Perché la Svizzera è in ritardo in materia di cure palliative?
In Svizzera la promozione delle cure palliative ha una storia breve. Per le persone in fin di vita sono stati finora privilegiati i trattamenti curativi, la medicina acuta e il suicidio assistito. La creazione di una nuova cattedra universitaria dedicata alle cure palliative potrebbe però contribuire a cambiare le cose.
Il medico è visibilmente entusiasta del suo lavoro. Il bisogno di cure palliativeCollegamento esterno, utili per lenire le sofferenze di un malato terminale e dei suoi famigliari, è destinato a crescere nei prossimi anni, dato l’invecchiamento della popolazione. E di conseguenza, aumenteranno anche i costi di questa particolare assistenza. Questi potranno però essere limitati se le cure palliative verranno pianificate in modo adeguato, come succede ad esempio in Australia o nel Regno Unito.
swissinfo.ch: Perché in materia di cure palliative la Svizzera è in ritardo rispetto ad altri paesi?
Steffen Eychmüller: In Svizzera abbiamo accesso alle possibilità tecnologiche più all’avanguardia e più costose per prolungare la vita. Si punta molto sulla medicina acuta e sui trattamenti curativi. Si pone invece meno l’accento sull’approccio globale dell’assistenza a malati cronici e sul modo di convivere con una malattia.
Questo è probabilmente dovuto alla natura frammentata del sistema sanitario, che si basa su ospedali considerati come delle entità economiche, su cure di lunga durata nelle case di riposo pagate per la maggior parte di tasca propria e su cure a domicilio. La Svizzera dispone di pochi istituti per malati terminali.
In Svizzera ci si aspetta che i problemi di salute possano essere gestiti e curati da ospedali di ottimo livello. La responsabilità non ricade sull’insieme della rete delle istituzioni sanitarie, come succede invece in un sistema sanitario nazionale.
Il secondo rapporto dell’inglese The Economist sulla qualità della morteCollegamento esterno in diversi paesi mostra che, nel 2015, la Svizzera è leggermente migliorata passando dalla 19º alla 15º posizione. Ma questo rapporto evidenzia che altri paesi [Regno Unito, Australia] fanno meglio. Questi paesi hanno tendenzialmente dei sistemi sanitari nazionali.
swissinfo.ch: Cosa hanno ancora in più questi paese che la Svizzera non ha, in termini di cure palliative?
S. E.: L’esperienza. In paesi quali il Regno Unito, le cure palliative hanno una storia di 30 anni e sono bene accettate dalla gente. In Svizzera, le cure palliative sono arrivate molto più tardi, e più precisamente negli ultimi sei anni. Ma sono ottimista sul fatto che col tempo diventeranno la norma: in futuro, pazienti e famigliari non le considereranno la fine di ogni speranza, bensì una fantastica opportunità per accedere a cure di alta qualità.
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swissinfo.ch: Possiamo dire che la fine della vita e la morte continuano ad essere temi tabù in Svizzera?
S. E.: Non direi. I media e i politici sono molto presenti nel dibattito sul suicidio assistito. Si tratta soprattutto di discutere dell’autonomia e di come vivere dignitosamente gli ultimi momenti di vita. Evidentemente, quando si vede che negli ospedali non ci sono possibilità di avvicinarsi alla morte con dignità, si è contenti di avere altre alternative, come ad esempio il suicidio assistito.
Molti hanno la sensazione che la scelta sia tra il suicidio assistito, praticato da medici o da organizzazioni di assistenza al suicidio quale Exit, e una sofferenza infinita nel sistema sanitario attuale. Questa visione potrebbe però cambiare se le persone riuscissero a immaginare, assieme ad amici, famigliari e professionisti, una fine dignitosa sostenuta dalle cure palliative.
swissinfo.ch: Quindi lei suggerisce che l’accettazione piuttosto ampia del suicidio assistito in Svizzera ha influenzato l’opinione generale sulle cure palliative?
S. E.: Constato semplicemente che, la maggior parte delle volte, siamo invitati a partecipare a dibattiti pubblici in cui le cure palliative vengono paragonate al suicidio assistito, anche perché questo tipo di discussione accende gli animi.
