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Ayoba, il Sudafrica ha vinto la sua scommessa

Il Sudafrica ha vissuto i Mondiali con passione ed entusiasmo Keystone

Mentre Spagna e Olanda si apprestano a dar vita a una finale entusiasmante è giunto il momento di stilare un bilancio di questi primi Mondiali di calcio africani. Organizzazione impeccabile, senso dell'ospitalità e pochi intoppi: il Sudafrica ha fatto una buona impressione.

È un rituale che puntualmente si ripete. Al termine di ogni competizione sportiva internazionale ognuno presenta le proprie cifre. Il ministro dell’interno sudafricano parla di oltre un milione di visitatori nel mese di giugno, ovvero il 25% in più rispetto all’anno scorso.

Danny Jordan, responsabile del comitato organizzativo, è fiero di annunciare tre milioni di spettatori negli stadi sudafricani, in barba a tutti coloro che prevedevano delle gradinate mezze vuote.

Il presidente sudafricano Jacob Zuma esalta dal canto suo il successo economico, stimando che i 33 miliardi di rand (circa 4,5 miliardi di franchi) spesi per l’evento abbiano prodotto «un buon ritorno sugli investimenti». Investimenti che dovrebbero incidere positivamente sul prodotto interno lordo nella misura del 4%.

Diversi analisti sono tuttavia scettici in merito alle reali ricadute economiche del Mondiale. In un dei paesi meno egualitari del mondo, in cui il 43% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, la manna sarà a beneficio soltanto delle persone già di un certo livello, prevedono numerose organizzazioni non governative.

Accoglienza calorosa

La riuscita di un avvenimento planetario si misura però anche considerando le sensazioni di chi l’ha seguito e l’immagine che conserveranno di questo primo Mondiale sul continente africano.

Yves Débonnaire, allenatore della nazionale svizzera under 16, è stato colpito dalla «gentilezza di tutte quelle persone che hanno veramente voglia di cambiare qualcosa».

Elogi giungono anche da un altro allenatore, Claude Ryf, responsabile tecnico della nazionale rossocrociata under 17. «I sudafricani hanno davvero dimostrato di essere molto felici di ospitare il Campionato del mondo, di parlare del loro Paese e di presentarlo al mondo intero».

Come la maggior parte dei suoi colleghi, Daniel Burkhalter, inviato speciale della Radio Televisione Svizzera (RTS) è stato impressionato dalla serenità che regnava attorno agli stadi. «Prima di partire i giornalisti hanno ricevuto un dvd che metteva in guardia contro la criminalità in Sudafrica. Guardandolo ho avuto un po’ di paura. Poi, durante il mio soggiorno, non ho però provato la minima inquietudine».

I furti e le aggressioni non sono mancate. Va però sottolineato che le autorità sudafricane – le quali avevano mobilitato 4000 poliziotti supplementari – hanno vinto la scommessa di organizzare una manifestazione sicura.

Lontano dalle township

Ci sono tuttavia dei parametri che nessun comitato organizzativo riesce a controllare. L’eliminazione precoce del Sudafrica ha in effetti raffreddato l’ardore dei tifosi sudafricani. «Ma anche dopo l’eliminazione dei “bafana bafana” tutti i sudafricani, compresi i bianchi, hanno continuato a sostenere l’Africa del calcio, in particolare il Ghana», annota Daniel Burkhalter.

Il neocastellano Pascal Holliger, fondatore dell’ong Imbewu, specializzata nello sviluppo attraverso lo sport, ha vissuto il mondiale ancor più da vicino. Malgrado il mese di giugno sia stato caratterizzato da passione ed entusiasmo, attorno all’evento si è notata una certa freddezza, deplora Holliger.

«A Johannesburg, Durban e Città del Capo la festa è stata bella. Le altre città hanno invece seguito a fatica. A volte ho trovato l’atmosfera un po’ “clinica”: la FIFA voleva controllare ogni cosa. Non tutte le fun-zones hanno avuto successo. Il motivo è semplice: non sono state collocate nelle township, ovvero là dove batte il cuore calcistico sudafricano».

Gli osservatori sono in effetti coscienti che la festa ha coinvolto soltanto una minoranza di sudafricani. «Purtroppo non tutti hanno avuto accesso agli stadi, quando invece l’evento ha coinvolto l’intera popolazione, compresa quella delle township», constata Claude Ryf.

Unità nazionale

Per Pascal Holliger, era essenziale non lasciare quest’altro Sudafrica, meno visibile, completamente in disparte. A margine della partita tra Svizzera e Cile a Port Elizabeth, alcuni dirigenti dell’Associazione svizzera di football, così come il difensore elvetico Philippe Senderos, hanno così potuto visitare i progetti di sviluppo attraverso lo sport nelle township.

«Era importante che si rendessero conto del contesto nel quale si svolgeva la Coppa del mondo. In Sudafrica è facile non vedere questa realtà che concerne oltre il 70% della popolazione. Credo che siano stati sconvolti da ciò che hanno visto a soli dieci minuti di automobile dal loro hotel».

E con quale spirito si risveglierà il Sudafrica lunedì mattina? «La Coppa del mondo ripartirà alla stessa velocità con la quale è arrivata», prevede Pascal Holliger. «Nei giornali si riparla già di corruzione e nepotismo. Per un mese c’è però stata una vera unità nazionale: neri, bianchi, ricchi o poveri… ognuno aveva voglia di mostrare al mondo che questa nazione arcobaleno è capace di organizzare grandi eventi e che possiede un potenziale straordinario».

«Come spesso capita – conclude Claude Ryf – gli scettici hanno avuto torto. Basta ricordarsi della Coppa del mondo del 1990 in Italia, quando molti affermavano che gli stadi non sarebbero stati pronti in tempo». Una “maldicenza” che è già di attualità in Brasile, prossima tappa della tournée mondiale della FIFA nel 2014.

Tuuuuuuutttt. Resteranno senza dubbio tra i ricordi di questa edizione 2010 dei Mondiali di calcio. Le vuvuzela, sorta di trombette allungate dal suono assordante, hanno animato non solo il tifo negli stadi, ma pure discussioni e polemiche.

All’inizio della manifestazione era stato persino invocato il loro divieto. Sepp Blatter, presidente della FIFA, ha però subito posto fine alle speculazioni, affermando che il Mondiale non può impedire le «tradizioni musicali dei tifosi locali».

Pronostico: L’altro fenomeno del Mondiale sudafricano si chiama Paul, il polpo dell’acquario cittadino di Oberhausen, in Germania.

Azzeccando tutti i pronostici delle partite della Mannschaft, compresa l’eliminazione in semifinale contro la Spagna, il più celebre oracolo del Paese non si è però fatto soltanto degli amici.

Numerosi tedeschi hanno in effetti chiesto di portare Paul dalla vasca al piatto, ciò che ha obbligato il portavoce dell’acquario a precisare che a Paul non succederà «nulla di spiacevole».

(Traduzione di Luigi Jorio)

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