Donne alle armi… con riluttanza
Perché non estendere la coscrizione militare obbligatoria anche alle donne? Degli alti graduati svizzeri hanno recentemente lanciato il sasso nello stagno. Più facile da dire, però, che da fare.
Il brigadiere Denis Froidevaux ha avuto gli onori della cronaca in febbraio, quando ha dichiarato in un’intervista di essere favorevole alla coscrizione obbligatoria delle donne. Il mese successivo, durante un dibattito in parlamento sulla modernizzazione del servizio militare, il ministro della difesa Ueli Maurer ha dal canto suo affermato che le donneCollegamento esterno «motiverebbero le truppe» se fossero più numerose.
Meno di una su cento
Le cifre, infatti, sono senza appello: l’esercito svizzero ha un effettivo di poco più di 170’000 militari. Le donne sono 1’061, appena lo 0,6%. Una specie di minoranza esotica, di cui fa parte Mona Kräuchi.
«Bisogna essere consapevoli del fatto che si salta all’occhio», afferma questa donna di 21 anni, a capo di un plotone e specialista di difesa anti-aerea. All’inizio sta un po’ sulle sue. Poi si entusiasma quando ci parla delle sfide che è riuscita a superare assieme ai suoi commilitoni, come la marcia di 100 chilometri.
«Quando mi trovo in un luogo pubblico, ad esempio in stazione, vi sono sempre persone che mi chiedono perché ho scelto questa strada. Però non sono critici, semplicemente curiosi».
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Una donna ai comandi
Ed è proprio la curiosità che ha spinto un gruppo di cinque giovani donne, che frequentano la stessa scuola, ad assistere a una giornata d’orientamento dell’esercito per le nuove reclute del canton Berna. Dei posti in prima fila sono stati riservati specialmente per loro.
Quando compiono 18 anni, tutte le ragazze svizzere ricevono una lettera che le invita a integrare l’esercito, se lo desiderano. Dal 1995 possono svolgere il servizio militare a fianco degli uomini e dal 2004 possono ricoprire tutte le funzioni esistenti nell’esercito.
Le cinque giovani presenti alla giornata d’orientamento evocano ragioni diverse al loro interessamento: una vorrebbe imparare come maneggiare le armi, un’altra è attirata soprattutto dalle opportunità nel servizio civile o sociale. Non tutte sono convinte della necessità di avere un esercito e nessuna è dell’opinione che la Svizzera debba introdurre la coscrizione femminile.
«Se volessi entrare nell’esercito, lo farei per una sfida personale, per conoscere i miei limiti fisici e psicologici», afferma Adchara Supiramaniam, 18 anni.
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Discriminazione
Sibilla Bondolfi ha dedicato la sua tesi di laurea in diritto a questo tema ed è giunta alla conclusione che, da un punto di vista giuridico, la coscrizione esclusivamente maschile contraddice il divieto di discriminazione iscritto nella Costituzione federale.
«La coscrizione femminile non è mai stata presa seriamente in considerazione in Svizzera, né a livello legale, né a livello politico, malgrado sia piuttosto chiaro che questa situazione crea un’inuguaglianza tra i generi», spiega la giurista.
In una democrazia diretta come quella svizzera, tutto o quasi passa dal popolo. Tibor Szvircsev Tresch è professore di sociologia all’accademia militare del Politecnico federale di Zurigo e a scadenza annuale realizza un sondaggio d’opinione sull’esercito. Dallo studio emerge che da anni il tasso di persone favorevoli alla coscrizione femminile è stabilmente attorno al 30%. Un dato confermato anche nel 2015.
Poche spinte al cambiamento
«Non è un tema che ha grandi possibilità di imporsi, anche nel dibattito politico», afferma. Inoltre, la commissione creata per riesaminare il sistema militare svizzero dopo il fallimento, nel 2013, di un’iniziativa popolare che chiedeva di sopprimere il servizio di leva obbligatorio, si concentra soprattutto sulle riforme del modello attuale per gli uomini.
Vi sono però anche altre proposte sul tavolo, come ad esempio quella del think thank Avenir Suisse, che ha suggerito l’idea di introdurre un «servizio cittadino» per tutti, donne, uomini e anche stranieri residenti in Svizzera. Tra le opzioni vi sarebbe il servizio militare, riservato però esclusivamente ai cittadini elvetici. Quando è stato presentato nel 2013, questo modello godeva del 59% di opinioni favorevoli. Nel frattempo, però, il sostegno è diminuito, osserva Tibor Szvircsev Tresch.
