Un biochip per combattere gli stafilococchi
Le migliaia di molecole organiche che ricoprono il microchip sono in grado di rilevare le attività genetiche dei batteri patogeni.
Di che permettere a un gruppo di ricercatori ginevrini di studiare i meccanismi con i quali gli stafilococchi si proteggono dagli antibiotici.
Uno dei principali problemi cui sono confrontati i portatori di protesi o di stimolatori cardiaci sono le infezioni.
Che spesso non si possono curare, perché gli stafilococchi aurei che le provocano hanno inventato una strategia per difendersi dagli antibiotici: si riuniscono in colonie sulla superficie della protesi riparandosi sotto una matrice extracellulare, una sorta di pellicola protettiva.
Ai malcapitati pazienti non rimane quindi che sottoporsi ad un nuovo intervento chirurgico, per sostituire la protesi infetta.
Nell’ambito di un progetto sostenuto dal Fondo nazionale svizzero, un gruppo di ricercatori guidati dal professor Jacques Schrenzel, uno specialista di malattie infettive presso l’ospedale universitario di Ginevra, sta ora studiando un nuovo modo di eliminare i temuti batteri.
Ricorrendo, invece che al bisturi, alle conoscenze scientifiche sul patrimonio genetico degli stafilococchi aurei.
Alla ricerca dei geni
I ricercatori hanno infatti constatato che quando i batteri si uniscono in colonie per produrre la loro pellicola protettiva, si attivano alcuni dei loro 2800 geni. Basterebbe quindi scoprire di quali geni si tratta, per poi trovare il modo di neutralizzarli.
E proprio per questo, il professor Schrenzel ha messo a punto un microchip per analizzare il funzionamento genetico degli stafilococchi aurei.
Ma invece di un circuito elettronico integrato, il biochip del ricercatore ginevrino dispone di migliaia di cellule organiche, che vengono distribuite su una piastrina di vetro di un centimetro quadrato grazie a un sistema analogo a quello del getto di inchiostro di una stampante.
Laboratori microscopici
Queste molecole, paragonabili a veri e propri mini-laboratori, hanno la particolarità di attrarre, come delle calamite, dei singoli frammenti di acido ribonucleico (RNA). Frammenti, la cui dimensione permette di determinare il grado d’attività dei vari geni.
Distribuendo sul biochip l’RNA estratto da colonie di stafilococchi appositamente coltivati in laboratorio, i ricercatori ginevrini sono così in grado studiare il comportamento dei geni.
Ma soprattutto, grazie a un dispositivo che misura la fluorescenza dell’RNA, riescono a confrontare l’attività genetica degli stafilococchi normali con quella dei mutanti, che non sono in grado di produrre la matrice extracellulare.
Analizzando le differenze riscontrate, il gruppo del professor Schrenzel spera di individuare i geni effettivamente implicati nella costituzione delle colonie batteriche e nella produzione della matrice extracellulare.
Ìl che permetterebbe di sviluppare un nuovo medicamento contro gli stafilococchi aurei, da impiegare in caso di infezione sulle protesi.
Ma non solo. Il biochip del ricercatore ginevrino potrebbe anche aprire la strada a nuovi metodi diagnostici, in grado di valutare il grado di pericolosità dei batteri patogeni.
swissinfo, Fabio Mariani
Gli stafilococchi aurei, una delle principali cause di infezione su protesi e stimolatori cardiaci, riescono a resistere agli antibiotici.
Riunendosi in colonie, formano una membrana protettiva che li mette al riparo dagli attacchi chimici.
Ricercatori dell’ospedale universitario di Ginevra hanno ora messo a punto un sistema per individuare i geni implicati nella formazione delle colonie batteriche.
Si tratta di un biochip – una lastrina ricoperta di migliaia di molecole organiche – in grado di rivelare l’attività genetica degli stafilococchi.
Il sistema potrebbe anche aprire la strada a nuovi metodi per valutare il grado di pericolosità dei batteri patogeni.
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