Condanne a 16 anni di carcere nel processo Eternit
Il tribunale di Torino ha condannato l'imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Louis De Cartier a 16 anni di carcere per disastro doloso e omissione di cautele. Si chiude così il più grande processo al mondo per le vittime dell'amianto.
Erano in migliaia lunedì ad attendere la sentenza fuori dal Palazzo di giustizia di Torino. Venuti da tutta Italia e da molti paesi stranieri a chiedere giustizia per le quasi 3’000 vittime dell’amianto, ex operai o semplici abitanti di Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli, città nelle quali la Eternit S.p.A Genova aveva le sue fabbriche.
A tre anni dall’apertura del processo, i giudici torinesi hanno ritenuto l’imprenditore elvetico Stephan Schmidheiny (65 anni) e il barone belga Jean Louis Marie Ghislain De Cartier (91) colpevoli di disastro doloso e omissione volontaria di cautele professionali.
Agli ex azionisti di maggioranza dell’Eternit S.p.A Genova è stata inflitta una pena di 16 anni di carcere, quattro in meno rispetto a quanto chiedeva l’accusa. La corte ha preso in considerazione soltanto i fatti accaduti dal 1952 a Casale Monferrato e Cavagnolo, perché i reati relativi agli altri due stabilimenti erano già entrati in prescrizione.
L’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, che non era presente in aula, ha fatto sapere attraverso il suo portavoce Peter Schürmann che ricorrerà in appello e che giudica «del tutto incomprensibile» il verdetto dei giudici.
Giustizia sia fatta
Tra la folla accorsa in aula è invece scoppiato un coro di urla e applausi alla lettura della sentenza. «Rende giustizia alle famiglie», ha commentato Bruno Pesce, presidente della Aneva, l’associazione che riunisce i familiari delle vittime dell’amianto. «I 16 anni inflitti agli imputati dimostrano che nell’accaduto vi furono consapevolezza e dolo. Purtroppo – ha concluso – il disastro che hanno provocato è ancora in corso».
«È un primo passo verso la giustizia – ha detto Assunta Prato, vedova calabrese. «Ma la strada è ancora lunga se si pena che il picco di morti a Casale è atteso tra una decina d’anni».
A ciascuno dei parenti delle vittime è stato riconosciuto un risarcimento da 30’000 a 35’000 euro. I due ex proprietari dell’azienda dovranno pure versare, a titolo di indennizzo, 25 milioni di euro al comune di Casale Monferrato, 20 milioni alla Regione Piemonte e e 15 milioni all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail).
De Cartier dovà inoltre pagare un risarcimento di 4 milioni di franchi al comune di Cavagnolo. I due imprenditori sono infine chiamati a devolvere da 70’000 a 100’000 euro ad otto organizzazioni, tra cui sindacati e associazioni ambientaliste.
Una prima mondiale
Il processo Eternit è considerato uno dei più grandi procedimenti nel campo dei reati ambientali che si sia mai celebrato in Italia e nel mondo. Il capo d’accusa contempla un elenco di oltre 2’000 morti e 600 malati a causa dell’amianto, e circa 6’400 richieste di costituzione di parte civile, quasi interamente accolte.
In tre anni e 66 udienze, il pubblico ministero Raffaele Guariniello ha tentato di dimostrare che Stephan Schmidheiny e Jean Louis Marie Ghislain De Cartier sapevano che l’amianto entrava nei polmoni e uccideva, ma hanno continuato ad utilizzarlo mettendo a rischio la vita di migliaia di persone.
«Questa tragedia immane, che ha colpito popolazioni di lavoratori e cittadini e continua a fare morti, si è consumata in Italia e in altre parti del mondo con una regia senza che mai nessun tribunale abbia chiamato i veri responsabili a risponderne», aveva detto nella sua arringa finale Raffaele Guariniello. «Si addebita a Eternit – aveva aggiunto – di aver causato un disastro nei suoi stabilimenti e per la popolazione, che ancora oggi continua a verificarsi giorno dopo giorno per consapevole volontà dei suoi proprietari».
I legali dei due imputati avevano invece chiesto per entrambi l’assoluzione. Secondo la difesa, dal 1971 De Cartier aveva ricoperto solo «un ruolo minoritario senza compiti operativi», mentre Schmidheiny avrebbe provveduto a fare diversi investimenti per la sicurezza dei lavoratori, in base alle conoscenze dell’epoca sull’amianto.
L’avvocato Astolfo Di Amato, uno dei legali di Schmidheiny, aveva messo in dubbio la validità stessa di un processo celebrato a più di trent’anni di distanza dai fatti contestati. Lederebbe il principio di difesa, aveva detto, perchè il tempo trascorso «rende quasi impossibile a chi è accusato difendersi al meglio: i documenti non si trovano, molti testimoni non ci sono più e quelli che ci sono non sono attendibili perchè i fatti sono troppo lontani da ricordare».
Il picco di produzione dell’amianto è stato toccato nella seconda metà degli anni ’70, con oltre 5 milioni di tonnellate. In Svizzera le importazioni hanno raggiunto il massimo alla fine degli anni ’70 (22’700 tonnellate).
Malgrado la sua nocività, l’amianto continua ad essere utilizzato in molti paesi.
Nel 2007 ne sono stati consumati oltre 2 milioni di tonnellate, stando ai dati dello United States Geological Survey.
La Cina è il principale consumatore (30%), seguita da India (15%), Russia (13%), Kazakistan e Brasile (5%).
L’Organizzazione internazionale del lavoro stima che ogni anno nel mondo tra 100’000 e 140’000 persone muoiono a causa dell’amianto.
Stando a uno studio dell’UE, entro il 2030 il minerale avrà provocato la morte di mezzo milione di persone in Europa.
La «fibra miracolosa», come è stata soprannominata, ha raggiunto l’apogeo negli anni ’70. Sul mercato si trovavano circa 3’000 prodotti fabbricati con l’amianto.
La Svizzera è stato un centro importante dell’amianto. A Niederurnen, nel canton Glarona, aveva sede il gruppo Eternit della famiglia Schmidheiny. Nel periodo più «fasto», la holding Schmidheiny Amiantus SA controllava dal villaggio glaronese fabbriche in 16 paesi nel mondo con alle loro dipendenze 23’000 persone.
Negli uffici della Eternit aveva sede dal 1929 anche la SAIAC, cartello dei produttori di cemento-amianto.
La Eternit aveva due stabilimenti in Svizzera: a Niederurnen e a Payerne, nel canton Vaud.
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