«Fare il sacrestano è un’arte di vivere»
Sacrestano, portinaio, campanaro, chierichetto, guardiano della chiesa, confratello: Josef Käser fa tutti questi mestieri nel villaggio friburghese di Bösingen. È un paese dove la vita quotidiana è ancora ritmata dall’orologio e dalle campane della chiesa cattolica.
La giornata inizia alle prime luci dell’alba. Bisogna preparare le chiesa per la messa delle otto, accendere le candele, servire messa, leggere alcuni testi, prima di passare a raccogliere l’elemosina tra la trentina di fedeli presenti questo mercoledì.
Oggi è Sant’Agata. Il prete in pianeta sacerdotale rossa ha benedetto e distribuito del pane durante la messa, poi si è recato nella vicina panetteria per benedire la sfornata del giorno. Questo villaggio nel canton Friburgo è fuori dal tempo? Di sicuro, la vita qui è ancora scandita dalle tradizioni.
Un impegno spirituale
Josef Käser, l’occhio sveglio e i baffi sorridenti, ci porta a fare un giro del suo: la bella chiesa barocca, due cappelle, la sacrestia, la torre campanaria. La passeggiata termina in canonica, inabitata come molte altre a causa della penuria di preti.
«Una volta, c’era una messa tutti giorni. Oggi, a parte il sabato sera e la domenica, i fedeli vengono chiamati in chiesa solo una volta a settimana. Non stiamo così male in confronto ad altre parrocchie. Ci sono poi i funerali e i matrimoni. Io preferisco però le feste grandi: Pasqua e la resurrezione di Cristo, Natale e la sua nascita». Metà della sua vita è ritmata dalla liturgia, il resto è destinato alla pulizia e alla cura delle proprietà della parrocchia, sia all’interno che all’esterno.
Come recita l’associazione ombrello di questo settore professionale in internet, il sacrestano deve avere una certa un’esperienza di vita, acquisita con un mestiere e un carattere forte. Inoltre, ha l’obbligo di seguire un corso di formazione.
Caratteristiche che si addicono perfettamente a Josef Käser, assunto sette anni fa all’età di 48 anni, dopo aver lavorato per quasi tre decenni come meccanico di macchine agricole, trascorso professionale di cui testimoniano due dita monche della mano destra. «È grazie a mia moglie, Lizeth, se ho ottenuto questo posto di lavoro. Da anni si occupava delle decorazioni floreali, della cura degli oggetti e dei vestiti liturgici».
«Sono impegnato spiritualmente. È una coabitazione indispensabile affinché un sacrestano svolga bene le sue mansioni. Non è un lavoro normale e non si devono certo contare le ore», ci spiega Josef. Un fine settimana libero al mese, cinque settimane di vacanza all’anno. La coppia Käser, impiegata a tempo pieno in job sharing, non va via spesso. «Ciò che mi piace, è la possibilità di organizzare la mia giornata come voglio. Sono indipendente. Mia moglie ha problemi di salute, uno dei nostri tre figli soffre di fibrosi cistica e io, in passato, mi sono potuto occupare della famiglia quando i bambini andavano ancora a scuola», continua Josef, soprannominato Sepp nel villaggio.
«Cinghia di trasmissione»
Fin dall’infanzia, la malattia è parte integrante della vita di Josef Käser. Ultimo nato di una famiglia di otto figli, ha perso i genitori all’età di tredici anni. «Mia madre era affetta da sclerosi multipla ed io non l’ho mai vista in perfetta forma. È una zia nubile che si è occupata di noi. Nostro padre diceva sempre che se non ci fosse stata lei, saremmo stati affidati a famiglie ospitanti».
Quando i genitori sono morti nel 1972, a tre mesi di distanza l’una dall’altro, il primogenito si è occupato di tre fratelli minori. «Mio fratello ed io siamo finiti in collegio. Il primo anno eravamo in istituti diversi, quello successivo di nuovo insieme. È stato difficile…», racconta il sacrestano con la voce incrinata dall’emozione. Poco dopo sul suo viso si ridisegna il sorriso e così continua a parlare della sua famiglia. «La vita è piena di raggi di sole e io sono un uomo positivo. Mia madre diceva che dovevo fare il prete. Allora era il destino degli ultimogeniti. Ora sono solo un sacrestano, ma è già un inizio».