Ma penso che sia una visione molto ristretta di ciò che dovrebbe e potrebbe essere la fine della vita nella nostra società. In Asia, la fine della vita è considerata l’apice dell’esistenza e c’è molto rispetto per le persone che entrano nelle ultime fasi di vita. In Svizzera, invece, non viene considerata come la parte migliore dell’esistenza e non gode del più alto livello di valore e di dignità.
Suicidio assistito in Svizzera
La legislazione svizzera tollera l’assistenza al suicidio quando è il paziente stesso a commettere l’atto e se le persone che lo assistono non hanno interessi personali nella sua morte. Il suicidio assistito è praticato soprattutto da organizzazioni quali Exit e Dignitas.
Contrariamente all’eutanasia attiva diretta, il suicidio medicalmente assistito è legale in Svizzera. Uno studio pubblicato quest’anno e relativo al 2013 ha evidenziato che nella Svizzera tedesca i medici hanno praticato una forma di assistenza al suicidio nell’80% dei casi prossimi alla morte. Lo hanno fatto principalmente interrompendo o rinunciando a un trattamento, ma pure aumentando le dosi di analgesici quali la morfina. Nella stragrande maggioranza dei casi, la scelta è stata presa in accordo con il paziente e la sua famiglia.
swissinfo.ch: Cosa si può fare per promuovere le cure palliative? Una strategia nazionale globale non sembra realistica data la natura frammentata del sistema sanitario elvetico…
S. E.: Ha ragione. È una questione politica e in quanto operatori sanitari non abbiamo molta voce in capitolo. È chiaro che nei sistemi sanitari nazionali, la responsabilità di tutti gli attori che partecipano al sistema è molto più grande.
Penso che le cure palliative possano evolvere verso un sistema misto, con incentivi per creare reti di assistenza per persone affette da malattie croniche, mantenendo però la medicina acuta in caso di bisogno. Potremmo così trarre il meglio dai due sistemi.
swissinfo.ch: Personalmente, cosa l’ha motivata ad interessarsi alle cure palliative?
S. E.: È un aspetto incredibile della medicina in cui è davvero possibile praticare una medicina umana. I problemi e i dettagli medici sono a volte molto complessi. Si è confrontati con la persona, la sua storia, la sua famiglia, e si tenta di trovare il modo migliore per affrontare assieme la situazione.
La gente è sempre sorpresa di sentire che chi lavora nelle cure palliative non è triste e che gli esaurimenti professionali sono estremamente rari. Non è un lavoro superficiale, ciò che significa molto per noi. Lo considero un privilegio.
Cattedra per le cure palliative
Steffen Eychmüller è titolare della cattedra di cure palliative dell’Università di Berna dal 1º febbraio 2016. L’altra cattedra della Svizzera si trova all’Università di Losanna.
I 3 milioni di franchi necessari alla creazione della cattedra bernese sono stati messi a disposizione dall’Accademia svizzera delle scienze mediche e dall’assicuratore malattia privato Helsana. Ciononostante, Steffen Eychmüller afferma di beneficiare di una totale indipendenza.
La creazione di questa seconda cattedra rientra nella strategia nazionale per le cure palliative, elaborata sei anni fa. Una piattaforma nazionale per le cure palliativeCollegamento esterno sarà lanciata all’inizio del 2017. Il suo obiettivo: promuovere la coordinazione e lo scambio tra i vari attori attivi nelle cure palliative.
Le questioni del finanziamento e dell’introduzione di cure palliative specializzate negli istituti medici verranno anch’esse discusse al fine di trovare delle soluzioni. «Tutti dovrebbero poter accedere alle cure palliative alla fine della loro vita», ritiene l’Ufficio federale della sanità pubblica.
Come sono viste le cure palliative nel vostro paese? Dite la vostra!
Traduzione dall’inglese di Luigi Jorio
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Due organizzazioni d’aiuto al suicidio vogliono poter accompagnare alla morte anche le persone anziane che non sono colpite da malattie terminali, ma da altri tipi di sofferenza. Esperti di medicina ed etica temono però possibili derive.
Circa 700 persone hanno accettato, sabato scorso a Zurigo, di attribuire una nuova missione alla direzione della loro organizzazione: in occasione della sua assemblea generale, l’associazione Exit per la Svizzera tedesca ha infatti deciso di aggiungere nei suoi statuti un impegno «a favore della libertà di morire, legata all’età».
