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Svizzera ha violato libertà d’espressione negazionista genocidio armeno

La giustizia elvetica ha condannato a torto il nazionalista turco Dogu Perinçek per aver pubblicamente negato il genocidio armeno, secondo i giudici di Strasburgo. Keystone

La Svizzera ha violato il diritto di espressione del nazionalista turco Dogu Perinçek, condannandolo per aver negato pubblicamente il genocidio armeno. Lo ha sentenziato giovedì la Grande Camera della Corte europea dei diritti umani (CEDU) di Strasburgo. Berna valuterà come attuare praticamente la sentenza.

La sentenza, emessa con una maggioranza di dieci giudici contro sette, è definitiva. Puntualizzando che le affermazioni del nazionalista turco “non erano assimilabili a un appello all’odio o all’intolleranza”, la Corte di Strasburgo ha concluso che, “in una società democratica, non era necessario condannare penalmente Perinçek, al fine di proteggere i diritti della comunità armena in gioco nella fattispecie”.

L’Alta corte puntualizza che la sentenza di giovedì non significa che la CEDU prende posizione sulla realtà storica sulle deportazioni in massa e i massacri subiti dagli armeni nell’Impero ottomano nel 1915. Su questo punto la Corte europea si dichiara “incompetente per pronunciare una conclusione giuridica”.

Nessun indennizzo pecuniario

I giudici di Strasburgo hanno d’altra parte respinto le richieste d’indennizzo materiale di Dogu Perinçek. Hanno stabilito che il riconoscimento della violazione della libertà di espressione costituisce una riparazione sufficiente per il torto morale.

La vertenza prende origine da una serie di conferenze tenute in Svizzera nel 2005 dal presidente del Partito dei lavoratori della Turchia (estrema sinistra), nel corso delle quali l’oggi 73enne Perinçek aveva negato esplicitamente l’esistenza del genocidio armeno del 1915, definendolo “una menzogna internazionale”.

Articolo 261 bis

La sentenza di Strasburgo sulla vertenza tra la Confederazione elvetica e il negatore del genocidio armeno Dogu Perinçek rimette in discussione l’articolo 261 bis del Codice penale svizzero contro “discriminazione razziale”, in base al quale il nazionalista turco era stato condannato.

La cosiddetta norma antirazzismo era stata approvata nel settembre 1994 dal popolo svizzero ed è entrata in vigore il primo gennaio 1995. Da allora, circa 390 sentenze sono state pronunciate in base al 261 bis, secondo la Commissione federale contro il razzismo.

L’articolo punisce, con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria, innanzitutto chiunque inciti “pubblicamente all’odio o alla discriminazione” contro persone o gruppi di persone o “per la loro razza, etnia o religione”, come pure chiunque propaghi “un’ideologia intesa a discreditare o calunniare sistematicamente i membri di una razza, etnia o religione”. Nel caso Perinçek è stato applicato il capoverso 4 che punisce anche chi “disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il genocidio o altri crimini contro l’umanità”.

Nel 2007, la giustizia vodese lo aveva condannato a 90 aliquote giornaliere di 100 franchi l’una con la sospensione condizionale e ad una multa di 3000 franchi. I giudici avevano invocato l’articolo 261 bis del Codice penale svizzero sulla discriminazione razziale, che punisce anche chi “disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il genocidio o altri crimini contro l’umanità”.

La pena era stata confermata successivamente dalla Corte vodese di cassazione e dal Tribunale federale (Corte suprema elvetica) nel 2007, ma non dalla CEDU: nel dicembre 2013 i giudici di Strasburgo erano infatti giunti alla conclusione che la Svizzera, condannando il militante turco, aveva violato la libertà di opinione dell’ultra nazionalista.

La Svizzera aveva quindi chiesto il riesame del caso alla Grande Camera della CEDU. Questa lo aveva fatto lo scorso 28 gennaio, ascoltando le due parti. E ora ha emesso il suo giudizio inappellabile: la giustizia elvetica era nel torto.

Berna esamina le conseguenze pratiche

Annunciando di averne preso atto, l’Ufficio federale di giustizia (UFGCollegamento esterno), che rappresentava la Svizzera dinanzi alla Corte europea, rileva in una notaCollegamento esterno che ora è prematuro “prevedere le conseguenze giuridiche della sentenza: soltanto un’approfondita analisi indicherà se la sua attuazione renderà necessaria un’applicazione più cauta della norma sulla discriminazione razziale o una revisione di legge”.

La Svizzera presenterà un rapporto sugli intenti di attuazione della sentenza al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa al più tardi entro sei mesi.

“Il rapporto deve illustrare le misure che il nostro Paese intende adottare per lenire nel caso singolo le conseguenze della violazione constatata e prevenire atti lesivi di questo tipo. Se la Svizzera non fosse ancora in grado di illustrare in dettaglio come intende trasporre nella pratica la sentenza, deve almeno presentare un calendario vincolante con le misure attuative previste”, spiega l’UFG.

Indignazione armena

Dal canto suo, l’Associazione Svizzera-ArmeniaCollegamento esterno (ASA) ha reagito alla sentenza di Strasburgo definendola “ripugnante” e dicendosi “costernata e profondamente scioccata”. In una nota, rammenta che la libertà di espressione non è “assoluta” e che non può essere utilizzata per “riscrivere la storia, cercando di negare o di giustificare un genocidio”.

L’ASA osserva che oggi c’è un consenso internazionale “per dire che i massacri degli armeni nel 1915 costituiscono un genocidio. Ciò non può essere rimesso sistematicamente in dubbio”.

Soddisfazione turca

All’opposto, la Federazione delle associazioni turche della Svizzera romanda (Fatsr) esprime soddisfazione e prevede che la decisione di Strasburgo “favorirà la riconciliazione tra turchi e armeni”. Precisando che i turchi riconoscono le sofferenze e i dolori subiti dagli armeni e li deplorano, la Fatsr afferma che la sentenza della Corte europea consente il dibattito e la ricerca storica su degli avvenimenti che, diversamente dall’Olocausto, sono molto controversi.

L’esame degli avvenimenti del 1915 è compito degli storici, non dei parlamenti o dei giudici, aggiunge da parte sua la Comunità turca della Svizzera (TGS).

Secondo gli storici, il genocidio armeno è stato il primo del XX secolo ed è costato la vita a circa 1,2 milioni di persone. La Turchia ammette che ci sono stati tra 300mila e mezzo milione di morti, ma sostiene che non si tratta di vittime di una campagna di sterminio, bensì del caos dovuto agli ultimi anni dell’Impero ottomano.

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