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Assistenti per promuovere l’autonomia dei disabili

Nelle relazioni tra gli invalidi e i propri assistenti non è sempre facile trovare la giusta distanza Keystone

Per molti portatori di andicap in Svizzera diventa ora possibile fare a meno di strutture specializzate: un contributo dell'assicurazione invalidità permette loro di assumere assistenti che svolgono compiti specifici alle loro esigenze, in modo da poter vivere al proprio domicilio.

Dopo alcuni anni di sperimentazione in tre cantoni, l’innovazione è stata introdotta a livello nazionale il 1° gennaio di quest’anno, con l’entrata in vigore del primo pacchetto di misure della 6a revisione dell’Assicurazione per l’invalidità (AI). La Svizzera adotta così una prassi che in altri paesi, come ad esempio quelli scandinavi, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Olanda, è la regola già da più di vent’anni.

Secondo Peter Wehrli, le sette ore di assistenza a settimana per sua moglie pagate dall’AI hanno cambiato la loro vita. Disabile dall’infanzia, la moglie di Wehrli ha recentemente subito un deterioramento delle capacità fisiche che l’ha resa incapace di svolgere le attività più elementari.

“Improvvisamente è diventata molto più dipendente. Ha bisogno di aiuto per fare la doccia, vestirsi, cucinare, fare la spesa. Per lei, l’assistenza è stata la salvezza. Senza di essa non potrebbe più vivere a casa”, spiega Wehrli.

Ci sono anche altre cose, che sarebbe impossibile effettuare senza aiuto. “Abbiamo due nipoti che vengono a trovarci. Mia moglie può svolgere il suo ruolo di nonna – e questo è molto importante – perché ha un’assistente personale. Chiede all’assistente di sollevare il bambino da terra e metterglielo sulle ginocchia, di scaldare il biberon e cose del genere”.

Il sostegno finanziario è accordato a persone con qualsiasi tipo di grande disabilità – fisica, mentale o psichica –, a condizione che raggiungano un certo grado di autosufficienza in modo da vivere autonomamente a casa.

L’AI versa una retribuzione di franchi 32.50 all’ora per gli assistenti, che in molti casi svolgono compiti molto intimi, come portare la persona disabile al bagno, lavarla, vestirla e svestirla.

Ma il punto essenziale – dice Wehrli, che si muove su una sedia a rotelle ed è direttore del “Centro per una vita autonoma” (Zentrum für Selbstbestimmtes Leben) a Zurigo – è che la prestazione dell’AI consente ai disabili di farsi carico della propria vita.

“L’idea che le persone con gravi disabilità debbano stare in luoghi speciali in cui sono curati – o come dico io, dove ci si occupa della loro manutenzione come se fossero macchine –adesso è veramente superata”, afferma.

“Quello che stiamo facendo ora è dare alle persone le risorse in modo che possano gestire la propria vita, uscire dallo stato di dipendenza e diventare cittadini a pieno titolo”.

Casa, dolce casa

Per i bambini disabili e le loro famiglie, gli effetti di questa nuova politica sono forse ancora più profondi, dice Dominique Wunderle, direttore di programma per l’associazione Cap-Contact che opera nella Svizzera francese.

Wunderle sottolinea che in Vallese – uno dei cantoni dove per alcuni anni è stato condotto il progetto pilota “Budget di assistenza” dell’AI – nelle zone discoste di montagna i servizi per bambini disabili scarseggiano. Perciò in passato questi ragazzi erano spesso alloggiati in strutture speciali, lontani da casa.

Invece ora la nuova prestazione dell’AI “permette loro di rimanere in famiglia, con i fratelli e le sorelle, e di frequentare la scuola pubblica e dunque di essere integrati”, sottolinea Wunderle, aggiungendo che il progetto pilota è stato un grande successo.

“Si sa che chi è integrato nella scuola locale e vive in un ambiente familiare, più tardi ha maggiori probabilità di essere integrato professionalmente”.

Wehrli racconta di aver osservato cambiamenti di personalità “fantastici” in individui che in precedenza accettavano passivamente le cura imposte loro nelle istituzioni e che poi hanno tratto beneficio dal contatto quotidiano con la società.

“Quando si ha un’assistenza personale, si è costretti a uscire, a fare la spesa, a sbrigare i compiti burocratici. Così la gente improvvisamente inizia a sentirsi responsabile di sé stessa, ad avere autostima, a credere di essere in grado di prendersi cura di sé”, spiega Wehrli.

Una nuova forza lavoro

Certo, non è tutto rose e fiori. Una delle cose più difficili da imparare è come diventare un buon datore di lavoro. A parte le questioni amministrative, che su un datore di lavoro disabile gravano come su chiunque altro, una grande difficoltà è creare un rapporto rispettoso di lavoro che funzioni sia per il datore di lavoro sia per il dipendente, poiché spesso entrambi non hanno alcuna esperienza in questo campo.