La rivendicazione può sorprendere, dato che la Svizzera è già uno dei rari paesi al mondo che autorizzano il suicidio assistito anche se a certe condizioni, tra cui la presentazione di una prescrizione medica.
Questa pratica, che non è regolamentata da una legge federale, è da anni al centro dei dibattiti, tra chi la vorrebbe vietare, chi chiede di restringerla o chi al contrario di liberalizzarla ulteriormente.
Negli ultimi anni, le domande di aiuto al suicidio sono cresciute. E le organizzazioni di assistenza – tra cui Exit – sono sempre più confrontate con richieste di persone anziane che non sono affette da malattie incurabili o da sofferenze insopportabili, ma da “poli-patologie”. Per ottenere la prescrizione di una sostanza letale da parte di un medico, queste persone devono sottoporsi a esami fisici e psichici completi.
«Un novantenne non reagisce però allo stesso modo di un quarantenne di fronte a questo tipo di test, spiega Bernhard Sutter, vicepresidente di Exit per la Svizzera tedesca. Ci sono molti casi in cui il medico non avrebbe bisogno di rifare tutti gli esami psicologici per interpretare la volontà di un paziente».
Diritto all'autodeterminazione?
È su questo punto che Exit intende lanciare il dibattito: «Con l’espressione tedesca “Freitod”, ossia “una morte auto-determinata legata all'età”, vorremmo semplificare le procedure di controllo necessarie per la prescrizione di una sostanza letale», precisa Bernhard Sutter.
Nel canton Neuchâtel, un medico ha dovuto rispondere davanti alla giustizia perché non aveva fatto tutti i test prima di dare la ricetta a un paziente ottantenne malato di cancro in fase terminale. Il Tribunale cantonale lo ha poi prosciolto a fine aprile.
Svizzera liberale
La Svizzera è uno dei rari paesi al mondo a non vietare l’assistenza al suicidio. La legge punisce unicamente chi aiuta qualcuno a morire per scopi egoistici. L’eutanasia attiva è invece vietata.
Le organizzazioni di aiuto al suicidio prevedono il rispetto di diversi criteri: la capacità di intendere e volere delle persone coinvolte, un desiderio di morte consapevole, autonomo e duraturo, un certificato medico e la consapevolezza dell’esistenza di altre opzioni possibili.
Anche i Paesi Bassi autorizzano i medici a praticare il suicidio assistito a determinate condizioni. Lo stesso vale per alcuni Stati americani: Oregon, Washington e Montana.
Anche nella Svizzera francese, l'associazione Exit A.D.M.D ha completato il suo regolamento sulle condizioni per il diritto al suicidio assistito, aggiungendo un paragrafo sulle “poli-patologie legate all’età, che compromettono pesantemente la vita”.
Per le due organizzazioni, omonime ma indipendenti, il criterio “in fin di vita” o “allo stadio terminale di una malattia” è troppo severo. Non risponde più ai bisogni della società e alla richiesta delle persone anziane di alleviare le loro sofferenze, provocate da malattie croniche ma non forzatamente mortali.
«Chi è affetto da una forma di sordità degenerativa, da cecità e incontinenza può soffrire molto. La sofferenza non è appannaggio solo di chi ha un tumore in un stadio terminale», afferma Bernhard Sutter.
Per Jérôme Sobel, di Exit Svizzera romanda, alleviare le pene fa parte dei doveri di un medico. «Ma non tutti i colleghi sono d’accordo», aggiunge sottolineando che per molti di loro il fatto di non fare il possibile per salvare una vita, da un punto di vista medico equivale a un abuso.
Necessario un dibattito di società
Il suicidio assistito solleva dunque interrogativi etici sulla missione dei medici, dato che spetta loro firmare le prescrizioni.
Questi si mostrano però molto circospetti di fronte alle rivendicazioni di Exit. «È chiaro che le persone anziane possono sentire una certa stanchezza di vivere, afferma Jürg Schlup, presidente della Federazione dei medici svizzeri (FMH). Ma quando proponiamo loro altre opzioni, come le cure palliative, un’intensificazione delle terapie oppure una presa a carico diversa, capita spesso che l’idea del suicidio assistito venga abbandonata».
Jürg Schlup teme inoltre che alcuni anziani si rivolgano a Exit perché hanno l’impressione di essere un peso per i famigliari. Uno scenario che le associazioni di aiuto al suicidio affermano però di voler combattere.
