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La Germania legifera sul suicidio assistito, la Svizzera attende le ricadute

Nel 2011, il governo svizzero ha deciso di non legiferare in materia di suicidio assistito, optando per un rafforzamento della prevenzione contro il suicidio e delle cure palliative. nearpictures

Erika Preisig abita a 10 minuti dalla frontiera tedesca. Dall’anno prossimo, potrebbe però vedersi vietare l’accesso in Germania. Questa donna dirige Lifecircle, una delle associazioni svizzere attive nell’ambito dell’assistenza al suicidio, che potrebbero essere toccate dalle nuove leggi in discussione a Berlino il mese prossimo.

La Svizzera è l’unico paese in cui dei non residenti possono far capo all’assistenza al suicidio. Tra gli stranieri che vengono in Svizzera a morire, i più numerosi sono i tedeschi e i britannici.

Questi due paesi si sono interessati recentemente alla loro legislazione sul suicidio assistito. In settembre, il parlamento britannico ha respinto una proposta che voleva legalizzarlo per i malati in fase terminale. La Germania, da parte sua, sta esaminando quattro progetti di leggeCollegamento esterno e i deputati sembrano pronti ad accettare disposizioni severe. In particolare aiutare dei cittadini tedeschi a morire, in patria o in un altro paese, costituirebbe un’infrazione penale.

In Svizzera, le associazioni di assistenza al suicidio osservano con attenzione il dibattito in Germania, poiché a seconda dell’esito, vi saranno conseguenze sui servizi che forniscono.

La Germania di fronte a quattro proposte

Quattro progetti di legge arriveranno sui banchi del parlamento tedesco in novembre.

Il primo è opera di Michael Brand, della CDU, e della socialdemocratica Kerstin Griese; gode del sostegno di Angela Merkel. Questo testo metterebbe fuori legge chiunque offre assistenza al suicidio dietro pagamento.

Renate Künast (Verdi) e Petra Sitte (Die Linke) hanno dal canto loro presentato un progetto che sopprime gli ostacoli giuridici al suicidio assistito e dà il diritto di morire ad ogni adulto responsabile, a patto che abbia consultato un medico. Inoltre, associazioni come Dignitas verrebbero autorizzate in Germania.

Il progetto depositato dal cristiano democratico Patrick Sensburg prevede invece di vietare completamente il suicidio assistito.

Il quarto progetto, opera del vicepresidente del Bundestag Peter Hintze e della social-democratica Carola Reimann, autorizza i medici a somministrare i farmaci necessari all’aiuto al suicidio a determinate condizioni, tra cui i casi di malattie incurabili.

Fonte: Der Spiegel, Deutsches Referenzzentrum für Ethik in den Biowissenschaften

Nel 2014, Erika Preisig ha aiutato 13 tedeschi e 3 britannici a morire. Questa donna dalle lunghe trecce e dalla voce calma scoppia a piangere quando evoca il suo primo contatto con il suicidio assistito. Due infarti avevano reso suo padre incapace di parlare e di leggere. Ha cercato di porre fine ai suoi giorni ingurgitando delle pillole, senza successo. Quando ha manifestato la sua intenzione di riprovarci, gettandosi sotto un treno, Erika Preisig ha deciso di cercare delle alternative.

L’associazione svizzera Dignitas l’ha accettato. «Quando una persona muore durante le cure palliative, capita spesso che negli ultimi giorni della sua vita non sia più cosciente. Con il suicidio assistito, mio padre era seduto di fianco a me e quando ha deciso ‘adesso voglio morire’, ha appoggiato la testa sulle mie spalle e si è addormentato», racconta Erika Preisig.

Per questa donna, medico di professione, è stato un momento decisivo, che l’ha spinta a lavorare per Dignitas. Qualche anno dopo, ha fondato due associazioni gemelle: LifecircleCollegamento esterno, per la promozione delle cure palliative, e Eternal Spirit, per il suicidio assistito.

I due approcci sono importanti, sottolinea. Soprattutto in una società dove gli anziani vengono messi nelle case di riposo perché i loro famigliari non sanno occuparsene. «In una casa per anziani non vi è granché da fare se non sedersi per aspettare il prossimo pasto. E la morte. Dobbiamo assicurarci che la gente non voglia morire perché si sente sola, perché ha l’impressione di essere un fardello».

Chi vuole morire facendo capo a Lifecircle deve prima diventare membro e scrivere una lettera in cui spiega le sue motivazioni. Dopo l’invio dei rapporti medici, il candidato è invitato a dei colloqui di valutazione fatti da due medici e dal comitato dell’associazione.

