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Fatalità o armi in eccesso? La stampa svizzera si interroga

Il dramma di Daillon lascia sconvolta la stampa svizzera. Keystone

Incredula e sconvolta, la stampa svizzera chiede un inasprimento della legge sulle armi, all'indomani della sparatoria di Daillon che ha fatto tre morti e due feriti in Vallese. Le armi circolano troppo facilmente, sottolineano alcuni editorialisti, chiamando il mondo politico a una maggiore responsabilità.

«Tre morti sotto il fuoco di un folle omicida. Non è accaduto negli Stati Uniti, paese dove la successione di fatti violenti è così frequente che fa ormai parte della nostra quotidianità. Tre morti a qualche chilometro da casa nostra. Alle prime luci dell’alba, all’ora della colazione».

All’indomani della strage di Daillon, che ha fatto tre morti e tre feriti (compreso il presunto omicida), sono molti gli interrogativi ancora aperti, scrive l’editorialista dei quotidiani romandi Tribune de Genève e 24heures. «Gli antecedenti psichiatrici dell’omicida spiegano la tragedia? Che ruolo ha svolto l’alcool? È stato un atto di follia? Una vendetta? L’uomo ha scelto le sue vittime o ha sparato a caso? E questo dramma avrebbe potuto essere evitato?».

Il presunto omicida, un 33enne della zona, era stato ricoverato in una clinica psichiatrica nel 2005: in quell’occasione, ha precisato giovedì la procuratrice pubblica Catherine Seppey, gli erano state sequestrate numerose armi. Ciononostante il giovane è riuscito a procurarsi un vecchio moschetto dell’esercito e un fucile a pallini. Com’è stato possibile, si chiede venerdì la stampa svizzera?

Fatalità o armi in eccesso?

Il dramma di Daillon riapre in modo tragico il dibattito sul possesso delle armi in Svizzera, scrive Der Bund. «Il fatto che un abitante di un piccolo villaggio, dove tutti si conosco, possa uccidere tre persone ci ha sconvolto, lasciandoci senza parole».

Certo, il bagno di sangue non avrebbe probabilmente potuto essere evitato nemmeno con una legge più severa sul porto d’armi, prosegue l’editorialista. Le cause sembrano infatti complesse. Ma il fatto che questo giovane dal passato difficile sia riuscito a procurarsi un moschetto e un fucile, mostra chiaramente il problema: «nelle case svizzere ci sono troppe armi a fuoco».

Sulla stessa linea anche il giornale ginevrino Le Temps: «Anche se la Svizzera ha un tasso di omicidi con arma da fuoco relativamente basso rispetto al resto del mondo, la percentuale di delitti famigliari o comunitari è particolarmente alta. Troppo alta». Nelle case svizzere ci sono due milioni di armi da fuoco, prosegue l’editorialista. «Di queste, 900’000 sono vecchie armi militari, che restano pur sempre pericolose, mentre 260’000 sono fucili d’ordinanza. Ognuna di queste rappresenta una minaccia».

 

In Svizzera, dove i militi possono conservare le proprie armi a casa anche al di fuori dei periodi di servizio militare, la legge sulle armi autorizza tra l’altro qualsiasi cittadino con più di 18 anni a possedere armi a fuoco, a determinate condizioni. «Ad eccezione degli Stati Uniti, scrive il giornale svizzero-tedesco Tages Anzeiger, in nessun altro paese un possibile omicida riesce a procurarsi un’arma così facilmente come in Svizzera».

Chieste misure più severe

Ci sono troppe armi in Svizzera oppure il problema è che a volte finiscono nelle mani sbagliate?, si chiede il romando Le Matin.
 
Se la Svizzera è tra i paesi dove circolano più armi è perché la tradizione del tiro e della caccia è ancora viva, sottolineano Tribune de Genève e 24heures, ma anche perché nel 2011 il popolo ha bocciato un’iniziativa popolare che proponeva di rinunciare alla custodia delle armi di ordinanza in casa . «Il commercio è particolarmente libero e sono molte le armi in circolazione, troppe senza dubbio, e soprattutto di troppo facile accesso. Non si può ragionevolmente sognare una società senza colpi di follia. Ci saranno altri criminali come quello di Daillon. Ma li si può immaginare meno pericolosi, in una società dove circolino meno armi».
 
Già lunedì, la commissione parlamentare tornerà a discutere del possesso d’armi in Svizzera e la strage di Daillon renderà senza dubbio il dibattito ancor più emotivo. Dopo numerosi casi di violenza, le Camere federali intendono intensificare lo scambio di informazioni tra l’esercito e la giustizia per evitare che soggetti pericolosi entrino in contatto con armi a fuoco. Sono in molti, tuttavia, a chiedere un intervento più incisivo, come la creazione di un registro nazionale delle armi.

 
Alcune misure sono già state prese dalla bocciatura dell’iniziativa nel 2011, ricorda l’editorialista di Le Temps. «Ma ci si concentra sul pericolo dell’arma militare, mentre il moschetto, demilitarizzato o civile, sfugge ai controlli, come è accaduto a Daillon. Non si potranno evitare tutti i drammi. Ma prendere questo pretesto per non fare nulla è inaccettabile. (…) Nessuno in realtà vuole davvero attaccare la potente lobby delle armi e rivedere una legge federale insufficiente. Questo modo disinvolto di legiferare non è accettabile di fronte ai drammi umani».

«L’uomo è un lupo per l’uomo»

I giornali conservatori si mostrano invece più moderati, sottolineando la fatalità di questo gesto e l’indecifrabile natura umana. «Nessuna civiltà coltivata, nessuna nazione forte o fragile, nessuna metropoli, nessun villaggio soleggiato, nessuna famiglia normale non sarà mai protetta da un’esplosione iperviolenta. Certo, procuratori, inquirenti, politici, sociologi, giornalisti e uomini comuni faranno a gara per fornire spiegazioni più o meno adeguate. Sulle armi. L’esercito. La psichiatria. La solitudine in tempo di feste. La gestione di chi ha problemi sociali. La verità è più cruda e può fare a meno di analisi campate in aria. Dalle origini dell’umanità, “l’uomo è un lupo per l’uomo”».

Per la Neue Zuercher Zeitung, «l’orrore di questo bagno di sangue sta proprio nell’impossibilità di trovare una spiegazione». Far credere che una regolamentazione più severa, una sorveglianza più efficace e una polizia con più mezzi possa risolvere il problema, è un’illusione, afferma il quotidiano zurighese.

Misure simili darebbero l’impressione di una sicurezza assoluta, che in realtà non esiste. «Forse è proprio questo il primo insegnamento da trarre da questa terribile e ingiustificabile tragedia vallesana: anche in un contesto pieno di divieti, regolamentazioni e misure ben rodate, il rischio che una tale tragedia si riproduca è impossibile da garantire. Perché nessuno è invulnerabile».

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