Formarsi oggi per essere pronti domani
Con la recessione oramai alle porte, la società elvetica s'interroga su come affrontare la crisi ed evitare le derive sociali legate alla perdita dell'impiego. Secondo gli esperti, i tempi bui vanno attraversati puntando su educazione e formazione.
Negli ultimi anni la Confederazione ha vissuto una fase di crescita intensa e continua. Il prodotto interno lordo è aumentato di 2-3 punti percentuali annui e nel paese sono stati creati circa 300mila nuovi posti di lavoro.
Sul piano della sicurezza sociale è invece stato fatto poco, denuncia l’organizzazione assistenziale Caritas. Nonostante la buona congiuntura, il tasso di disoccupazione in Svizzera (2,6% nel 2008, tra i più bassi in Europa) non è sceso ai livelli del 2001; nemmeno il numero di coloro che fanno capo all’aiuto pubblico – 245mila persone nel 2006, il 3,3% della popolazione – è diminuito in modo significativo.
«La Svizzera si è mal preparata al rallentamento congiunturale dei prossimi anni», rileva Fulvio Caccia, presidente di Caritas. A preoccupare è soprattutto l’annunciato aumento dei senza lavoro, principalmente giovani e persone poco qualificate, e le ripercussioni finanziarie su aiuto sociale e assicurazione contro la disoccupazione.
Per superare la recessione innescata dalla crisi dei mercati internazionali, ritengono gli osservatori, è quindi necessario agire diversamente ed evitare gli errori del passato.
Prevenire la spirale negativa
«Per affrontare un problema congiunturale come la disoccupazione, è importante non fare ricorso a soluzioni strutturali», osserva il politologo Giuliano Bonoli, intervenuto in occasione di un forum di discussione organizzato da Caritas.
«Durante le crisi precedenti – ci spiega Bonoli – alcuni paesi europei hanno messo molti lavoratori in prepensionamento o in invalidità; quando l’economia si è ripresa, queste persone non erano più disponibili per il mercato del lavoro».
Secondo il professore all’Istituto di alti studi in amministrazione pubblica (IDHEAP) di Losanna, la priorità della Svizzera dev’essere di evitare le conseguenze sociali della disoccupazione e prevenire la spirale negativa (perdita di competenze, di autostima) che s’innesca al momento della perdita del posto di lavoro.
«La politica del mercato del lavoro va riorientata. Si dovrà insistere meno sull’inserimento professionale e valorizzare maggiormente le misure a promozione della formazione».
«Se usciamo da questa crisi con una popolazione mediamente meglio formata – sostiene Giuliano Bonoli – la Svizzera sarà in una buona posizione per approfittare appieno della ripresa».
Lavoro ai disoccupati
Un esempio interessante è dato dalla Danimarca. «Durante l’ultima grande recessione nel paese all’inizio degli anni ’90, quando il tasso di disoccupazione era del 12,8%, lo Stato ha incitato i salariati a prendere un congedo formazione di un anno e i datori di lavoro ad assumere dei disoccupati come rimpiazzo».
Un approccio che ha consentito di raggiungere due obiettivi, annota Bonoli: «Il livello di formazione degli attivi è migliorato, mentre i disoccupati hanno potuto mantenere un contatto con il mondo del lavoro».
L’aspetto della formazione e delle qualifiche professionali, conferma Boris Zürcher, economista del laboratorio d’idee liberale Avenir Suisse, sarà un punto cruciale negli anni a venire. «La domanda di lavoratori poco qualificati diminuirà, mentre aumenteranno le richieste per le persone più formate».
Sanità e benessere
Analizzando l’evoluzione della produttività e della creazione d’impieghi, spiega Boris Zürcher, si possono già individuare i settori dell’economia elvetica destinati ad emergere. «Vi è un alto potenziale nella sanità, nell’insegnamento e nei servizi legati al benessere in generale».
«Stagneranno invece i settori che in passato hanno già incrementato la loro produttività, come la finanza, le assicurazioni, le telecomunicazioni o i trasporti».
Il futuro della Svizzera sembra dunque sorridere a medici specializzati, formatori ed esperti in “wellness”. Cosa fare invece di tutte quelle persone – tra cui molti stranieri – che dispongono soltanto di un percorso scolastico o professionale di base? Le proposte non mancano.
Agire sui bambini
Per la deputata in Parlamento Pascale Bruderer, l’offerta di formazione professionale va estesa, «in modo da dare anche ai giovani con difficoltà scolastiche, ma con più propensione alla pratica, la possibilità di ottenere un diploma».
Sarà poi necessario agire sulla prevenzione. «L’uguaglianza delle possibilità va promossa già dall’infanzia», sostiene la consigliera nazionale socialista. «Fornendo un solido bagaglio linguistico e sociale dai primi anni di vita, ci sono buone possibilità di avere un giorno dei giovani responsabili e autonomi».
«Non possiamo dimenticarci dei giovani che crescono in famiglie con poche risorse, come spesso succede tra i migranti», ribadisce Carlo Knöpfel, autore dell’Almanacco sociale 2009 di Caritas. Chi non possiede un certificato di tirocinio o di fine studio, rammenta, presenta un rischio tre volte maggiore di perdere il lavoro.
Una scelta culturale
Secondo Boris Zürcher di Avenir Suisse, il potenziale straniero va sfruttato maggiormente. D’altronde, annota l’economista, nessun paese presenta il grado d’integrazione della Svizzera e un tasso di disoccupazione così basso. «Diamo la possibilità, a chi lo desidera, di lavorare di più. Si è fatto lo stesso negli Stati Uniti, dove grazie agli immigrati i negozi sono aperti 24 ore al giorno».
«Le possibilità sono parecchie», afferma Philippe Ambühl, direttore della fondazione “Integrazione per tutti”. «Negli ospedali e nelle economie domestiche monoparentali si potrebbero creare alternative per persone senza diplomi, ma con adeguate competenze sociali».
«Ci dobbiamo però innanzitutto chiedere – conclude Ambühl – se siamo pronti a investire in questo cambio di società».
swissinfo, Luigi Jorio
Disoccupazione in Svizzera
2001: 1,7%
2004: 3,9%
2008: 2,6%
Previsioni 2009: 3,3%
Crescita del Pil
2001: 1,2%
2004: 2,5%
2008: 1,9% (stima)
Previsioni 2009: -0,8%
Beneficiari dell’aiuto sociale
2004: 218’147 persone (3% della popolazione)
2006: 245’156 (3,3%)
(fonte: Segreteria di Stato dell’economia, Ufficio federale di statistica)
La fondazione è stata creata da capi d’azienda nel 1972.
Il suo scopo è di fungere da intermediaria tra il mondo economico e quello sociale per prevenire l’emarginazione di persone con problemi fisici o mentali.
Il reinserimento nel mondo del lavoro avviene adeguando le risorse personali e professionali delle persone ai bisogni e alle competenze delle aziende.
La fondazione IPT è attiva nei cantoni di Ginevra, Vallese, Vaud, Friburgo, Ticino e Zurigo.
Collabora con una rete di 7’800 imprese ed ogni anno si occupa di oltre 2’300 persone; circa un terzo ritrova un impiego durevole.
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