«La nostra organizzazione procede con molto riguardo, per evitare che gli anziani chiedano un accompagnamento alla morte sotto pressione delle loro famiglie o per questioni di eredità. Al minimo dubbio, rifiutiamo la domanda», ha affermato la presidente di Exit, Saska Frei in occasione dell’Assemblea generale a Zurigo.
«Potremmo convivere con questa modifica degli statuti di Exit, ma non la sosterremo», commenta dal canto suo Jürg Schlup, che non nasconde la paura di un’eccessiva liberalizzazione. «La Svizzera conosce già una delle soluzioni più liberali al mondo».
La FMH ha integrato le linee direttive dell’Accademia svizzera delle scienze mediche (AASM) per quanto riguarda l’atteggiamento che i dottori devono avere di fronte a pazienti in fin di vita. Queste direttive «ammettono la possibilità di un’assistenza medica al suicidio, come un atto eccezionale che deve rispettare criteri più severi rispetto a quelli previsti dalle normative generali dell’assistenza al suicidio in vigore in Svizzera», ricordava a inizio anno la FMH in un bollettino.
L’ASSM sottolinea che «l’aumento dei casi di suicidio assistito è di responsabilità di tutta la società e non soltanto del corpo medico». Chiede dunque «un dibattitto di fondo sulle condizioni nelle quali l’assistenza al suicidio è fornita».
Verso un'ulteriore liberalizzazione?
Il cambiamento di rotta previsto da Exit non rischia però di portare a un aumento delle richieste di suicidio assistito, già in forte progressione negli ultimi anni? Bernhard Sutter risponde in modo negativo. «I criteri di selezione attuali non vengono indeboliti: le persone che desiderano metter fine ai loro giorni devono essere capaci di discernimento, esprimere la loro volontà in modo duraturo, soffrire di una o più malattie ed essere al corrente di tutte le altre opzioni possibili».
Exit non intende, per lo meno a corto termine, chiedere una modifica del quadro legale relativo agli esami medici necessari per ottenere una prescrizione medica. In un primo tempo, sarà creato un gruppo di lavoro per valutare la situazione.
Il vicepresidente di Exit Svizzera tedesca è però convinto che con l’invecchiamento della popolazione una «liberalizzazione dell’aiuto al suicidio è inevitabile, perché i futuri seniores hanno vissuto tutta la vita sotto il segno dell’auto-determinazione, un principio che non abbandoneranno di certo al tramonto dei loro giorni».
«Più della metà delle prescrizioni sono già fatte dai medici di famiglia delle persone che intendono metter fine ai loro giorni. Questo è già di per sé un progresso», indica Bernhard Sutter. Sia da parte dell’FHM che di Exit, si attende con impazienza il risultato di un’inchiesta sul suicidio assistito realizzata dall’ASSM presso circa 5mila medici. Sono attesi per questo autunno.
Richieste in crescita
L’organizzazione Exit A.D.M.D per la Svizzera romanda conta attualmente circa 19mila membri, indica il suo presidente Jérôme Sobel. Erano 18'564 a fine 2013, ossia 874 in più rispetto all’anno precedente.
La maggior parte degli affiliati (68%) è di sesso femminile e ha tra i 51 e i 75 anni (57,5%). Gli over 75 rappresentano il 34%, mentre l’8,5% ha meno di 50 anni.
Nel 2013, Exit A.D.M.D ha ricevuto 252 richieste di suicidio assistito e ne ha portate a termine 155 (contro 144 nel 2012). In 141 casi, la morte ha raggiunto i pazienti al loro domicilio, in 10 in una casa per anziani e in 4 in un ospedale.
L’organizzazione Exit per la Svizzera tedesca ha registrato 5mila nuovi affiliati nel 2013 per un totale di circa 73mila.
L’associazione ha accompagnato alla morte 459 persone, di cui 267 donne, ossia 103 in più rispetto al 2012.
L’età media delle persone decedute è rimasta stabile a 77 anni.
La prima causa di richiesta di aiuto al suicidio è il cancro (178). Tra gli altri motivi figurano le poli-patologie legate all’età (97), le malattie cardiache (17), le sclerosi laterali amiotrofiche (SLA, 8) o le malattie psichiche.
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