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Vasella e la formula chimica di Novartis

Vasella può senz'altro permettersi un sorriso smagliante, visti i risultati di Novartis. Novartis

Il capo della Novartis, Daniel Vasella, pensa che una fusione con Roche, l’altra industria chimica rivale di Basilea, avrebbe effetti positivi sulla Svizzera e sulla sua industria farmaceutica.

In un’intervista esclusiva confida però a swissinfo di non essere assolutamente certo che ci sarà mai questa fusione.

Vasella spiega che la quota del 32,7 per cento della Roche acquisita da Novartis rappresenta un investimento strategico a lungo termine. Per lui, una fusione fra le due aziende costituirebbe un potenziale per la creazione di posti di lavoro a Basilea e rafforzerebbe la competitività.

Vasella, che guida la Novartis dalla fondazione nel 1996, difende il suo duplice ruolo di presidente e direttore esecutivo dell’azienda.

Novartis e Vasella in questo momento sono sulla cresta dell’onda fra le imprese svizzere. Il mese scorso un sondaggio fra gli esperti di affari e finanza elvetici ha incoronato Vasella per la terza volta consecutiva Direttore dell’Anno e le motivazioni principali sono state: strategia, lungimiranza e governo sostenibile di un’azienda.

La stessa ricerca ha indicato Novartis come l’azienda svizzera con la migliore classe dirigente, davanti a Nestlé e UBS.

Swissinfo: Dove state portando Novartis e con quale strategia?

D.V. “Anzitutto ci stiamo concentrando sulla sanità e dunque sui farmaci: è il nucleo centrale del nostro impegno. Il fattore chiave di successo invece è l’innovazione ed è lì che investiamo tutte le nostre energie”.

Non è un segreto per nessuno che vorreste fondervi con Roche. Quali sarebbero i vantaggi di questa operazione? E perché una fusione sarebbe la giusta formula chimica?

D.V. “L’interesse principale di questo paese deve essere di conservare una industria farmaceutica molto forte ed è importante ricordare quanto questa industria si sia consolidata negli ultimi anni. Ora siamo di fronte ad alcuni avversari decisamente più grandi di noi e questo ovviamente ci pone in una situazione concorrenziale, nella quale è necessario battersi con determinazione. La taglia di un’azienda non è l’unico fattore che ne decide il successo, ma certo è un elemento importante”.

Quanto pensate di dovere attendere per questa fusione, visto che finora ad ogni apertura in quella direzione le famiglie Hoffmann e Oeri, gli azionisti di maggioranza della Roche, hanno fatto orecchie da mercante?

D.V. “Non so se abbiano fatto orecchie da mercante, di sicuro non c’è stato interesse neanche ad avviare un confronto. Mi limiterei a dire che la nostra percentuale in Roche [il 32,7 per cento] è un investimento nel quale crediamo e che non abbiamo intenzione di modificare. L’abbiamo detto fin dall’inizio: si tratta di un investimento a lungo termine, che ha risvolti strategici. E da allora, non abbiamo cambiato idea”.

Ma una fusione non comporterebbe la perdita di centinaia, se non migliaia, di posti di lavoro?

D.V. “Non credo: la fusione all’origine della nostra azienda [Ciba-Geigy e Sandoz si sono unite per fondare Novartis nel 1996] ha dimostrato che a medio termine non abbiamo distrutto posti di lavoro, anzi ne abbiamo creati. Dopo una prima fase in cui vengono eliminati i “doppioni”, noi ricostituiamo occupazione e oggi anche in Svizzera il risultato sono più posti di lavoro di quanti ce ne siano mai stati: sono frutto di una sana crescita e della competitività. Se questa fusione si realizzasse, cosa che non è assolutamente certa, io sarei piuttosto ottimista sulle sue conseguenze, sia per l’occupazione nell’area di Basilea ed in tutta la Svizzera, che per la nostra competitività”.

Lei è stato acclamato come uno dei dirigenti d’azienda più carismatici e dinamici della Svizzera. Qual è la molla che la spinge?

D.V. “Quando ti fanno una domanda del genere, c’è da chiedersi cosa intendano veramente. Sono consapevole di quanto siano fragili queste immagini, quanto velocemente nascano e quanto velocemente vengano distrutte. Credo che la sobrietà sia una virtù importante: bisogna essere sobri, e restarlo. Ma se mi chiede cosa mi dà veramente soddisfazione, allora le rispondo: quando riusciamo a portare sul mercato un farmaco innovativo, che cambia la vita delle persone. Questo per noi ha un significato forte e di fatto è l’obiettivo della nostra azienda”.

