Dopo lo shock, il difficile equilibrio tra sicurezza e libertà
La stampa domenicale elvetica è unanime: gli attacchi che nella notte da venerdì a sabato hanno fatto 129 morti e oltre 350 feriti a Parigi non segnano la fine della spirale terroristica. Nuovi pericoli sono in agguato, non solo in Francia, ma in tutta l'Europa. Nemmeno la Svizzera è al riparo. Occorre dunque agire rapidamente. E i commentatori prevedono restrizioni alle libertà individuali.
Sotto il titolo “Al dolore segue la rabbia – speriamo non così cieca come dopo l’11 settembre”, l’editoriale della SonntagsZeitung premette che “senza rapidi e visibili successi militari contro lo Stato islamico, i francesi non riterranno più François Hollande capace di garantire la loro sicurezza”. Il presidente francese deve dunque imperativamente intervenire.
Vigilanza rafforzata anche in Svizzera
Gli attentati di Parigi hanno suscitato profonda commozione in Svizzera. Le bandiere sul Palazzo federale – sede del parlamento e del governo svizzeri – sventolano a mezz’asta.
Visibilmente scossa, la presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga ha condannato il terrore con la massima fermezza. “Sono scioccata, triste e arrabbiata”, ha dichiarato, aggiungendo che gli attacchi di Parigi erano rivolti contro i valori fondamentali della società. A nome del governo federale, Simonetta Sommaruga ha espresso la solidarietà e il cordoglio della Svizzera alla Francia.
La direttrice dell’Ufficio federale di polizia (fedpol) Nicoletta Della Valle ha sottolineato che tutte le competenti autorità elvetiche lavorano in stretto contatto con le omologhe francesi e analizzano in permanenza la situazione.
Il presidente della Conferenza dei comandanti delle polizie cantonali della Svizzera, Stefan Blättler, ha precisato che i controlli alle frontiere sono stati rafforzati, come pure la presenza di agenti nelle principali stazioni elvetiche, al fine di mostrare “che le forze dell’ordine ci sono”.
Una costrizione che è pericolosa, avverte l’editorialista, secondo il quale, la Francia e i suoi alleati per intervenire con successo in Siria e in Iraq dovranno trarre le lezioni degli ultimi anni. Altrimenti cadrebbero in trappola, “come gli Stati Uniti dopo la guerra preparata in modo dilettante contro Saddam Hussein”.
“Se c’è una guerra da condurre, non ci si potrà accontentare di bombardamenti esterni. Un paese che è l’obiettivo, a dieci mesi di distanza, di due attentati così sanguinosi ha anche nel suo seno enormi fragilità, d’integrazione e di sicurezza. In tutta l’Europa di questo secolo, i campi di battaglia saranno molto spesso interni”, predice il losannese Le Matin Dimanche.
“La notte insanguinata di Parigi, non è il punto finale dell’orrore terrorista”, rincara la Ostschweiz am Sonntag, bensì “un inizio, un cinico messaggio: conduciamo una guerra globale. La Jihad è finalmente niente di più, di quello che sta avvenendo nel lontano mondo arabo. Parigi è un teatro di guerra, è il fronte, così come domani potrebbero esserlo Londra e Mosca e altre metropoli europee o americane”.
Sicurezza vs libertà e democrazia?
Ma il domenicale della Svizzera orientale mette in guardia l’Occidente, “sfidato e minacciato”, dal cadere nella trappola dei jihadisti, barattando le sue strutture libere e democratiche contro la sicurezza.
“Al di là dell’emozione che ci sommerge, capiamo tutti con spavento che i terroristi vogliono uccidere non solo dei fragili esseri umani, ma anche il nostro modo di vivere in comune. Si seminano il caos per distruggere la democrazia”, fa eco l’editorialista del ginevrino Le Temps, che in seguito agli attacchi di Parigi ha pubblicato un’edizione straordinaria.
La Schweiz am Sonntag avverte: “non è difficile prevedere che i cosiddetti promotori di maggior sicurezza avranno il vento in poppa. Più potere dello Stato, più sorveglianza e limitazione dei diritti dei cittadini: era già la reazione dopo l’11 settembre. Allorché la sicurezza non è veramente migliorata, la libertà ne ha fatto le spese”. Per l’editorialista, “la storia europea mostra che faremmo meglio a non sacrificare troppo in fretta i nostri diritti”.