“Con l’assistente personale c’è un rapporto molto intimo. Come si può essere il capo di chi ci deve pulire il deretano al mattino? Non è facile avere la giusta distanza, la prossimità corretta per entrambe le parti”, spiega Wehrli.

“Gli assistenti devono avere una speciale combinazione di discrezione, essere consapevoli di ciò che sta accadendo senza interferire. Non è facile trovare queste persone e non è facile formarle. Troviamo che sia meglio assumere persone che non hanno alcuna formazione medica perché almeno ascoltano”.

Wehrli spiega che durante il progetto pilota, i gruppi di sostegno tra pari (peer support) si sono rivelati una componente importante del processo di apprendimento per adeguarsi alla nuova vita di datori di lavoro autonomi. Egli ammette che c’è stato qualche caso problematico: alcuni disabili pretendevano relazioni sessuali dalle assistenti .

Ma chi ha comportamenti fuori luogo è “rapidamente abbandonato dai dipendenti. Così si accorge da sé che la sua vita diventa molto difficile. I dipendenti restano invece da chi è un bravo datore di lavoro, talvolta perfino se non può pagarli, perché c’è un buon rapporto”, afferma Wehrli.

Un altro grosso ostacolo, rileva Wunderle, sono le regole restrittive per poter beneficiare di un contributo di assistenza dell’AI. Un diritto precluso ai minorenni che non frequentano la scuola obbligatoria in una classe normale o non svolgono una regolare formazione. La prestazione è negata anche ai maggiorenni sotto tutela che non gestiscono una propria economia domestica oppure non esercitano un’attività professionale per almeno 10 ore la settimana.

“Ci sono voluti 20 anni per arrivare a questo punto! È un sistema già attuato da anni in altri paesi e la Svizzera ha perso tempo introdurlo”, osserva Wunderle. “Ma abbiamo compiuto un grande passo, fornendo una vera possibilità di scelta tra vivere in un istituto e vivere a casa”.

L’assicurazione invalidità (AI) è stata istituita nel 1960, con l’obiettivo di inserire i disabili nel mondo del lavoro. Nel corso degli anni, con le prime tre revisioni della relativa legge, le prestazioni dell’AI sono state ampliate.

Alla fine degli anni ’90 c’è un’inversione di tendenza: le revisioni legislative mirano a risanare i conti dell’AI. A causa del forte aumento del numero di beneficiari di rendite, l’AI è sprofondata nelle cifre rosse.

Le misure di risparmio adottate con la 4a e la 5a revisione non sono bastate a riassestare i conti. Alla fine del 2009, il debito ammontava a 13,899 miliardi di franchi.

Per prosciugarlo, il parlamento ha approvato un piano di risanamento, avallato da popolo e cantoni in votazione federale nel 2009, che contempla in particolare un finanziamento aggiuntivo dell’AI tramite un lieve innalzamento dei tassi dell’IVA per il periodo 2011-2017.

Il piano è stato vincolato all’obbligo per il governo di presentare entro la fine del 2010 un progetto di 6a revisione con nuovi provvedimenti per riequilibrare durevolmente i conti dell’AI. L’esecutivo ha elaborato una riforma divisa in due parti, che punta sul reinserimento professionale dei disabili.

Il parlamento ha adottato un primo pacchetto di misure (revisione 6a) volte a diminuire il numero delle rendite AI di 12’500 unità nel giro di sei anni. Queste misure sono entrate in vigore il 1° gennaio 2012. Fra di esse figura “l’introduzione di un contributo per l’assistenza per promuovere l’autonomia e la responsabilità individuale degli invalidi”.

Il secondo pacchetto di misure (revisione 6b) è ancora all’esame del parlamento. L’obiettivo del governo era di metterle in vigore nel 2015 e di ridurre così le uscite dell’AI di 325 milioni di franchi all’anno. Ma la Camera alta ha apportato dei cambiamenti al progetto governativo, per cui la riduzione annuale delle uscite risulta più contenuta: 250 milioni. La Camera bassa non si è ancora pronunciata e la battaglia si annuncia agguerrita.

Il progetto “budget di assistenza” è stato lanciato in fase sperimentale nel 2006 nei cantoni di Basilea Città, San Gallo e Vallese con circa 220 partecipanti. L’idea era di fornire a portatori di andicap i mezzi finanziari per assumere delle persone che li aiutassero a gestire la vita quotidiana, consentendo loro di vivere a casa.

L’ammontare del contributo di assistenza dipende dalle esigenze individuali. In media, ogni partecipante ha ricevuto 1’313 franchi al mese nei casi di invalidità meno grave, 3’400 in quelli di disabilità grave e 7’588 in quelli di disabilità molto gravi.

(Traduzione dall’inglese: Sonia Fenazzi)

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