Un premio come simbolo di apertura verso il mondo
Il premio Marcel Benoist, considerato il Nobel svizzero per la scienza, viene consegnato giovedì al biochimico Ari Helenius per i suoi studi pionieristici sulle interazioni tra virus e cellule.
Lo scienziato finlandese, docente al Politecnico di Zurigo, ha illustrato a swissinfo la portata delle sue ricerche, che hanno permesso di capire meglio i meccanismi impiegati dai virus per penetrare all’interno delle cellule.
Ari Helenius prende in consegna giovedì il premio Marcel Benoist, assegnato ogni anno a scienziati attivi in Svizzera per sottolineare l’importanza e l’impatto dei loro lavori sulla vita umana.
Il ricercatore finlandese viene premiato per i suoi studi sui meccanismi molecolari che consentono ai virus di penetrare nelle cellule per riprodursi. La comprensione di questi meccanismi potrebbe portare allo sviluppo di agenti in grado di prevenire le infezioni virali.
swissinfo: Cosa significa per lei ricevere questo premio?
Ari Helenius: Per me questo premio è molto importante, forse ancora di più che non per molti altri vincitori, dato che vivo in Svizzera soltanto da dieci anni. Questo riconoscimento dimostra infatti che sono totalmente integrato e accettato, che i miei colleghi mi prendono sul serio. Dieci anni non sono tanti in campo scientifico e avevo già realizzato una buona parte del mio lavoro prima di venire a Zurigo. Questo premio evidenzia quanto la società svizzera sia aperta nei confronti degli stranieri, soprattutto degli scienziati. In base alla nostra esperienza possiamo dire che siamo i benvenuti in questo paese.
swissinfo: Quali paragoni si possono fare tra le esperienze che ha raccolto in Svizzera e negli Stati uniti?
A.H.: Negli Stati uniti ho condotto soprattutto ricerche cliniche presso l’Università di Yale, raccogliendo esperienze pratiche in campo medico. Queste attività si sono rivelate molto utili per me, dal momento che sono specializzato in biochimica.
A Zurigo collaboro con specialisti di informatica, ingegneri, ricercatori che sviluppano nuovi strumenti. Nel mio lavoro posso trarre notevoli benefici dal fatto che il Politecnico dispone di una grande cultura nella comunicazione tra diverse discipline scientifiche.
swissinfo: Che cosa l’ha spinta a venire in Svizzera e a lasciare l’Università di Yale?
A.H.: Volevo un cambiamento nella mia vita. E poi il posto di lavoro offerto era eccellente per quanto riguarda i fondi, lo spazio e gli strumenti messi a disposizione. Rispetto a Yale, mi consentiva di muovermi nell’ambito di nuove tecnologie e di compiere un balzo avanti nelle mie ricerche.
swissinfo: Potrebbe descriverci l’importanza della sue ricerche?
A.H.: Al centro dei miei studi vi sono i virus e le loro interazioni con le cellule. Mentre i virus sono piuttosto semplici, le interazioni sono alquanto complesse. I virus sono agenti patogeni che non possono riprodursi da soli. Per riprodursi devono poter penetrare in una cellula e costringere questa cellula a riprodurre delle loro copie.
Dal momento che sono totalmente dipendenti dalle cellule, i virus cercano di assimilare tutti i loro meccanismi biologici. Per così dire, i virus conoscono le parole chiave e i codici che permettono di accedere alle cellule. Ci stiamo impegnando per capire come avvengono questi processi, che necessitano di un numero molto alto di interazioni.
swissinfo: Che cosa l’affascina nelle sue ricerche sui virus?
A.H.: All’inizio ero attratto soprattutto dalla loro semplicità. I virus sono sostanzialmente delle confezioni contenenti dei geni, con degli strati protettivi. È quindi stupefacente il fatto che riescano a provocare così tante malattie e così tanti problemi biologici. I virus si sono però specializzati nella capacità di penetrare nelle cellule e di interagire con loro.
La cosa più affascinante è proprio questa: capire come riescono a farlo. All’inizio volevo descrivere la struttura dei virus. Poi ho cercato di scoprire in che modo interagiscono con le cellule. E, per finire, l’attenzione si è spostata sulle cellule stesse.
I virus ricorrono ad una strategia paragonabile a quella del cavallo di Troia. Si fissano attorno alle cellule e riescono a convincere queste ultime ad aprire loro le porte. Di fronte ai virus, le cellule compiono uno sbaglio dopo l’altro. Studiando questi meccanismi possiamo imparare moltissime cose sul funzionamento dei virus, ma anche su quello delle cellule.
swissinfo: Quali frutti possono portare queste conoscenze?
A.H.: Senza l’aiuto dei troiani nessuno sarebbe riuscito ad entrare a Troia. Lo stesso principio vale per le cellule. Con i miei colleghi, sto quindi cercando di scoprire quali proteine consentono ai virus di infettare le cellule. Un solo virus può aver bisogno dell’aiuto di centinaia di proteine diverse.
In altre parole stiamo tentando di identificare tutti i troiani. Per scoprire i loro nomi e il loro indirizzi, utilizziamo le tecnologie più moderne e le informazioni risultati dall’analisi del genoma umano.
L’obbiettivo è in fin dei conti quello di trovare il mezzo per impedire ai troiani di collaborare con il virus. Questo ci permetterebbe di mettere a punto degli agenti antivirali che influiscono direttamente sulle cellule e in modo più mirato. I medicinali antivirali attuali prendono invece di mira il virus, ma hanno un grande svantaggio: i virus riescono a sviluppare rapidamente delle resistenze contro di loro.
swissinfo, intervista a cura di Scott Capper
(traduzione Armando Mombelli)
Nato nel 1944 a Oulu, in Finlandia, Ari Helenius ha studiato biochimica all’Università di Helsinki.
Dopo aver ottenuto il dottorato nel 1973, il ricercatore ha lavorato 6 anni presso il Laboratorio europeo di biologia molecolare di Heidelberg, in Germania.
All’inizio degli anni ’80 è stato nominato professore presso il dipartimento di biologia cellulare dell’Università di Yale, negli Stati uniti.
Nel 1997 si è trasferito a Zurigo, per assumere la carica di professore di biochimica al Politecnico federale.
L’avvocato Marcel Benoist era un membro dell’alta borghesia parigina. Temendo una guerra tra Francia e Germania, dal 1991 trasferì quasi tutta la sua collezione d’arte a Losanna.
Morto nel 1918, Benoist ha lasciato buona parte del suo patrimonio al governo svizzero. Il suo testamento stabilisce che le rendite dei suoi averi devono servire a finanziare un premio annuale per uno scienziato svizzero o domiciliato in Svizzera, che abbia svolto lo studio di maggior rilievo per la scienza, in particolare per le discipline riguardanti la vita umana.
Il premio è gestito dalla «Fondazione Marcel Benoist per l’incoraggiamento delle ricerche scientifiche», istituita nel 1920. Basata a Berna, la fondazione è presieduta dal ministro dell’interno in carica, responsabile anche dei settori dell’educazione e della ricerca scientifica.
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