Alzheimer, la mente rubata
La Svizzera conta oltre 102'000 malati di Alzheimer. Di questi, il 60% vive ancora tra le mura di casa, grazie al sostegno di famigliari e amici. Testimonianza in occasione della Giornata mondiale dell’Alzheimer.
«Viviamo ancora sotto lo stesso tetto: io, mio marito Beppe e mio figlio Riccardo. Ma niente, o quasi, è più come prima… La malattia si è infilata nelle nostre vite come un ospite indesiderato, portandosi via una parte dell’identità dell’uomo che amo e lasciandoci con un grande vuoto dentro».
Il marito di Antonella soffre del morbo Alzheimer, una malattia che colpisce 36 milioni di persone nel mondo, 102’000 in Svizzera. A causa del progressivo degenerare delle cellule del cervello, i pazienti perdono le loro facoltà intellettive e con esse la memoria, il ragionamento, il linguaggio.
«Beppe era un bell’uomo, sa…. – ci racconta Antonella. Aveva gli occhi azzurri e uno sguardo penetrante. Ma con la malattia i suoi occhi sono diventati piccoli piccoli, di un grigio vacuo, ed è come se guardassero lontano». Questa donna solare ed energica si è ritrovata di colpo a fianco di una persona sconosciuta: «Quando mi sono innamorata di lui, tren’anni fa, era un uomo gioioso, gli piaceva viaggiare e stare con gli amici. Ora non ha più interessi, vive ancorato al passato e se il suo corpo è rimasto lo stesso, la sua mente è persa chissà dove…».
Una diagnosi difficile
I primi sintomi della malattia sono comparsi due anni fa, allo scoccare del 70esimo compleanno di Beppe. «Ha cominciato ad avere comportamenti strani. Perdeva le chiavi, si scordava di riferire i messaggi e un giorno è tornato a casa con la carrozzeria dell’auto completamente rovinata, senza dirmi nulla. Lui che è sempre stato un uomo meticoloso, attento e quasi maniacale, specialmente con la sua macchina… Era impensabile che mancasse un parcheggio e soprattutto che non gliene importasse nulla…».
La diagnosi non è però stata immediata. «All’inizio il medico aveva pensato a una semplice depressione, ma poi con il passare del tempo i test neurologici hanno confermato una deficienza del lobo frontale». E così, dopo aver trascorso un’intera vita scandita dall’ordine e dalla perfezione, quest’uomo si è ritrovato di colpo fuori controllo. «Quando il dottore ha parlato per la prima volta del morbo di Alzheimer, mio marito è rimasto completamente annichilito».
Mentre Antonella lavora come segretaria di direzione, Beppe trascorre le sue giornate sonnecchiando, apatico. È ancora indipendente, ma ogni suo gesto – anche il più banale – implica una buona dose di rischio e deve essere calcolato al dettaglio. «Una volta si è dimenticato di chiudere il rubinetto dopo aver lavato un acino d’uva e si è allagata tutta la cucina. Capita poi che lasci acceso il fornello della caffettiera o il frigo spalancato. Ho dovuto tappezzare la casa di bigliettini, vietargli di cucinare e devo bloccare le portiere altrimenti scende prima che si fermi l’auto».
Ogni giorno Antonella scopre un lato nuovo del marito o incappa in un ostacolo a cui non aveva ancora pensato. «Da qualche tempo non riesco nemmeno a dormire tranquilla: sono sempre sull’attenti, con un orecchio rivolto alla sua camera. Non si sa mai che gli venga in mente di farsi una pasta o stirare le sue camicie alle tre del mattino».
Un figlio che non c’è più
Il morbo di Alzheimer è una malattia che si porta via con la memoria e i ricordi anche l’identità della persona. Ogni paziente reagisce in modo diverso: atteggiamenti bizzarri, amnesia, disattenzione, difficoltà a compiere i gesti quotidiani, perdita del senso del tempo e dello spazio, apatia, ma anche aggressività e violenza.
«A volte mi sembra di vivere al fianco di uno sconosciuto. Si comporta come un bambino capriccioso, risponde sempre di “no”, striscia le mani contro i muri, getta le cose per terra. Può anche reagire in modo molto duro, sgarbato e con parole scurrili. È un’aggressività a cui non sono abituata e che non riesco a gestire, soprattutto quando è rivolta contro nostro figlio».