«Non è certo una professione che ti dà la possibilità di fare carriera. Offre però un’ottima qualità di vita. La mia agenda non è fitta di impegni e così ho la possibilità di aiutare i miei vicini. Per me è un’arte di vivere».
La cosa più difficile? Il suo ruolo di «cinghia di trasmissione» tra l’istituzione religiosa e la popolazione. «Dato che il prete non vive più qui, spetta a me ascoltare le critiche, i rimproveri e le richieste. Si deve rimanere sopra le parti, ma non è sempre facile. Non siamo che uomini».
La lingua delle campane
Il campanile di Bösingen è alto 47 metri e accoglie cinque campane di diversa grandezza appese sotto un tetto aguzzo ricoperto di scandole. Suonano notte e giorno, ogni quarto d’ora, così come alle 6 e 30 di mattina, a mezzogiorno e all’Angelus serale delle sette.
Le campane sono azionate da un computer, ma c’è un sistema manuale per le occasioni speciali. Hanno un importante ruolo nella salvaguardia degli usi e costumi tradizionali del villaggio. Sono una specie di mezzo di espressione, racconta Josef Käser.
«La quinta campana l’ho utilizzata una sola volta: è la campana del tempo meteorologico e le persone anziane dicono che ha la facoltà di scacciare i fulmini dal nostro villaggio. Un giorno, alle 7 e 30, un vecchio del villaggio mi ha chiamato per dirmi che era in arrivo una saetta. Ho visto il cielo completamente coperto di nuvole nere e sono andato a suonare per 10-15 minuti. Non è successo nulla di speciale, ma non ci sono stati fulmini…». In effetti, è difficile riconoscervi una verità scientifica, ma il suono di questa campana deve davvero fare uno strano effetto…
Un’altra tradizione rispettata scrupolosamente dal nostro sacrestano: azionare la piccola campana della cappella funeraria per annunciare l’arrivo del defunto. «Suono a mano, per 30 secondi. È un’usanza che risale ai tempi in cui le persone non avevano ancora il telefono: uno scampanio significa che ad essere morto è un bambino, due scampanii una donna e tre un uomo. Di solito, appena ho finito di suonare, la gente viene a vedere chi è morto». Per il funerale, bisogna suonare un’ora prima della messa. Una volta, nel villaggio erano quasi tutti contadini ed era necessario avvisarli in tempo per permettere loro di rientrare dai campi e di cambiarsi d’abito.
Con la diminuzione dei preti e dei praticanti, il mestiere del sacrestano è a rischio? «È vero, i parroci sono sempre più in là con gli anni, come anche i parrocchiani. Inoltre, la gente tende a perdere la fede. È comunque ancora necessario prendersi cura degli edifici. E poi, dopo tutto, la fede cattolica si diffonde in altri paesi e continenti…», ricorda prima di ritornare alla «sua» chiesa fischiettando.
Un tempo, il comune tedescofono del canton Friburgo era quasi esclusivamente cattolico. Oggi, dei 3’500 abitanti, quasi 1’600 sono di religione cattolica e il 30 per cento è di religione protestante. Nel 2012, nella chiesa barocca (fine XVIII secolo) sono stati celebrati una ventina di funerali, una mezza dozzina di matrimoni e una ventina di battesimi.
Il sacrestano è un laico o religioso stipendiato che ha il compito di tenere in ordine la sacrestia e gli arredi sacri, di pulire, sorvegliare e custodire la chiesa, nonché di coadiuvare il sacerdote in vari compiti pratici, preparando tutto il necessario per il corretto svolgimento della messa. È assunto e stipendiato dal consiglio parrocchiale. Il sacrestano era chiamato lo «svizzero», anche all’estero: indossava un costume per le cerimonie religiose ed era in testa alle processioni. Molti rivedevano in questa figura professionale la guardia svizzera pontificia, creata nel 1506 da papa Giulio II.
(Traduzione dal francese, Luca Beti)
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