Come descriverebbe il suo stile al comando di Novartis?

D.V. “Siamo senz’altro orientati al risultato. Qualcosa che non è in dubbio per nessuno, credo; ma per esserlo davvero devi mettere in piedi un sistema di limiti ben determinati. Hai bisogno di una disciplina organizzativa, di standard etici che attraversino ogni parte dell’organizzazione… eppure la cosa a cui do maggiore valore resta la capacità di scegliere le persone giuste e di mettere in piedi una squadra dinamica e professionale. È questo a fare un’azienda. Non è mai una persona sola”.

Signor Vasella, lei è uno dei pochi fra gli imprenditori svizzeri a ricoprire tuttora una doppia carica: è presidente e al tempo stesso direttore esecutivo. In che misura crede ci sia un conflitto di interessi in questo?

D.V. “Per essere sincero io non credo ci sia alcun conflitto d’interessi. E penso che al giorno d’oggi circa il 50% degli imprenditori svizzeri e l’80% di quelli americani abbiano un doppio incarico. C’è in effetti una spinta a separare le funzioni, principalmente perché c’è chi ritiene che distinguere i due incarichi significa poter controllare meglio gli equilibri aziendali. Sono d’accordo con questo punto di vista, laddove non ci sia un altro meccanismo di controllo: allora sì, è importante separare i due ruoli. Ma nel nostro caso abbiamo invece un direttore indipendente che presiede il consiglio di amministrazione quando io non ci sono e che ha l’incarico di verificare che io stesso adempia adeguatamente ai miei doveri e nella nostra struttura dirigenziale io sono l’unico dipendente o interno dell’azienda. Devo dire che noi, il consiglio di direzione, ci troviamo molto bene con questa organizzazione”.

Quanto è forte la pressione sul vostro gruppo in questo periodo, con gli investitori concentrati sui profitti e gli analisti che passano al microscopio il mercato farmaceutico?

D.V. “È un dato di fatto che se ti trovi in una posizione di questo livello, sei sempre sotto osservazione e tu stesso sei tenuto a tenerti sotto stretto controllo. Questa probabilmente è la cosa più importante. Noi stiamo cercando di costruire un valore economico sostenibile, attraverso la fornitura di prodotti di qualità ai nostri clienti e per questo, non possiamo permetterci (di avere) una visione a breve termine. Se così non fosse, non ci impegneremmo certo nella ricerca come invece facciamo, visto che si tratta di investimenti che danno i loro frutti in un arco di tempo che va dai cinque ai dieci anni. Il fattore chiave però è essere trasparenti su questo, e in nessun caso ingannare gli investitori”.

Lei prevede di restare a Novartis fino alla pensione, oppure ha ambizioni di carriera, che la potrebbero invogliare a fare altro?

D.V. “No, penso che sarebbe davvero difficile allettarmi. Credo che rimarrò fino alla pensione, quando sarà. Spero di arrivare serenamente alla fine del mio mandato e di non ritrovarmi silurato prima, come è successo a tanti. È chiaro che ci sono altre cose a cui vorrei dedicarmi, in seguito. La mia famiglia ha dato vita ad una fondazione e mi piacerebbe portare avanti dei progetti di sviluppo internazionali, magari per l’infanzia: non solo mandare soldi, piuttosto impegnarsi in prima persona. Mi piacerebbe molto”.

Intervista a cura di Robert Brookes
Traduzione di Serena Tinari

Novartis è nata a Basilea nel 1996 dalla fusione di Ciba e Sandoz;
Il nome viene dal latino “novae artis”, nuove capacità;
7,3 miliardi di franchi di utili nel 2002; fatturato di 32,4 miliardi;
È la sesta più grande azienda farmaceutica al mondo, con una quota di mercato del 4,2%.

Daniel Vasella sottolinea che tutte le energie di Novartis sono concentrate sull’innovazione, la chiave di successo dell’azienda.

Definisce la quota del 32,7 per cento che Novartis ha acquisito nella vicina Roche “un investimento strategico a lungo termine”.

Tuttavia, non ritiene assolutamente certo che ci sarà una fusione.

Secondo Vasella, la Novartis deve potere attingere alla forza lavoro intellettuale di cui ha bisogno, ovunque essa si trovi, perché la Svizzera non è in grado di fornire la quantità di personale qualificato di cui l’azienda ha bisogno.

Vasella è diventato direttore esecutivo di Novartis nel 1996, presidente del consiglio di amministrazione nel 1999.

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