“Sono i Governi a dover affrontare la crisi climatica, non i tribunali”
Gli organi legislativi in Europa dovrebbero prestare molta attenzione allo storico verdetto della Corte europea dei diritti umani nei confronti della Svizzera, afferma un'esperta di cause legali per il clima. La decisione contro la Svizzera potrebbe non essere l'unica a creare sensazione.
La Svizzera non fa abbastanza per proteggere la sua popolazione dagli impatti negativi del cambiamento climatico. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani (CEDU) di Strasburgo, che in una sentenza storica ha condannato il Governo elvetico per aver violato i diritti fondamentali di un gruppo di anziane, che sono particolarmente vulnerabili alle ondate di calore.
È stata la prima volta che la CEDU si è espressa su una vertenza climatica. La decisione ha un influsso diretto su tutti i 46 Paesi del Consiglio d’Europa, con potenziali ramificazioni anche a livello mondiale.
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L’importanza di questo verdetto non potrà mai essere sottolineata abbastanza, afferma a SWI swissinfo.ch Tiffanie ChanCollegamento esterno, analista politica del Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment. L’istituto con sede a Londra pubblica ogni anno un rapportoCollegamento esterno sullo stato delle cause climatiche nel mondo.
SWI swissinfo.ch: Quali ripercussioni concrete potrà avere la sentenza della CEDU nei confronti della Svizzera sulle cause climatiche in corso e future in Europa?
Tiffanie Chan: La decisione della CEDU è importante per molteplici ragioni. Un aspetto cruciale è la potenziale implicazione per chi emana le leggi. Ora c’è una chiara conferma che gli Stati della CEDU hanno l’obbligo di stabilire un quadro normativo vincolante a livello nazionale per proteggere cittadini e cittadine dal cambiamento climatico. Gli organi legislativi nazionali in tutta Europa dovrebbero prestare molta attenzione alla sentenza.
Nel suo verdetto, la CEDU afferma che per adempiere all’obbligo previsto dalla Convenzione europea dei diritti umani, uno Stato deve istituire un quadro normativo sufficiente, in linea con l’Accordo di Parigi sul clima e la scienza climatica. Questo quadro deve contenere degli obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni e mostrare come il Paese intende raggiungerli, ad esempio definendo un bilancio di CO2.
In Europa ci sono quasi 30 Paesi che dispongono di leggi pertinenti o che le stanno elaborando. Questi Stati dovranno assicurarsi che la loro legislazione soddisfi gli standard minimi stabiliti dalla CEDU. Altrimenti, potrebbero essere oggetto di azioni legali.
Altre sette cause sul clima sono attualmente pendenti presso la CEDUCollegamento esterno. Quali potrebbero creare sensazione?
C’è ad esempio la causa intentata da Greenpeace contro la Norvegia. Riguarda l’esplorazione petrolifera e di gas nell’Artico. Secondo l’organizzazione ambientalista, il rilascio di nuove licenze per la ricerca di idrocarburi da parte del Governo norvegese viola gli articoli 2 e 8 della Convenzione europea dei diritti umani.
A seconda del suo esito, questa vertenza fornirà indicazioni sulla capacità dei Paesi sviluppati di continuare a esplorare nuovi giacimenti di petrolio e gas, nel contesto degli impegni assunti con l’Accordo di Parigi.
La sentenza contro la Svizzera potrebbe portare al riesame di cause climatiche archiviate o che si sono concluse con un verdetto negativo?
Dipende dalle regole procedurali del tribunale per il caso specifico. Per le cause in cui il verdetto rappresenta una sentenza definitiva, che cioè è stata emessa dalla più alta istanza giuridica, l’appello potrebbe non essere possibile.
La sentenza della CEDU contro la Svizzera offre però delle opportunità per le vertenze in corso e per quelle future. La Corte di Strasburgo è stata molto chiara nell’affermare che i tribunali elvetici non hanno affrontato correttamente le argomentazioni delle Anziane per il clima. Non hanno fornito ragioni convincenti a sostegno della loro decisione e non hanno considerato in modo adeguato le prove scientifiche del cambiamento climatico.
Questo è importante perché ci sono altre cause in corso in Europa. Ad esempio, in marzo il Tribunale civile di Roma ha dichiarato inammissibile una causa climatica intentata contro lo Stato italiano, accusato di non aver intrapreso le azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e di aver violato i diritti fondamentali. Il tribunale ha affermato di non avere la giurisdizione per esprimersi.