La percentuale di persone che vuole mantenere il sistema di coscrizione tale e quale (ossia obbligatorio solo per gli uomini e solo per i militari) è passato dal 48% nel 2013 a circa il 60% oggi.
Una spinta per una futura carriera civile
L’esercito continua comunque ad investire nel reclutamento delle donne. Non da ultimo perché il 75% di quelle che si arruolano finiscono per occupare posti di quadro. Il tenente Mona Kräuchi è una di esse. La sua mansione è di supervisionare gruppi di reclute che imparano ad utilizzare un sistema d’armi anti-aeree. Queste armi sono ripartite su tutto il territorio nazionale e il suo lavoro la porta spesso ai quattro angoli del paese.
Le donne e l’esercito
In Svizzera, le porte dell’esercito si aprirono alle donne con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, quando il governo lanciò un appello al popolo affinché si annunciasse volontario nei servizi complementari. In breve tempo 15’000 donne si arruolarono.
Nel 1940 fu creato il Servizio complementare femminile (SCF). Per anni, le donne furono impiegate principalmente in uffici, cucine, posti di segnalazione, centrali telefoniche, posti d’avvistamento, ospedali militari e colonne di trasporto di feriti. Nel maggio del 1945, erano arruolate 17’000 donne.
Nel 1986, il SCF si trasformò in servizio militare femminile. Dopo la parificazione dei gradi, sempre nel 1986, furono istituiti servizi, scuole militari e unità comuni (1995) e , con la riforma Esercito XXI, le donne ottennero l’accesso a tutte le funzioni degli uomini, la stessa durata di servizio, lo stesso armamento personale e la possibilità di svolgere missioni all’estero.
«La particolarità dell’esercito è che già a una giovane età come la mia ho diretto molte persone. Nella vita civile non accadrebbe mai».
Per Mona Kräuchi, come per molte sue colleghe, la formazione militare rappresenta una buona carta da visita nel suo curriculum vitae. A lungo termine, non è infatti sicura di volere continuare a fare carriera militare.
L’esempio norvegese
Anita Schjølset è una ricercatrice in campo militare che viene dalla Norvegia, il primo paese in Europa ad avere introdotto la coscrizione anche per le donne. Le prime inizieranno la scuola reclute il prossimo autunno.
Proporzionalmente, il numero di donne nell’esercito norvegese è dieci volte più elevato che nell’esercito svizzero. Secondo Anita Schjølset, però, in Norvegia vi sono meno donne che occupano posti di quadro.
In Norvegia (che nel 2013 ha celebrato il centenario dall’introduzione del suffragio femminile e che riserva il 40% dei posti nei consigli d’amministrazione alle donne) l’esercito rappresentava l’ultimo bastione d’inuguaglianza e non era quindi considerato come un datore di lavoro interessante per le donne, indica Anita Schjølset. «Il mercato del lavoro norvegese è molto aperto per le donne. Perché allora restare [nell’esercito] se bisogna lavorare due volte meglio dei colleghi maschi per essere accettate?».
Per Anita Schjølset, l’introduzione della coscrizione obbligatoria è stata dettata dalla volontà di sopprimere le inuguaglianze e reclutare un maggior numero di donne.
Denis Froidevaux, il presidente della Società svizzera degli ufficiali che ha sollevato la questione nei media, ha definito «interessante» la decisione norvegese e ha ritenuto che potrebbe essere una fonte d’ispirazione per la Svizzera.
Vi sono però differenze importanti nell’organizzazione militare dei due paesi. In Norvegia non tutte le donne effettuano realmente il servizio militare. Contrariamente alla Svizzera, l’esercito norvegese arruola infatti solo una parte dei coscritti, sulla base dei risultati dei test di reclutamento.
La Norvegia è comunque riuscita a raggiungere recentemente una quota del 10% di donne.
Per Tibor Szvircsev Tresch si tratta di un risultato significativo: «Nelle forze armate deve esserci un tasso minimo di donne, affinché siano viste come parte integrante dell’organizzazione. Dovrebbe essere di circa il 10%. Altrimenti le donne hanno una posizione marginale».
(traduzione di Daniele Mariani)
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