilità e prudenza va da sé», sottolinea Höffe.
Il compito non è affatto facile. «In seno alla Commissione nazionale d’etica ci siamo occupati molto intensamente dei valori da ponderare nel caso di ricerca sui bambini», racconta Ruth Baumann-Hölzle. «In base a quali criteri si vuole dare un giudizio definitivo? È praticamente impossibile».
Ricerca nell’interesse di terzi
Per le commissioni d’etica sarà ancora più difficile dare delle indicazioni in merito alla controversa ricerca nell’interesse di terzi con persone non in grado di discernimento. È giusto, ad esempio, fare ricerca con dei malati di Alzheimer se questi ultimi non potranno approfittare direttamente dei risultati? L’articolo costituzionale in votazione dice di sì, ma senza benefici diretti «i rischi e gli incomodi devono essere ridotti al minimo».
Anche se approva l’articolo, Ruth Baumann-Hölzle teme che potrebbero esserci delle concessioni eccessive quando si tratterà di formulare nella legge le condizioni poste alla ricerca con persone non in grado di discernimento. «Senza il consenso della persona interessata, la ricerca è sempre una strumentalizzazione. Se le persone non sono in grado di decidere da sole quali rischi sono disposte a sopportare, diventano un oggetto impiegato per raggiungere un obiettivo. E questo è contrario alla dignità umana».
C’è però un problema: «Se non autorizziamo la ricerca nell’interesse di terzi anche sulle persone non in grado di dare il loro consenso, accettiamo contemporaneamente il fatto che non ci sia ricerca» per loro come gruppo.
In determinati casi, questo significa privare proprio le categorie più deboli della possibilità di avere delle terapie su misura per loro. Ruth Baumann-Hölzle cita ad esempio i bambini: a lungo, si è rinunciato a studiare lo specifico effetto dei medicinali sul loro organismo.
Se ricerca nell’interesse di terzi deve essere, l’esperta di etica vorrebbe che «fosse limitata al tipo di malattia, allo stato di salute della persona in questione». Ciò significa che se si vuole coinvolgere una persona ammalata di demenza, bisogna che la ricerca sia sulla demenza o su malattie dello stesso tipo. Solo così, la ricerca può essere «legittimata».
Christian Raaflaub e Doris Lucini, swissinfo.ch
L’articolo costituzionale «Ricerca sull’essere umano» è composto di due capoversi.
Il primo dà alla Confederazione il diritto di legiferare «per quanto la tutela della dignità umana e della personalità lo richieda». Le leggi dovranno tener conto dell’importanza della libertà di ricerca.
Questo capoverso ha una valenza generale; si applica a tutti i campi di ricerca e riguarda le persone (vive e morte), gli embrioni, i feti e il materiale biologico di origine umana.
Il secondo capoverso è riferito soltanto alla ricerca biologica e medica sulle persone viventi.
Contiene quattro principi a cui devono attenersi i ricercatori: il consenso informato, i rischi proporzionati ai benefici, il ricorso a persone non capaci di discernimento solo se non è possibile ottenere i risultati in altro modo, l’approvazione da parte di un organo indipendente (p. es. commissione d’etica).
L’articolo costituzionale 118b è stato approvato all’unanimità dalla camera alta e con 144 sì, 61 no e 18 astensioni dal Consiglio nazionale. 55 no sono arrivati dal gruppo UDC, mentre la maggioranza degli astenuti (11) appartiene al gruppo dei Verdi.
Chi ha detto sì all’articolo costituzionale lo ritiene importante per la tutela della dignità umana, per la salute della popolazione e per la ricerca. L’articolo permette di creare condizioni unitarie a livello nazionale e di mettere dei limiti chiari, in linea con gli standard internazionali, alla ricerca.
Per il fronte del no l’articolo 118b avrebbe dovuto limitarsi a dare alla Confederazione la competenza di legiferare in materia di ricerca sull’essere umano e non enumerare dei principi, come quello del consenso informato, ritenuti superflui in quanto già presenti altrove (trattati internazionali, progetto di legge).
Le astensioni sono dovute in gran parte all’autorizzazione di fare ricerca su persone non in grado di dare il loro consenso (bambini, dementi, ecc.), giudicata irresponsabile nonostante i paletti supplementari posti a questo tipo di ricerca.
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