Per il commentatore della NZZ am Sonntag, invece, senza “la maggioranza dei metodi che sono stati sviluppati e realizzati negli Stati Uniti dopo il 9/11”, la sicurezza in Europa non può migliorare. “Ci dovranno essere più sorveglianza, più raccolta di dati, più troiani statali, più liste di sospetti, più controlli di polizia; la cooperazione tra le autorità di sicurezza in Europa deve essere migliorata”.
Ciò comporta anche “alcune limitazioni deplorevoli delle libertà civili, che caratterizzano l’Occidente”, riconosce il domenicale di Zurigo. “Ma l’alternativa sarebbe che si vedrebbero regolarmente le orribili immagini di Parigi. Sarebbe insopportabile”.
Il commentatore della SonntagsZeitung non ha dubbi: “Security first, è la triste constatazione dopo un triste giorno a Parigi. Non una bella prospettiva per quelli come noi che amano la libertà. Si può solo sperare che i responsabili non procedano accecati dalla rabbia come dopo il 9/11, bensì con saggia prudenza. Altrimenti, i terroristi hanno vinto la loro guerra.
Le difficoltà di non fare di un’erba un fascio
Cercando di individuare dove si celano le insidie, i domenicali svizzeri pongono anche la questione del rapporto della società occidentale con l’islam e l’afflusso di migranti dai paesi arabi.
Secondo la Schweiz am Sonntag, non si deve affatto gettare l’ombra del sospetto sull’insieme di quelle persone, loro stesse vittime dello Stato islamico. “Tuttavia non si può dissipare l’impressione che l’Europa pratichi in parte una politica ingenua in materia di asilo e di protezione alle frontiere, e che per dei potenziali islamisti sarebbe un gioco introdursi clandestinamente sul continente. Tolleranza non significa ingenuità”, sottolinea.
Un punto su cui concorda la SonntagsZeitung: “Gli europei vogliono aiutare persone in difficoltà, ed è giusto così. Ma se l’Europa, accoglie centinaia di migliaia, anzi, oltre un milione di musulmani nei suoi paesi, consente la formazione di una minoranza mal integrata numericamente significativa. Al suo interno cresceranno inevitabilmente singoli attentatori, anche se la stragrande maggioranza dei musulmani non vuole avere niente a che fare con il terrorismo. Una immigrazione islamica in grande stile in Europa non è compatibile con la liberazione dal terrore”.
La presenza di “singoli potenziali terroristi” tra la massa di migranti che affluiscono in Europa è pure rilevata dalla NZZ am Sonntag, secondo la quale, così “nel suo complesso, in Europa il rischio di attacchi dovrebbe quindi aumentare piuttosto che diminuire. Ciò vale anche per la Svizzera”, mette in guardia il domenicale zurighese. In proposito, la SonntagsZeitung rammenta che in Svizzera “il Servizio di informazioni ha identificato 200 estremisti pericolosi”.
Gli sforzi delle autorità di neutralizzare i rischi
In dichiarazioni ai domenicali, le autorità elvetiche hanno assicurato che fanno tutto quanto in loro potere per limitare i pericoli derivati dai terroristi che si confondono con i migranti. “Tutti i richiedenti asilo trasferiti ai Cantoni sono registrati e identificati”, ha affermato il direttore della Segreteria di Stato della migrazione (SEM) Mario Gattiker sulle colonne della SonntagsZeitung.
I dossier sensibili vengono trasmessi al Servizio delle attività informative della Confederazione. “Non è tuttavia possibile far luce su tutto il passato di ogni singolo asilante”, riconosce Gattiker.
Anche secondo il ministro svizzero della difesa Ueli Maurer, il pericolo che ci siano terroristi tra le centinaia di migliaia rifugiati che giungono in Europa esiste. Le potenziali “cellule dormienti che vivono tra noi rappresentano il pericolo più grande, dal momento che non esiste praticamente alcuna informazione su queste persone”, ha dichiarato alla SonntagsZeitung e alla NZZ am Sonntag.
Fonte: ats
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