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E se la Svizzera abbandonasse il nucleare?

Le energie rinnovabili forniscono circa il 5% dell’elettricità in Svizzera. Keystone

Dopo la catastrofe in Giappone, in Svizzera si valutano vari scenari, tra cui l’abbandono del nucleare. Ma è un’opzione realistica? L’energia atomica fornisce infatti circa il 40% dell’elettricità in Svizzera. Le opinioni divergono, naturalmente.

La nuvola radioattiva alzatasi dalle rovine della centrale nucleare di Fukushima ha sollevato vari interrogativi e inquietudini in tutto il mondo.

Ed è ciò che sta avvenendo ora anche in Svizzera. Lunedì, 14 marzo, Doris Leuthard, la ministra dell’ambiente e dell’energia svizzera, ha annunciato la sospensione delle procedure di rilascio delle autorizzazioni per tre nuove centrali nucleari in sostituzione a quelle la cui disattivazione è prevista nel 2020.

Dopo questa prima decisione, giudicata frettolosa da alcuni, giustificata da altri, il Consiglio federale ha incaricato mercoledì, 23 marzo, il Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni (DATEC) di aggiornare gli scenari in materia di politica energetica elaborati nel 2007.

Il documento dovrà in maniera particolare analizzare tre varianti volte a garantire l’approvvigionamento energetico del paese. La prima non prevede cambiamenti di sorta rispetto alla situazione attuale, se non la sostituzione anticipata delle tre centrali più vecchie. La seconda contempla la possibilità di non sostituire le centrali attuali quando queste verranno disattivate. L’ultima esamina l’opzione di disattivare prima del termine le centrali atomiche e di abbandonare il nucleare.

L’efficienza contro la penuria

«Si dovrà comunque abbandonare il nucleare visto che l’uranio non è una risorsa inesauribile; la possiamo sfruttare ancora per i prossimi 60 o 100 anni. A lungo termine, il futuro energetico deve comunque essere pianificato senza nucleare», afferma Jürg Buri, direttore della Fondazione svizzera dell’energia, che si impegna per una società a 2000 watt.

«Se vogliamo uscire gradualmente da questa tecnologia rischiosa, ci serve una legge che fissi le scadenze entro le quali le centrali atomiche devono essere disattivate e che stabilisca i mezzi finanziari per promuovere le energie rinnovabili e l’efficacia energetica al fine di rimpiazzare le capacità mancanti».

I diretti interessati non sono evidentemente pronti a un cambiamento tanto repentino. «La politica energetica della Svizzera è ragionevole ed è ampiamente accettata [dal mondo politico e dalla popolazione, ndr.]. E non dobbiamo modificarla in maniera precipitosa sotto la pressione dei recenti eventi», scrive Andreas Werz, responsabile della comunicazione dell’Alpiq, uno dei maggiori produttori di energia in Svizzera e proprietario, tra l’altro, delle centrali di Gösgen e di Leibstadt.

Anche la Alpiq guarda favorevolmente alle «energie rinnovabili e alle nuove tecnologie per un utilizzo razionale dell’energia». Tuttavia, ricorda Werz, che le nuove strategie «non devono intaccare la libertà individuale», riducendo «il confort a cui ci siamo abituati o imporre al consumatore dove e quanta corrente consumare».

Jürg Buri a questa argomentazione, che non sente per la prima volta, replica ricordando che «attualmente un chilowattora su tre viene sprecato a causa degli apparecchi inefficienti e del loro errato utilizzo. Se negli ultimi dieci anni avessimo intrapreso gli stessi passi dei tedeschi in materia di sviluppo delle energie rinnovabili, avremmo già potuto spegnere due delle tre centrali atomiche più vecchie».

Soluzioni transitorie o durature

Le centrali a gas potrebbero essere un’alternativa nel caso in cui non dovessimo trovare un consenso sulla sostituzione dei tre vetusti impianti nucleari?

Jürg Buri non è contrario per principio, se si tratta di una soluzione transitoria. «Per il momento la domanda non si pone. Nella Confederazione, abbiamo infatti un potenziale in energie rinnovabili sufficiente, tanto per la produzione che per l’efficacia energetica. E quando avremo davvero sfruttato tutta la capacità, allora sì, perché non il gas? O l’importazione?», sottolinea Buri.

«In questo di necessità, potremmo sempre utilizzare la corrente delle nostre centrali all’estero. Le aziende elvetiche producono infatti più energia fuori dai confini. Per fortuna, in un futuro prossimo non saremo confrontati con una penuria di energia», continua il direttore della Fondazione svizzera dell’energia.

Per lui, invece, il nucleare non è più un’opzione. Alla luce di quanto avvenuto a Fukushima, è ora «di abbandonare questa tecnologia rischiosa», che è tra l’altro «un cattivo investimento economico. Infatti, con la stessa somma si otterrebbero risultati migliori perfezionando le energie rinnovabili e l’efficacia energetica. In più, si creerebbero posti di lavoro a lungo termine».

Pure presso Alpiq si è favorevoli a uno sviluppo sostenibile, anche se i produttori di elettricità nucleare a questo termine danno un altro significato rispetto agli ecologisti. «Si dovranno soppesare vantaggi e svantaggi dei diversi tipi di produzione», scrive ancora Andreas Werz. Ma alla fine sarà comunque il popolo a decidere.

Dal 1960, la produzione di elettricità in Svizzera è aumentata di almeno tre volte, passando da 20 a 60-70 miliardi di chilowattora (kWh) all’anno. Anche il consumo è cresciuto in ugual misura, da 3000 kWh per abitante nel 1960, agli attuali 8000 kWh.

Durante un anno, la Svizzera esporta più corrente di quanta ne importi. Nel 2009 (sono gli ultimi dati conosciuti), la Confederazione ha venduto 54,2 miliardi di kWh all’estero e ne ha acquistato 52 miliardi. L’esportazione è concentrata nel periodo estivo, quando il livello dell’acqua nelle dighe è al massimo; l’importazione invece in inverno, specialmente dalla Francia.

La Svizzera, la “riserva d’acqua d’Europa” produce la maggior parte della sua elettricità (56%) con le centrali idroelettriche. Mediante un programma di modernizzazione, entro il 2030 questi impianti dovrebbero aumentare la loro produzione di 2 miliardi di kWh  rispetto il 2000.

La Confederazione dispone attualmente di quattro siti nucleari:Beznau (Argovia), Mühleberg (Berna), Gösgen (Soletta) e Leibstadt (Argovia).

In totale sono attivi cinque reattori nucleari, costruiti tra il 1969 et 1984. Tre producono circa 3 miliardi di kWh all’anno e dovranno essere disattivati nel 2020. Gli altri due, invece, generano 8 rispettivamente 9,5 miliardi di kWh all’anno. Le loro autorizzazioni di servizio scadono nel 2040 e nel 2045.

Nel 2009, l’energia nucleare ha fornito il 39,3% dell’elettricità consumata in Svizzera.

Le centrali termiche classiche e le energie rinnovabili (sole, vento, biomassa, ecc.) forniscono soltanto il 5% dell’energia elettrica e meno del 2% dell’energia complessiva consumata in Svizzera.

(traduzione e adattamento dal francese, Luca Beti)

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