Se il candidato è accettato, morirà in un appartamento di Basilea. Coi suoi muri di legno, l’angolo cucina, i suoi CD e i suoi mobili colorati, il posto assomiglia a un appartamento moderno. È qui che il candidato assumerà 15 grammi di pentobarbitale sodico.

Chi vuole morire deve prendere da solo il barbiturico. «In 30 secondi, vi fa sprofondare in un sonno profondo, come un’anestesia, e in quattro minuti provoca un arresto cardiaco. Si muore molto, molto facilmente», spiega Erika Preisig.

«Mi chiedono ancora se mi prendo per Dio per dire chi è autorizzato a morire. Non sono però io a decidere. Il mio compito è solo di assicurarmi che queste persone abbiano riflettuto abbastanza a lungo».

In Svizzera il suicidio assistito è possibile dagli anni 1940. Perché la Confederazione dovrebbe però aiutare persone di altri paesi?

Erika Preisig ha optato per colori vivaci e decorazioni di legno per l’appartamento di Lifecircle a Basilea. Lifecircle

«Fino a quando non possono farlo nel loro paese, dovrebbero essere i benvenuti da noi, afferma Erika Preisig. Da parte nostra, dovremmo aiutare a far sì che il suicidio assistito sia legalizzato. Penso che la Svizzera dovrebbe organizzare delle conferenze, mostrare degli esempi, le ragioni per cui delle persone vogliono morire e perché ciò dovrebbe essere accettato. Dovrebbe diventare un leader in questo ambito».

Piano di riserva

Dal XVIII secolo, il suicidio e il suicido assistito non sono punibili in Germania. Sui quattro progetti di legge in discussione in parlamento, la cancelliera Angela Merkel sostiene quello che vorrebbe imporre controlli severi. Prende di mira in particolare le associazioni attive nell’ambito del suicidio assistito e prevede una pena di tre anni di prigione a chiunque offre o fa da intermediario per questo genere di servizi «a scopi commerciali».

I difensori del progetto ritengono che sia giunto il momento di legiferare per prevenire il suicidio assistito «organizzato», che si sta trasformando in business. Continuerebbero ad essere autorizzati solo i «casi individuali» di persone che offrono un’assistenza al suicidio per «ragioni altruistiche».

Se venisse accettata, questa legge significherebbe la fine per organizzazioni come Sterbehilfe DeutschlandCollegamento esterno. Interamente ricalcata sull’organizzazione svizzera Exit, Sterbehilfe Deutschland assiste in Germania le persone che vogliono morire e dispone di un ufficio a Zurigo, dove fa il lavoro amministrativo e recluta dei volontari svizzeri per accompagnare i suoi clienti.

Fondata quasi sei anni fa da Roger Kusch, ex politico della CDU soprannominato «Dottor Morte», Sterbehilfe Deutschland ammette che se la legge venisse accettata, dovrebbe «fare una pausa». Il suo piano di riserva, sarebbe di operare solo dalla Svizzera, per quanto la legge lo permetta.

«In Svizzera, il diritto alla libertà è il principio più elevato dello Stato, dichiara Roger Kusch a swissinfo.ch. In Germania si è invece arrivati al punto che alla fine della loro vita i tedeschi non possono neppure decidere se vogliono o meno beneficiare di questo diritto. In Svizzera un’evoluzione simile sarebbe impensabile». 

Se la legge dovesse essere approvata dal parlamento, Roger Kusch ha già annunciato che presenterà ricorso presso la Corte costituzionale tedesca.

Renate Künast, ministro (verde) della protezione dei consumatori all’inizio degli anni 2000, è co-autrice di un progetto di legge che vuole mantenere l’impunità in ambito di suicidio assistito.

«Il mio timore è che il progetto che vuole criminalizzare praticamente ogni suicidio assistito sia accettato, dichiara. E quale sarebbe il risultato? Il turismo della morte verso la Svizzera potrebbe aumentare. Oppure la gente tenterebbe di suicidarsi con mezzi inappropriati, ciò che causerebbe tutta una serie di altri problemi». 

Ripercussioni in Svizzera

Anche Exit, che non offre i suoi servizi alle persone che non risiedono in Svizzera, segue gli sviluppi in Germania con inquietudine.

«È molto probabile che accetteranno il divieto, spiega il direttore della sezione svizzero tedesca Bernhard Sutter a swissinfo.ch. La domanda è: cosa succederà poi in Svizzera? Vi sono molti pazienti tedeschi che vengono qui in cerca di aiuto. Gli svizzeri potranno ancora aiutarli? Inoltre abbiamo anche dei membri svizzeri che vivono in Germania. Potremo ancora inviare loro le nostre lettere d’informazione?».