Non so cosa accadrà a questa causa. La CEDU ha però stabilito in modo chiaro che i tribunali nazionali devono affrontare adeguatamente le questioni fondamentali e interpretare la Convenzione europea dei diritti umani alla luce del verdetto emesso nel caso della Svizzera.
La sentenza della CEDU ha suscitato molte critiche. L’Unione democratica di centro, il più grande partito a livello nazionale in Svizzera, ha affermato che i tribunali dovrebbero parlare di giustizia, non di politica. La sentenza può davvero essere vista come un intervento nella politica?
No. Leggendo la sentenza risulta evidente che la CEDU è deferente all’idea di separazione dei poteri tra esecutivo, legislativo e giudiziario. È lo Stato che ha sottoscritto l’Accordo di Parigi. La Corte si limita a definire gli standard minimi che dovrebbero essere contenuti nel quadro normativo, in modo da non violare i diritti umani dei cittadini e delle cittadine. È la Svizzera, e più in generale i Governi, a dover elaborare misure e affrontare la crisi climatica, non i tribunali.
Supponiamo che sia insoddisfatto dell’azione climatica del mio Paese. Quali sono gli insegnamenti della sentenza della CEDU che devo considerare se volessi lanciare un’azione legale?
La prima cosa è che è necessario aver esaurito tutte le possibilità di ricorso a livello nazionale. Questo risulta molto chiaro dal ricorso sul clima di sei giovani portoghesi [Duarte Agostinho e altri contro il Portogallo e altri 32 StatiCollegamento esterno, ndr], che la CEDU ha giudicato irricevibile nello stesso giorno in cui ha emesso la sentenza contro la Svizzera. Bisogna dapprima passare attraverso i tribunali nazionali perché lo Stato dovrebbe avere la possibilità di risolvere il contenzioso prima di giungere alla Corte di Strasburgo.
Il secondo insegnamento è che le ONG e le persone riunite in un’associazione, e non i singoli, hanno maggiori probabilità di avere successo e di soddisfare i requisiti per intentare queste cause. Nella sentenza della CEDU nell’azione legale contro la Svizzera, alle Anziane per il clima è stata riconosciuta la legittimazione ad agire, mentre alle singole ricorrenti non è stata concessa. Per i singoli individui è molto difficile dimostrare di essere stati colpiti personalmente e direttamente.
In terzo luogo, suggerirei di verificare se il Paese in questione ha rispettato gli standard minimi stabiliti dalla CEDU. Esiste una roadmap per il raggiungimento della neutralità climatica, degli obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni e la prova che lo Stato è in procinto di conformarsi attraverso l’attuazione di leggi e misure pertinenti?
Quest’anno tre tribunali internazionali – la Corte internazionale di giustizia, il Tribunale internazionale del diritto del mare e la Corte interamericana dei diritti umani – emetteranno pareri consultivi sugli obblighi dello Stato nel contesto della crisi climatica. Cosa dobbiamo aspettarci?
I tre tribunali internazionali e la CEDU non hanno necessariamente le stesse regole in termini di procedure o interpretazioni.
Un punto che però dovremmo tenere in considerazione è la questione di ciò che gli Stati devono fare per proteggere le persone al di fuori dei loro confini.
Nel caso Agostinho, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto che le emissioni di gas serra nel territorio di uno Stato possono influire sul benessere delle persone che risiedono al di fuori dei suoi confini. Il tribunale ha però affermato che non è possibile stabilire che la Convenzione europea sui diritti umani impone “obblighi extraterritoriali” agli Stati affinché proteggano le persone che vivono in altre parti del mondo dal cambiamento climatico.
Questa decisione non è in linea con un precedente parere del Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e della Corte interamericana dei diritti umani.
Quest’anno i tre tribunali internazionali avranno probabilmente la possibilità di fare ulteriore luce sulla questione dell’extraterritorialità. Sarà interessante vedere se ci saranno interpretazioni diverse.
Ad ogni modo, ritengo improbabile che la recente sentenza della CEDU rappresenti la parola fine sulla questione di ciò che gli Stati devono fare per proteggere le persone al di là dei loro confini.
A cura di Sabrina Weiss
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