Appena adolescente, Riccardo si è trovato di fronte un padre che da un giorno all’altro ha smesso di interessarsi di lui, di parlargli, di manifestargli il suo affetto. «È come se per lui nostro figlio non esistesse più, come se la sola presenza gli desse fastidio. Eppure quando Riccardo era piccolo e aveva le coliche, passava notti intere a camminare avanti e indietro affinché io potessi dormire e andare al lavoro l’indomani».
Prima che l’Alzheimer entrasse con prepotenza nelle loro vite, la loro casa era un porto di mare. Amici di famiglia, parenti, compagni di scuola e di bagatelle passavano per un caffè, una cena, una partita a carte. Ora Riccardo non osa più invitare nessuno: la voce gutturale del padre, la sua strana postura e le sue risposte imprevedibili lo mettono in imbarazzo.
Ma anche gli amici di famiglia non si fanno più vedere, perché non è sempre facile interagire con un uomo come Beppe. «Appena si mette a tavola, inizia a divorare ciò che ha nel piatto come se dovesse correre da qualche parte. Poi prende il canovaccio, si pulisce le mani dieci volte, si strofina la bocca e lo butta per terra. Mi spiace dirlo, ma è davvero insopportabile!».
Un futuro incerto
Ad oltre un secolo dalla scoperta del morbo di Alzheimer, non è ancora stata trovata una cura che permetta di guarire questa demenza degenerativa o arrestarne la progressione. Esistono soltanto medicamenti che consentono di contenere i sintomi e mantenere più a lungo l’autonomia dei pazienti. In media, il decorso della malattia dura una decina d’anni, ma nessuno può dire perché, come e quando questi cambiamenti patologici si scatenino.
Al momento Beppe continua a vivere tra le mura di casa, ma Antonella è consapevole che da un giorno all’altro la situazione del marito potrebbe peggiorare. «Vorrei trovare qualcuno che lo accudisca mentre io sono al lavoro, ma il solo pensiero di avere in casa un estraneo lo infastidisce. E allora che fare?», si chiede Antonella.
Pianificare il futuro non è un’impresa da poco quando è il presente stesso a sfuggire di mano. «Ho paura di pensare al domani, ho paura di prendere la decisione sbagliata, di non farcela a gestire tutto. A volte Riccardo mi chiede: “mamma, ma può essere peggio di così?” Cosa devo rispondergli? Io non mi aspettavo nemmeno questo…».
La malattia di Alzheimer è stata descritta per la prima volta nel 1906 dal neuropatologo Alois
Alzheimer (1863-1915).
È provocata da una distruzione progressiva delle cellule del cervello che porta ad un lento declino delle facoltà mentali.
Intere parti di cellule nervose perdono a poco a poco la loro capacità di funzionare e finiscono per necrotizzare. Parallelamente vi è un degrado della materia vivente che permette lo scambio di informazioni tra le cellule cerebrali.
La degenerazione si produce in zone cerebrali che controllano funzioni mentali importanti come la memoria, la lingua, la capacità di pianificazione, la mobilità e l’orientamento nello spazio.
Più il tempo passa, più i sintomi della malattia si accentuano e ne compaiono di nuovi. La durata media della malattia, una volta diagnosticata, è di 7/9 anni.
Si valuta all’8% il numero di persone di 65 anni e più che hanno la malattia d’Alzheimer o un’altra forma di demenza.
Nel 2009 erano 36 milioni le persone affette dal morbo di Alzheimer nel mondo, 102’000 in Svizzera e poco più di un milione in Italia.
Ogni anno vengono diagnosticati 4,6 milioni nuovi casi di demenza nel mondo, ossia una persona ogni sette secondi.
Nel 2050, le persone affette da questo morbo saranno più di 100 milioni, di cui 300 mila nella sola Svizzera.
I costi mondiali della malattia, nel 2005, erano stimati a 315 miliardi di dollari l’anno, di cui 227 miliardi nei soli paesi ricchi.
Stando a una ricerca condotta dall’Ecoplan Economic Research and Policy Consultancy di Berna, nel 2007 le cure professionali dispensate ai malati di Alzheimer in Svizzera sono ammontate a 3,5 miliardi. A questa somma, andrebbero aggiunti 2,8 miliardi per le prestazioni da parte di parenti.
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