DignitasCollegamento esterno, la più importante associazione che accetta anche gli stranieri, ritiene che i promotori del progetto di legge dato per vincente siano «scollegati» dal popolo tedesco. L’organizzazione non vuole esprimersi sull’esito del dibattito in corso in Germania, ma Silvan Luley, membro della direzione, ci scrive in una e-mail che «lo scopo di Dignitas non è di far venire gente da tutto il mondo in Svizzera, ma piuttosto che gli altri paesi adattino la loro legislazione, al fine di introdurre soluzioni per la fine della vita. Soluzioni che offrano una vera scelta ai cittadini e che questi non siano obbligati a diventare dei ‘turisti del suicidio’».

Erika Preisig, da parte sua, è decisa a continuare ad aiutare i tedeschi, anche se il loro paese dovesse adottare una legge severa. «Se telefono a qualcuno in Germania o se aiuto qualcuno a venire in Svizzera, non potrò più viaggiare in Germania. Penso però che da un punto di vista etico non potrei rifiutare dei tedeschi. Non capisco perché qualcuno che aiuta una persona a morire in modo decente debba essere punito».

In Germania, il progetto di legge in questione sembra aver ricevuto una spinta anche dalle lobby etiche e religiose, anche all’interno della CDU (Unione cristiano democratica) della cancelliera Merkel. Il Consiglio della chiesa evangelica tedesca ritiene che la gente non dovrebbe avere «l’opzione» di uccidersi in qualunque momento della sua vita e che le case di riposo o le cure palliative costituiscano delle «soluzioni migliori».

Erika Preisig crede comunque che i tedeschi continueranno a venire in Svizzera per morire e che le loro famiglie continueranno ad aiutarli, malgrado la paura di procedimenti penali. «In Inghilterra, in Francia e in Italia è in vigore la stessa legge. Prevede che ogni persona che aiuta qualcuno a suicidarsi sia passibile di una pena di prigione fino a 14 anni. Ciò non impedisce però a queste persone di rivolgersi a noi», ricorda.

La fondatrice di Lifecircle è stata sulle prime pagine dei giornali britannici l’anno scorso, quando Gill Pharaoh, infermiera inglese in pensione, ha deciso di venire a morire in Svizzera perché non sopportava più di vedere la sua vita deteriorare di giorno in giorno. In settembre, quando il parlamento di Westminster ha rifiutato di modificare la legge sul suicidio assistito, Lifecircle ha registrato l’adesione di 24 nuovi membri da un giorno all’altro. Dignitas, da parte sua, ha ricevuto una e-mail che diceva: «Abbiamo ancora bisogno di voi; per piacere, non cambiate».

Sia Exit che Dignitas affermano comunque che il loro obiettivo a lungo termine è di non dovere più esistere: il giorno in cui la gente avrà la scelta di finire la propria vita a casa e che nessuno avrà più bisogno dei servizi di queste due associazioni.

Delle leggi migliori

Realtà o utopia, vi è però un dato di fatto: in una società che invecchia, gli svizzeri sono anche loro sempre più numerosi a voler ricorrere al suicidio assistito. Un’ulteriore ragione, affermano alcuni, per legiferare in materia. Attualmente, le sole restrizioni sono che la persona sia capace di intendere e di volere, assuma da sola il farmaco letale e che non sia sotto l’influenza di qualcuno.

Il presidente della Federazione dei medici svizzeri ha recentemente auspicato che si apra un nuovo dibattito su una futura legge. Ex procuratore del cantone di Zurigo, Andreas Brunner condivide questa opinione: «All’inizio vi era una sola organizzazione in Svizzera. Adesso sono cinque. È quindi importante avere delle norme. Il problema è che non vi è una legge. Ce ne vuole una, ma non di tipo penale come quella che vogliono introdurre in Germania».

Exit e Lifecircle sono pure favorevoli a una legge. «Exit lo dice da tanto tempo, ricorda Bernhard Sutter. Apparentemente, governo e parlamento non vogliono però legiferare sul tema, poiché lo considerano come qualcosa che fa parte della sfera privata. Noi, che siamo l’organizzazione più anziana e che ci siamo dati regole molto severe, evidentemente non abbiamo nulla contro una legge».

Nel 2011 il governo aveva valutato diverse opzioni per regolamentare il suicidio assistito. Finalmente aveva però deciso di non agire per via legislativa, preferendo favorire piuttosto la prevenzione del suicidio e le cure palliative.

Traduzione di Daniele Mariani

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